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23 GIOVEDÌ 20 AGOSTO 2018 www.italoamericano.org L'Italo-Americano IN ITALIANO | P er ogni conflitto, per ogni confine attraver- sato dai profughi, per ogni popolo in soffe- renza o in rivolta, per ogni regime min accios o e aggressivo, per ogni nuova tec- nologia che conquista territori, c'è una "linea rossa" che qualcu- no ha tracciato mentre altri la allargano oppure la contestano, la violano. Si basa su questo pre- supposto l'ultimo libro di Fede- rico Rampini, Le Linee Rosse. Uomini, confini, imperi: le carte geografiche che raccontano il mondo in cui viviamo, con il quale lo scrittore e giornalista italiano analizza i nodi dei con- flitti nel mondo contemporaneo, dall'impero Usa a quello cinese, dall'Europa all'Africa. Corrispondente de La Repub- blica da New York dal 2009, giornalista e docente universita- rio a Bruxelles, Parigi, San Fran- cisco, Milano e Pechino, Rampi- ni ha recentemente presentato il suo libro a Los Angeles e San Francisco con il supporto di una performance audiovisiva, uno spettacolo di suoni, luci e proie- zioni di mappe. "Le carte geogra- fiche sono una parte essenziale di questo libro, sono dei 'giocattoli' che ho costruito per interpretare il mondo, non solo descriverlo". Ci spiega Rampini. "Servono a rivelare ciò che affio- ra dalla storia antica per capire meglio il presente. Tutto quello che il mondo vuole dirci è spie- gato nei disegni. Il nostro destino è scritto nelle carte geografiche, e nella loro storia". Quindi queste linee rosse non hanno solo una valenza geografica ma anche politico- economica? Sì. Un elenco dei temi che affronto nel libro dimostra l'in- treccio tra la dimensione geogra- fica, territoriale, con la geo-eco- nomia e la geopolitica. Parto dalla domanda obbligatoria del nostro tempo: sta finendo l'Impe- ro americano? Se sì, moriremo cinesi, sotto un'altra egemonia? La Germania è al centro della mia esplorazione dell'Europa, la rivoluzione perpetua nelle mappe tedesche ha molto da dirci sul futuro. Migrazioni e identità, l'I- talia risucchiata dal Mediterraneo è da tempo un laboratorio dei nazional-populismi. La Russia è prigioniera di un paradosso anti- co: non è mai "troppo grande" per sentirsi sicura e così esporta insicurezza nei Paesi vicini. Più soldi meno libertà è il tema che s'impone nel Sudest asiatico. Sostiene che la geografia e la storia come le abbiamo studia- te sui banchi di scuola non ci bastano più. Come mai? Un po' perché il mondo è stravolto rispetto alle fotografie già obsolete dei manuali scolasti- ci. Tante "linee rosse", confini nazionali o frontiere culturali, invecchiano a gran velocità. E poi la scuola non ci ha insegnato a guardare "oltre", a penetrare il significato nascosto delle carte, a incrociare il paesaggio terrestre con la storia delle civiltà, le leggi evolutive dei popoli e degli imperi. I vincoli che pesano su di noi, i condizionamenti del nostro passato, le pressioni esterne dei Paesi vicini, le vie di fuga per costruirci un futuro migliore: ci servono mappe intelligenti per orientarci e capire dove siamo ora, dove andremo domani. "Viaggiamo di più. Capia- mo di meno". Sembra un para- dosso ma è così. Come mai il mondo ci disorienta in un periodo storico in cui abbiamo a disposizione ogni tipo di mezzo di comunicazione? Il mondo è più complesso o c'è meno capacità di lettura? Oggi si sente dire che l'espe- rienza del viaggiare non sia più la stessa di una volta: troppo veloce, troppo facile, il percorso ci scivola via addosso senza inse- gnarci nulla. Ai tempi dei nostri bisnonni il viaggio era ostico e faticoso, ma era anche un lento susseguirsi di impercettibili mutamenti nei paesaggi: geogra- fici e umani. Era un lungo apprendimento della fisionomia di valli e pianure, di colli e monti, coste e mari, dell'antropo- logia di volti e costumi delle tante tribù umane. Era un accu- mularsi di sensazioni, un sedi- mentarsi di ricordi, magari affi- dati a diari scritti con la penna stilografica. Oggi è tutto rapido, i jet o i treni ad alta velocità per- corrono distanze sbalorditive mentre noi stiamo incollati con gli occhi al display del nostro smartphone. Sbarchiamo in un nuovo continente e non abbiamo la più pallida idea dei territori attraversati, dei popoli e delle storie che abbiamo ignorato sfrecciando a 300 chilometri orari oppure sorvolandoli a 800 chilometri orari e diecimila metri di altitudine. Non arrendiamoci alla dittatura della superficialità. Anche un viaggio aereo può essere una magnifica lezione di geografia, concentrata in poche ore. Ha vissuto negli Stati Uniti e in Cina per molto tempo affrontando quindi due diverse forme di capitalismo, uno tec- nologico e uno dittatoriale. Quale delle due forme vincerà? Non faccio il profeta, non sono un guru, e lascio ad altri il mestiere delle previsioni. Ma la Cina prima di potersi imporre come nuovo leader globale deve dotarsi di "soft power", di ege- monia culturale. L'America è stata anche una fabbrica di idee e di sogni. Ha esportato valori, anche se talvolta li ha traditi. Il regime autoritario cinese ha dei limiti gravi su quel fronte. Il "sogno cinese" devo ancora capi- re quale sia, benché io abbia vis- suto cinque anni in quel Paese. Il triangolo politico Trump- Bannon-Salvini rappresenta la crisi delle grandi idee democra- tiche o il presupposto di nuovi scenari? Non esiste, a mio avviso, un vero triangolo Trump-Bannon- Salvini. Non esiste una Interna- zionale populista, perché la cifra tipica di questi leader è il caos. Quello che li unisce è un fattore di consenso comune: la grande delusione della classe operaia che si è sentita tradita dalle sinistre. Le élite hanno promesso che con la globalizzazione e la società multietnica avremmo avuto un paradiso; per interi pezzi delle nostre società si è rivelato un inferno. L'intolleranza religiosa, in particolare islamica, è una minaccia per il melting pot americano? È una minaccia anche perché una certa ideologia "politically correct", il multiculturalismo, ha smesso di difendere certi valori universali dell'Occidente, e non osa più chiedere agli immigrati un'adesione ai nostri principi più preziosi. C'è un capitolo dedicato all'Italia che si chiama 'La glo- balizzazione del Prosecco'. L'I- talia ha sempre esportato cultu- ra, e adesso invece esporta Prosecco. È un passo avanti o un passo indietro? Un pezzo del mio diario di viaggio riguarda l'Italia vista da "tutti gli altri". Aiuta a capire che siamo a modo nostro una potenza mondiale, senza saperlo. Un'altra linea rossa invisibile racchiude la globalizzazione dei gusti e dei consumi su cui noi abbiamo impresso un'influenza inaudita. Dietro il successo della gastrono- mia, della moda e del turismo, affiora un "modello olistico" che esercita un fascino planetario. L'immagine degli italiani è migliore di quanto crediate; spes- so, però, il made in Italy non arricchisce noi, è sequestrato da multinazionali straniere. Le migrazioni degli italiani dei primi dei '900 verso l'Ame- rica erano dovute alla fuga dalla miseria. Al giorno d'oggi vediamo più giovani qualificati arrivare negli Usa. È secondo lei un fenomeno ancora più preoccupante? Mi piace tornare in California – dove mi trasferii dall'Italia quasi vent'anni fa, prima di Pechino e New York – anche per- ché la comunità italiana lì si rin- nova continuamente. Non credo che i giovani talenti espatriati amino una narrazione vittimista; spesso sentono di avere una gamba in America e una in Italia, e cercano opportunità per "resti- tuire" al loro Paese una parte della ricca esperienza che stanno facendo qui. Certo le ragioni che li hanno spinti all'emigrazione sono preoccupanti, e non mi rife- risco solo ai "soliti imputati" come la burocrazia, il fisco, la mancanza di fondi per la ricerca. Spesso al primo posto, tra i fattori che spingono a lasciare l'Italia, c'è il nepotismo, la cultura della raccomandazione. Il Mediterraneo è stato il centro del commercio fino alla scoperta dell'America. Succes- sivamente la centralità è passa- ta all'Atlantico. Il futuro sarà nel Pacifico? Il presente è già del Pacifico, chi abita in California su questo non ha dubbi. Federico Rampini e le 'Linee rosse' che disegnano il mondo di oggi Nel suo nuovo libro Le Linee Rosse, Rampini spiega ai lettori il vero significato della geografia politica di oggi. Foto: Federico Rampini LA COMUNITÀ DI LOS ANGELES