L'Italo-Americano

italoamericano-digital-1-17-2013

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L'Italo-Americano PAGINA  14  GIOVEDÌ  17  GENNAIO  2013 Dieci anni fa moriva Gianni Agnelli, figura leggendaria della vita italiana ed amico intimo dell'America di Kissinger ROMA - ''Io e l'Avvocato? Fu l'America a farci incontrare, la prima volta. Lo ricordo benissimo. E da allora è nato un rapporto di curiosità, di simpatia e di dialogo che è andato avanti negli anni. Anni e ricordi nei quali sono entrati, in varie circostanze, personaggi internazionali come Henry Kissinger, Katharine Graham e Margaret Thatcher''. A dieci anni dalla morte dell'Avvocato, è il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano ha ricordare il primo incontro con Gianni Agnelli, a New York nell'aprile del 1978. ''Agnelli non era un uomo dogmatico, né chiuso nel suo ruolo, semmai il contrario. Aveva una varietà di interessi e di orizzonti abbastanza rara. E soprattutto a me è sempre sembrato un uomo assolutamente libero, mai frenato da vincoli o pregiudizi. Aveva un interesse autentico per le persone, per la conoscenza diretta delle persone'', afferma Napolitano. ''Quello che aveva con gli USA era un rapporto straordinario, di conoscenza e di intimità, e lo ha usato a favore dell'Italia in più occasioni'', sottolinea il Presidente. È stato, per gli americani che contano, il volto di un'Italia moderna, non provinciale''. Ufficiale gentiluomo e grande viveur con cultura cosmopolita, Gianni Agnelli è stato un emblema di stile, vero e proprio ambasciatore dell'eleganza nel mondo per mezzo secolo. E più usciva dai canoni e più veniva considerato elegante. Un mito, celebrato persino da un quadro di Andy Warhol, che in tanti hanno cercato di imitare. nale, Gianni Agnelli è stato protagonista per oltre mezzo secolo anche nello sport. Una passione innata, che lo portava ad essere super-tifoso così Quando una volta gli chiesero se avrebbe rinunciato a uno scudetto della Juve per un mondiale vinto dalla Ferrari, il senatore a vita rispose con una di quelle sue frasi Giovanni Agnelli, il celebre fondatore della casa automobilistica FIAT Oltre ad essere il più importante uomo d'affari della storia italiana, grande estimatore dell'arte (nel 2002 lasciò alla città di Torino un patrimonio inestimabile di quadri, devolvendo la sua pinacoteca privata) e, appunto, figura di spicco del Jet-set internazio- come straordinario interprete del fair play, tanto da diventare membro d'onore del Cio, che l'aveva chiamato tra i grandi saggi per la riscrittura della Carta olimpica. In particolare due furono le sue passioni, al di là dello sci e della vela, la Juventus e la Ferrari. che hanno fatto la storia: "No, non rinuncerei a nessuno scudetto della Juve, l'una cosa non esclude l'altra". Impossibile del resto, per l'Avvocato, scegliere tra la Vecchia Signora e le rosse di Maranello, entrate di prepotenza nella sua vita grazie all'incontro - negli anni '50 - con Enzo Ferrari. ''Un uomo semplice, con il quale era facile trattare", diceva Agnelli del Drake. "Con lui era sufficiente una stretta di mano per concludere un accordo". I due divennero subito grandi amici. E, grazie alla collaborazione tra Ferrari e Fiat, arrivarono le vittorie in Formula 1. Ma cosa penserebbe l'Avvocato dell'Italia e del mondo in generale di oggi? ''Credo si troverebbe molto male in questa Italia. Si sentirebbe spaesato, un principe rinascimentale privato del Rinascimento'', afferma Carlo De Benedetti, uno degli industriali italiani più noti e già amministratore delegato della FIAT nel 1976. ''Nel '76, prima di andar via, misi sul tavolo dell'Avvocato una scelta drastica: bisogna tagliare subito 25mila persone. Ci pensò due giorni, poi mi rispose: non si può fare'', ricorda. ''In quella risposta c'erano l'eredità morale del nonno, il senso di un impegno preso nei confronti del paese e di Torino e anche il rispetto dell'onore operaio. Dal punto di vista dell'impresa avevo ragione io, da un punto di vista più ampio, direi storico e sociale, ha avuto ragione lui''. Parlando della FIAT, ''credo sarebbe stato affascinato da Marchionne e, in particolare, il ritorno in America della Fiat lo avrebbe eccitato'', dice De Benedetti. La musica italiana cambia la vita ad un povero del Sud Africa DOM SERAFINI Le canzoni italiane e un fantastico talento lirico hanno cambiato il futuro ad un povero ragazzo nero del Sud Africa. Infatti, Mthetho Maphoyi aveva quattro anni quando il padre lo abbandonò assieme alla madre in una catapecchia nel ghetto di Hermanus, vicino a Città del Capo. L'abbandono fu traumatico e ancora adesso il ragazzo ha viva la memoria di come ammirasse e gli piacesse ascoltare il padre quando cantava. Come ricordo, il padre gli lasciò un Cd di canzoni italiane di Luciano Pavarotti: un misto di arie operistiche e canzoni classiche napoletane. Per tenere viva la sua memoria, Mthetho, senza conoscere una parola d'italiano, cominciò pian piano non solo a memorizzare le frasi delle liriche nel Cd, ma addirittura a coglierne le sfumature degli accenti. Ingaggiato dal coro della sua scuola, cominciò a insegnare ad altri coristi a cantare le canzoni italiane, fino a creare un gruppo di sei ragazzi. Sbarcavano il lunario con le elemosine ricavate cantando nelle piazze e presso i ristoranti italiani della zona. Nel frattempo, la madre muore di Aids, e senza una guida o punti di riferimento, viene trascinato nel mondo della criminalità e delle guerre fra bande, tanto da procurarsi una ferita da coltello, di cui conserva lo sfregio sul viso. Mthetho aveva raggiunto il fondo e non aveva altre vie se non la rimonta. Infatti, durante una delle tante esibizioni per strada, fu notato da un pianista locale, Derk Baisse, che lo prese con sé perché lo accompagnasse durante i suoi ingaggi musicali. Allo stesso tempo, un amico lo Pri che gli dedicò un programma che a sua volta risultò in una esibizione presso la prestigiosa conferenza Ted 2012 (dove partecipano cinquanta dei più importanti personaggi di diversi campi del mondo) a New York City. Persino il "Wall Street Journal" si è occupato di lui e recentemente Mthetho è stato ospite della rete Mthetho Maphoyi segnalò al concorso "Black Tie Ensemble" per giovani talenti neri, presso il Teatro Lirico di Pretoria. Il ragazzo vinse il concorso battendo 100 concorrenti ed assicurandosi un segmento nel programma "The Creators" della produttrice e regista americana Laura Gamse, che stava girando un documentario su di un gruppo di talentosi sud-africani. Il documentario fu concluso nel 2011 quando Mthetho aveva 21 anni e portò il ragazzo all'attenzione della radio pubblica americana Tv Britannica, BBC World America. Da una vita di povertà, abbandono, criminalità e disperazione, il giovane sudafricano è diventato un idolo dell'opera lirica, grazie a Pavarotti e alle canzoni italiane. Sentirlo cantare è emozionante. Ricorda Pavarotti non solo per il repertorio, ma anche per la tonalità e la potenza della voce. Ora non gli rimane che fare un tour in Italia e forse imparare anche a parlare italiano.

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