L'Italo-Americano

italoamericano-digital-1-17-2013

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L'Italo-Americano GIOVEDÌ  17  GENNAIO  2013 PAGINA  5 Si spegne la donna ma l'attrice Mariangela Melato continua a brillare, vera stella del teatro e del cinema italiano VALENTINA CALABRESE L'Italia in questi giorni, piange la scomparsa di una vera stella del teatro e del cinema italiano, Mariangela Melato, spentasi venerdì 11 gennaio, a 71 anni, dopo aver lottato con forza contro il cancro. L'attrice abbandona in silenzio il mondo e in particolare un Paese che non potrà Rinascente per pagarsi i corsi di recitazione di Esperia Sperani. Nel 1960, non ancora ventenne, entrò nella compagnia di Fantasio Piccoli, esordendo come attrice in "Binario cieco" di Carlo Terron, rappresentato al Teatro Stabile di Bolzano. Dal 1963 al 1965 lavorò con il Premio Nobel Dario Fo in "Settimo: ruba un po' meno" e Mariangela Melato, "attrice nel senso antico della parola" fare a meno di continuare ad adorarla e idolatrarla. Mariangela Melato era prima di tutto una donna dalla personalità spiccatissima, forte come lo erano le donne del passato, sempre positiva, e interessata al mondo che la circondava. Una donna e un'interprete indimenticabile, in grado di convincere tutti, recitando sia in ruoli leggeri che tragici: celebre è la sua interpretazione di Medea a teatro. Il suo volto, pur non rispecchiando i tipici canoni della bellezza femminile, era straordinario e il suo sorriso, illuminante; la voce, poi, con cui lavorava ogni giorno, era profondissima e la sua gestualità misurata e potente al contempo. Nasceva a Milano nel 1941, figlia di un vigile urbano e di una sarta, non fu dunque facile per l'attrice, seguire il suo sogno, ma lei, a quanto pare, non conosceva nemmeno il significato del termine arrendersi. Da giovanissima studiò pittura all'Accademia di Brera, disegnando manifesti e lavorando come vetrinista a La La Melato in "Bianco e Nero" "La colpa è sempre del diavolo". Nel 1966 fu ingaggiata dallo Stabile di Trieste e nel 1967 lavorò con Luchino Visconti ne "La monaca di Monza". Nel 1968 arrivò la sua affermazione definitiva ne "l'Orlando furioso" di Luca Ronconi. Grazie al teatro e alla sua esperienza maturata sul campo, il cinema la scopre e Pupi Avati, prima degli altri, la recluta in "Thomas e gli indemoniati" nel 1969, data che segna l'inizio di tanti altri ingaggi. Tra gli altri, vogliamo citare: "Per grazia ricevuta" di Nino Manfredi, "La classe operaia va in paradiso" di Elio Petri, "Travolti da un insolito destino nell'azzurro mare d'agosto" di Lina Wertmuller, "La poliziotta di Steno" e "Caro Michele" di Mario Monicelli e a fine anni Settanta "Casotto" di Sergio Citti. Alternando film drammatici, commedie, e messe in scena a teatro, Mariangela Melato, entra pian piano nel cuore degli italiani, e iniziano i paragoni, con attrici del calibro di Claudia Cardinale e Monica Vitti. Cinema e teatro, teatro e cinema, i suoi due più grandi amori, ma senza dubbio, la sua prima e necessaria passione era il teatro: la cura quasi maniacale con cui preparava i personaggi, determinava la sua cifra stilistica; un' interprete unica, che ogni regista vorrebbe avere al suo fianco. Dal 1993 è stata legata al Teatro Stabile di Genova, per cui ha messo in scena, tra gli altri, "Un tram che si chiama desiderio" e "L'affare Makropulos", con Ronconi. La sua performance più recente è stata anche una tra le più popolari, e risale proprio a pochi giorni fa, a Capodanno, La Melato con Giancarlo Giannini in "Travolti da un insolito destino nell'azzurro mare d'agosto" che la fece amare dal grande pubblico quando su Rai Uno era stata ritrasmessa la sua "Filumena Marturano", a fianco di Massimo Ranieri: una trasposizione televisiva del capolavoro di Eduardo De Filippo, girata proprio per il piccolo schermo nel 2010. Una Filumena unica, che va al di là delle categorie di spazio e tempo: proprio come il suo talento inarrivabile. "Mi considero un'attrice nel senso antico della parola - dichiarò in un'intervista, all'indomani del successo di "Travolti da un insolito destino nell'azzur- ro mare d'agosto" - e un'attrice deve poter fare tutto, teatro, cinema, tv. E deve far piangere o ridere il pubblico, usando in modo diverso sempre i soliti ingredienti: la faccia, gli occhi, la bocca, il corpo. Senza troppi travestimenti". I funerali si sono tenuti a Roma sabato 12 gennaio alle ore 15, presso la Chiesa degli Artisti in Piazza del Popolo, dove familiari, artisti, e fan hanno potuto ricordare la sua bravura, personalità e il suo indimenticabile sorriso. La dura legge dei Golden Globes: quando l'Oscar (per qualcuno) diventa un tabù SIMONE BRACCI La verità, Gringo, è che i Golden Globes sono stati a lungo considerati i minori tra i due grandi premi cinematografici annuali. Sono scelti dai giornalisti stranieri e hanno pochi motivi per tenere alta l'attenzione pubblica, tanto che spesso sono stati criticati per essere troppo "di categoria", poco attenti al mainstream e in un certo senso snob, quasi elitari. Anche perché solitamente differiscono in tutto e per tutto dagli Oscar, quasi fossero una rivalsa anticipata sulle voci che danno i probabili vincitori alle statuette favoriti. Come a dire: "da noi si giudica in maniera diversa". E pur rimanendo nell'alta qualità, spesso quei pronostici sono ribaltati e alla vittoria arrivano star nemmeno nominate per gli altri. Oppure succede il contrario, come accaduto in quest'edizione 2013 in cui nella categoria miglior regista presso gli Academy's è arrivato un secco no a Kathryn Bigelow, Ben Affleck e a Quentin Tarantino, che erano invece in lizza per i globi d'oro. Tant'è che ha vinto il bell'Argo, proprio diretto da Affleck. Ogni categoria ha la sua differenziazione, ma chi ha più importanza nel mondo della pro- Jim Carrey e Ben Affleck vincitori del Golden Globe ma snobbati dall'Academy duzione cinematografica? Viene da chiederselo. Chiaro succede che anche i due ambiti premi collidano, come nel caso del film "The Avengers", portatosi a casa in entrambe le serate di gala i migliori effetti visivi, ma la realtà recita il contrario: Jim Carrey su tutti, vincitore due volte consecutive ("The Truman Show" e "Man on the moon") e mai in gara per gli Oscar. Scandaloso. La risposta, facilmente sovvertibile, punta ad un sostanziale pareggio, perché laddove le categorie più disparate sono state create per dare il minor numero possibile di "torti" (i Globes hanno anche musical e commedia, differenziati da dramma ecc.), dall'altra le regole della Hollywood repubblicana e democratica contemporaneamente, portano spesso a scelte di-scutibili e mai totalmente condivise. Perché ogni annata ha il suo talento, ogni stagione il suo guru e spesso i votanti si la-sciano prendere la mano dalla moda del momento. Per evitare di scandalizzarsi, basti pensare che entrambi gli appuntamenti hanno come obiettivo il massimo della visibilità mediatica, le immagini devono fare il giro del mondo e stamparsi nella mente di chi guarda quale polo di riferimento internazionale. Poi viene il glamour al secondo posto, quello sdoganato, commerciabile. Sul terzo gradino del podio, infine, si piazza il cinema di prestigio e i suoi condottieri, che, come ogni arte vanesia, diventano "solo" un elegante accessorio.

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