L'Italo-Americano

italoamericano-digital-12-13-2018

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GIOVEDÌ 13 DICEMBRE 2018 www.italoamericano.org L'Italo-Americano IN ITALIANO | 29 LA VITA ITALIANA TRADIZIONI STORIA CULTURA C ari lettori, dicembre, il mese in cui festeg- giamo il Natale e can- tiamo inni come "Pace in terra, agli uomini di buona volontà dal Re dei cieli pieno di grazia", e il recente scoppio di antisemitismo e sparatorie di massa alla Sinago- ga di Pittsburgh, mi hanno ricor- dato che uomini e donne di buona volontà sono ancora in giro, ma le loro storie sono in gran parte non raccontate. Pertanto, voglio condividere con voi la storia di un salvataggio ad opera di uomini Giusti della Seconda Guerra Mondiale, a tutt'oggi quasi totalmente priva di documentazione. È stata racconta- ta da Ivo Herzer e riguarda il sal- vataggio degli ebrei croati da parte dell'Esercito italiano. *** L'Esercito italiano salvò migliaia di ebrei dai nazisti e dai loro collaboratori ovunque l'Eser- cito italiano arrivasse come poten- za occupante: in Jugoslavia, in Grecia, nel sud della Francia e in Albania. Tuttavia, a distanza di anni dalla tragedia dell'Olocausto, l'intera storia di come gli italiani hanno salvato gli ebrei rimane in gran parte sconosciuta. *** Il 30 luglio 1941, con falsi per- messi di uscita, lasciammo la nostra casa e salimmo su un treno per Spalato (Split), la capitale della Dalmazia. A metà strada verso la nostra destinazione, il viaggio si interruppe, perchè i combattenti avevano fatto saltare in aria una parte dei binari. Desti- no volle che fossimo bloccati a Gospic, la città dove è nato uffi- cialmente il movimento fascista croato. Mentre lasciavamo il treno, una lunga colonna di fami- glie ebraiche, in catene e con indosso distintivi gialli, veniva fatta marciare verso i camion in attesa di essere portate nel vicino campo di concentramento. Superammo il confine e andammo a nasconderci a Susak, vicino a Fiume, ma la polizia ita- liana ci trovò dopo poche settima- ne. Dopo una notte in prigione con altri 20 rifugiati, i carabinieri ci portarono tutti in autobus fino alla città di Cirquenizza, sulla costa adriatica, sede del V Corpo della Seconda Armata, e ci libera- rono. A Cirquenizza, mio padre e altri due andarono a trovare il comandante della guarnigione, il maggiore Cipolla. Il maggiore spiegò che eravamo autorizzati a rimanere e che eravamo sotto la protezione dell'Esercito italiano. Voleva i nostri nomi e indirizzi per avere un migliore controllo sulla nostra sicurezza fisica poi- ché le autorità locali croate pote- vano essere una minaccia per noi. Il maggiore Cipolla sottolineò anche che voleva sapere imme- diatamente se gli Ustasha avesse- ro cominciato a maltrattarci in qualche modo, ma ci chiese di capire la sua posizione nei con- fronti dei croati. Aveva dovuto cedere su certe cose affinchè la nostra sicurezza non fosse messa in pericolo. In particolare, dove- vamo ancora indossare i distintivi gialli con la Z iniziale (per ebrei in croato) e non avevamo il per- messo di usare le spiagge pubbli- che in città. Nove giorni dopo il nostro arrivo, avemmo la prima prova di quello che si rivelò essere un coe- rente atteggiamento italiano di considerazione umana e sensibi- lità verso la nostra situazione. Lo Yom Kippur cadde l'1 otto- bre. La città di Cirquenizza e l'a- rea circostante erano sotto la legge marziale italiana a causa di sporadiche attività di guerriglia. Le assemblee pubbliche furono proibite e fu imposto il coprifuo- co alla popolazione. Dato che non c'era nessuna sinagoga in città, il maggiore Cipolla informò i nostri rappresentanti che avrebbe revo- cato il divieto di riunione per noi in modo da lasciarci tenere i riti dello Yom Kippur in una stanza della scuola che aveva messo a nostra disposizione. Il suo aiutan- te si presentò ai riti in sua rappre- sentanza e, in risposta alle espres- sioni di gratitudine di mio padre, ribadì che l'Esercito italiano garantiva la nostra sicurezza. Poco prima del Natale del 1941, un gruppo di intrattenitori italiani arrivò in città per dare uno spettacolo per le truppe. Con nostra sorpresa, il maggiore Cipolla invitò i profughi ebrei allo spettacolo. Perplessi e un po' a disagio, arrivammo all'auditorium e vedemmo che eravamo gli unici civili presenti. Un ufficiale ci introdusse e ci fece sedere molto cortesemente in prima fila con gli altri ufficiali, spiegando che era- vamo i loro ospiti d'onore. La band suonò l'inno nazionale italiano e, mentre ci alzammo tutti, mio padre mi sussurrò: "Se sopravvivremo alla guerra, non dimenticheremo mai come gli ita- liani ci hanno salvato la vita!". Verso la metà del 1942, la maggior parte degli ebrei croati era stata deportata dagli Ustascia nei campi di sterminio in Croazia. Il destino degli ebrei croati rima- sti, inclusi quelli sotto tutela ita- liana, fu sancito dal trattato tra Germania e Croazia in cui la Croazia accettò di consegnare tutti i suoi ebrei ai tedeschi per la deportazione a "est". La richiesta tedesca per la nostra estradizione raggiunse lo stesso Mussolini che, nonostante le obiezioni dell'Esercito e del Ministero degli Esteri, approvò il trasferimento. Tuttavia, il coman- dante dell'esercito italiano in Croazia, il generale Mario Roatta, sostenuto da tutto il suo staff e dal comandante generale dei carabi- nieri, Pièche, decise di sabotare l'ordine. Furono sostenuti da alti funzionari del Ministero degli Esteri italiano a Roma, incluso il capo della segreteria del conte Ciano. I civili e l'Esercito elabora- rono un piano di salvataggio attentamente orchestrato, basato sul fatto che fino a quel momento l'Italia non aveva mai consegnato i suoi ebrei ai nazisti. Pertanto, era necessario scoprire chi, tra i rifu- giati, aveva diritto alla cittadinan- za italiana e ci sarebbe voluto molto tempo. Tuttavia, i tedeschi persistette- ro ostinatamente nelle loro richie- ste e la "squadra di soccorso" ita- liana decise di internare tutti gli ebrei sotto il controllo italiano in Jugoslavia. L'internamento rimos- se le argomentazioni tedesche sulla presunta minaccia di spie alleate tra i rifugiati e diede agli italiani uno schermo conveniente dietro il quale avrebbero potuto sostenere di condurre le indagini sulla cittadinanza. All'inizio del novembre 1942, fummo portati al campo di Porto Re (nella zona di occupazione italiana) in cui 1.161 rifugiati furono internati. Il campo si sviluppò in una vera comunità, con l'aiuto dell'E- sercito italiano. Poco dopo il nostro internamento, un edificio fu designato per gli eventi comu- nitari e un altro per i servizi reli- giosi. Celebrammo la festa della Pasqua nel 1943 con il comandan- te del campo e il suo staff come ospiti. Tra noi c'erano molti profes- sionisti, tra cui diversi insegnanti di scuola secondaria e universita- ria e il Comando dell'Esercito ci aiutò a creare una scuola seconda- ria dove completai il mio anno da liceale. Nel febbraio del 1943, il mini- stro degli Esteri tedesco Von Rib- bentrop incontrò Mussolini a Roma e, durante i colloqui, richie- se specificamente il rilascio degli ebrei croati in Germania. Mussoli- ni si arrese di nuovo, ma il genera- le Robot, comandante dell'Eserci- to italiano in Jugoslavia, riuscì a far cambiare idea a Mussolini. Mussolini avrebbe riferito a Robot "... Sono stato costretto ad accon- sentire all'estradizione, ma puoi inventare tutte le scuse che vuoi affinché nessun ebreo venga estra- dato". Così finì l'unica istanza del- l'intera storia dell'Olocausto in cui burocrati, militari e civili, di un potere dell'Asse salvarono gli ebrei stranieri dai nazisti.

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