L'Italo-Americano

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L'Italo-Americano GIOVEDÌ  4  APRILE  2013 PAGINA  13 Tarantino, cognome italiano come la passione per gli spaghetti-western: quando il remake è il 'furto' del grande artista VALENTINA CALABRESE Quentin Tarantino è in assoluto uno dei registi più famosi e amati dal mondo moderno. I suoi film, dai tratti distintivi particolarissimi, sono un continuo rimando al cinema del passato, al cinema d'azione di Hong Kong, agli spaghetti-western, ai polizieschi e noir della Nouvelle Vague francese e del cinema britannico. Le sue, chiamiamole, citazioni, non sono per nulla velate, ma spesso sono messe in risalto, per dare degli indizi ai suoi spettatori, che immagina maniacalmente cinefili come lui. La critica, seppur entusiasta dei suoi lavori, ha sempre contestato il limite tra il plagio e le citazioni, che spesso è oltrepassato da Tarantino, il quale, con il classico spirito che lo contraddistingue, si è sempre difeso, chiamando in causa una famosissima frase di Pablo Picasso: "I grandi artisti non copiano, rubano". Le citazioni di Tarantino nascono dall'amore che prova sinceramente per questi generi, con cui è cresciuto, frequentando i cinema fin da bambino e ancora di più mentre lavorava in un videonoleggio. Tale amore fa parte dei suoi film e si rispecchia nelle citazioni, nei dialoghi e nei veri e propri omaggi che rimandano ai generi e allo stile che ama. Tra i registi preferiti figurano, per nostro grande orgoglio, molti italiani: Sergio Leone in prima linea ma anche Sergio Corbucci, Mario Bava, Sergio Sollima, Enzo G. Castellari (dal quale ha ripreso il titolo Inglorious Basterds storpiando il suo Inglorious Bastards, in originale Quel maledetto treno blindato), Antonio Margheriti (citato anche lui in Inglourious Basterds), Sergio Grieco (in Jackie Brown Robert De Niro e Samuel L. Jackson guardano in Tv La belva col mitra, diretto proprio da Grieco). Tutta colpa, o merito, della madre di Tarantino, Connie McHugh, la quale, presasi una cotta per Clint Eastwood, portò il piccolo Quentin a vedere i film di Sergio Leone: Per un pugno di dollari, Per qualche dollaro in più, Il buono, il brutto, il cattivo. Da quel momento in poi tutto cambiò nella vita di Quentin: "Era la fine degli anni Sessanta e uscirono uno dopo l'altro. Per me rappresentano la presa di coscienza del cinema, l'origine della passione per la forza emotiva dei generi". Il western all'italiana fu una vera e propria rivoluzione che portò i giovani ad appropriarsi del genere e a diventarne maniacalmente attratti. Sergio Leone nel 1964, con Per un pugno di dollari, inaugurò un nuovo genere, più brutale, più rozzo e più cruento che mai. Fino al 1970 le produzioni di western in Italia fu più prolifica che mai: furono girati oltre 500 film negli studi romani di Cinecittà e soprattutto alle porte della città spagnola di Almeria. Si trattava per lo più di film di bassa qualità con il solito monotono tema di fondo del cacciatore di taglie. Banditi astuti e dialoghi brevi facevano parte del repertorio del genere del nuovo western, così come le sanguinose sparatorie (con abbondante succo di pomodoro). Per questo i critici stranieri parlavano di spaghetti-western. Tarantino che in quegli anni era solo un ragazzino, restò affascinato da quel mondo e iniziò ad amare tutto di quei film: "Quello che amavo di più di questi film era il tentativo di vedere il West com'era, senza idealizzarlo, con le mosche, la sporcizia, la vita miserabile, la crudeltà, il sadismo. E se pure i buoni avevano il cappello bianco e i cattivi nero, la cosa più grande è che non c'è più il buono e il cattivo, c'è ambiguità, gli eroi non sempre lottano per una nobile causa, lo fanno anche per il soldo o per vendetta. Eastwood in fondo era un mercenario". L'ultimo film di Tarantino, Django Unchained, è un omaggio assoluto a questo cinema, non attraverso una citazione ma realizzando un remake. Il titolo stesso si rifà al film originale di Sergio Corbutti dell'anno 1966. Quentin Tarantino, affascinato sin da piccolo dai western all'italiana per i film di Marco Bellocchio, per fare un esempio, come pure per le pellicole con Barbara Bouchet e Edwige Fenech, o quelle dirette da Martino e Castellari. Quando li ho avuti presenti in sala per la prima italiana di Bastardi senza gloria mi sentivo come abbracciato dai miei miti, finalmente vedevo di persona eroi che per me stavano in un immaginario potente, come se un regista di oggi potesse incontrare i divi del muto". Difficile controbattere. Tarantino è un grande amante del nostro cinema ed è forse grazie al suo interesse che il cinema di Gli eroi degli "spaghetti western" che tanto ispirano Tarantino Franco Nero, che negli anni '60 divenne celebre interpretando il ruolo di Django, compare nel film di Tarantino, in una breve sequenza in cui si imbatte nel suo successore Jamie Foxx. Alla domanda, da parte dei giornalisti curiosi della sua cinefilia, su quale dei due spaghetti western preferisca, tra quello di Leone o quello di Corbucci, Tarantino risponde: "È difficile dare un giudizio così netto. Corbucci è stato più prolifico, Leone ci ha messo di più a fare i suoi film perché aveva il grandioso progetto di creare una mitologia attraverso i suoi western, diventati una categoria a sé. Io amo il cinema italiano, non ho visto vostri film nell'ultimo anno perché sono stato impegnatissimo, ma davvero sono un fan del cinema tricolore. Questo vale genere italiano è stato promosso e oggi è oggetto di libri e studi. Purtroppo per noi, Tarantino non nutre analogo amore per il cinema italiano del presente. Ma come dargli torto? Dopo la sua dichiarata delusione per il nostro cinema, i critici italiani sono letteralmente impazziti, quasi come se riaffiorasse in loro un sentimento nazionalista mai esistito prima. Difficile però difendersi da accuse e critiche reali. "Non conosco il cinema italiano di oggi, non si vede a Los Angeles, gli ultimi successi in sala sono Il postino e La vita è bella. Qualche titolo esce, ma non ha la risonanza che un tempo avevano i film italiani: colpivano, scandalizzavano, facevano storia. A Cannes ero a una tavola ro- tonda e un giornalista italiano ha detto: "non è triste la situazione dell'industria italiana?". "Sì, è triste". Un'industria per crescere, con i film d'arte dei maestri, ha bisogno del cinema popolare dei generi e dall'Italia non arrivano nomi giovani con film d'azione. Dalla Corea o dalla Russia arrivano film rivoluzionari come Old boy o Nightwatch: perché non fate niente di così forte in Italia? E non c'è bisogno della sala, il successo di tanti autori asiatici viene solo dal mercato dei dvd, in cui i titoli italiani nuovi sono scarsissimi". E pensare che le critiche sono state mosse da uno che del cinema italiano di genere ha fatto la miglior fortuna: "Senza gli spaghetti western non esisterebbe buona parte del cinema italiano. E Hollywood non sarebbe la stessa cosa". Il dolly più veloce del mondo per riprese high speed MANUEL DE TEFFÉ Bisognava costruire il dolly più veloce del mondo per seguire l'animale più veloce del mondo. Bisognava filmare un ghepardo in corsa parallela senza oscillazioni di focale o balbuzie stilistica, celebrandone fluidità muscolare e sovrannaturale supremazia di scatto. E per farlo, bisognava costruire il dolly più lungo e veloce del mondo. Alla fine dello scorso anno, nello zoo di Cincinnati, con camera Phantom Flex a 1200 fotogrammi al secondo, il regista Greg Wilson e Il team del National Geographic sono riusciti in una ripresa storica: hanno costruito il dolly più rapido e lungo del mondo firmando una pagina di sublime cinematografia. Durante i giorni di lavoro uno dei ghepardi usati durante le riprese ha anche stabilito con felina nonchalance il record assoluto di 100 metri in 5,95 secondi. C'è un famoso detto Hollywoodiano applicato alla scrittura cinematografica…Fa più o meno così: "If the scene is about what the scene is about, you're in deep shit." Traslato e parafrasato chic: se riprendi un ghepardo che corre, per riprendere un ghepardo che corre, hai sbagliato tutto…Devi riprendere un ghepardo che corre per mostrare che dietro al ghepardo che corre non c'è nessun ghepardo. Zen? No, è la storia dell'arte for dummies. Difatti l'arte dietro a questa "miracolosa" ripresa fa pensare. Ecco quello che ho visto dietro al ghepardo che corre. Sappiamo con sicurezza che la strada più veloce da A e B è la linea retta. In teoria. In pratica arriviamo sempre a B dopo una serie di infinite gimkane. Gli obiettivi si spostano o si perdono di vista. Ecco allora che di fronte a una B molto importante, bisogna mettersi su binari inequivocabili per non cadere nelle spire di imprevisti o aspettare eserciti di Godot nel deserto dei tartari. Non basta avere un buon obiettivo per raggiungere la meta. Nè correre velocemente. Il segreto è avanzare senza far oscillare l'obiettivo. Perché con i sobbalzi gli obiettivi si logorano, il fuoco va a carte 48 e la visione è compromessa. Letteralmente. Per farlo l'unica strada è costruire un lunghissimo dolly che tenga fissi A con B, sul quale l'obiettivo possa slittare senza tentennamenti verticali e sbandamenti orizzontali. L'obiettivo, ripeto, non deve oscillare. La meta diventa il percorso che si fa con l'obiettivo in mano su un binario veloce inseguendo senza distogliere il fuoco da un cheetah. Bisogna costruire il dolly più veloce del mondo. La speranza è il miglior dolly esistente. Essa è legata alla meta, perchè ha in sé il dna della meta. È la meta che si fa percorso e ti tira in avanti. Su di essa gli obiettivi non conoscono sobbalzi. La speranza è un salto quantico continuo, incontra promesse di meta su ogni punto del suo percorso e ti distrae dalla lunghezza del viaggio. Bisogna cotruire il dolly più veloce del mondo. Bisogna che anche quest'anno la speranza vada in guerra. Strumenti di ripresa

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