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www.italoamericano.org 11 L'Italo-Americano IN ITALIANO | GIOVEDÌ 6 FEBBRAIO 2020 T utti sanno che in Italia lo sport nazionale è il calcio. Poi il ciclismo, lo sci e la Formula Uno, sport a cui il Paese ha sempre dato grandi campioni. Il nostro rapporto con il basket è sicuramente più sfumato: da ragazzi ci giochiamo durante l'ora di educazione fisica; da ado- lescenti diventa uno dei tanti sim- boli della cultura americana, cosa che ancora oggi affascina e incanta i giovani italiani. Eppure, la recente scomparsa di Kobe Bryant ha lasciato un segno profondo nel Paese, forse più di quanto ci si aspetterebbe: ci sono, naturalmente, le tragiche circostanze della sua scomparsa. C'è il fatto che era giovane e famoso, che era un marito e un padre. C'è la tragica consapevo- lezza di come la vita di uno dei suoi figli, Gianna - un nome così italiano, una versione breve della delicata "Giovanna" - sia stata portata via dall'incidente, troppo presto, troppo giovane. E poi, c'è la consapevolezza che le famiglie - i Bryant, ma anche quelle delle altre persone che sono scomparse nell'inciden- te - sono state distrutte dal dolore. La pura e semplice consapevolez- za della fragilità della vita e del- l'ineluttabile natura della morte: in effetti, John Donne aveva ragione quando scriveva non chiedere mai per chi suona la campana; suona per te. Il compa- gno di squadra e amico di Bryant, LeBron James, lo ha detto bene durante il suo commovente e sen- tito discorso allo Staples Centre venerdì scorso: la morte di Kobe ci costringe tutti a mettere ordine nelle nostre priorità di vita. La morte di Kobe Bryant ha significato tutto questo per l'Italia. E qualcosa di più. Perché il legame tra il nostro Paese e la star dell'NBA era profondo, reale e significativo, anche se non molti lo sapevano. Qui Kobe aveva imparato a gio- care. Qui aveva scoperto il suo amore per questo sport. Qui il suo sogno aveva cominciato a diven- tare realtà. E lui non l'ha mai dimenticato. Il padre di Kobe, Joe "Jellybean" Bryant, aveva gio- cato nell'NBA molte volte, quan- do alla fine decise di passare gli ultimi anni della sua carriera in Europa. L'Italia era il posto che il destino aveva scelto per lui e così, nel 1984, lui e la sua fami- glia, tra cui Kobe, 6 anni, si tra- sferirono a Rieti, una bella citta- dina a circa 50 miglia da Roma, dove Joe giocava per la squadra locale, l'AMG Sebastiani. Qui i Bryant hanno trascorso tre anni: "Abbiamo sempre tenuto due occhi sulla palla e due occhi su di lui", ha detto Antonio Olivieri, ex compagno di squadra di Joe Bryant, a proposito del giovane Kobe. "Era un ragazzino quando era qui a Rieti. Ricordo che Joe lo portava sempre in palestra... si arrampicava nei cerchi mentre giocavamo", ha continuato Olivieri in un'intervista alla Reuters. Da lì i Bryant si sono trasferiti a Reggio Calabria, proprio nella punta dello Stivale, dove Kobe, che aveva 8 anni, ha iniziato ad allenarsi con la squadra giovanile del posto: "Si muoveva come una pantera, prendeva il controllo del pallone e giocava in tutte le posi- zioni", ha detto il suo primo alle- natore, Rocco Romeo, al The Wall Street Journal. La famiglia poi si trasferì di nuovo in Toscana a Cireglio, un piccolo paese vicino a Pistoia che Kobe chiamò casa per due anni. È qui che lui ha ricevuto la sua prima Comunione, un momento importante nella vita di chi è cattolico, e che ha fatto della propria Fede un tratto essenziale della sua vita. Nei giorni successivi alla sua morte, Alessia Pierattini, una vecchia amica di Kobe di Cireglio, ha detto di aver fatto un album foto- grafico, anni fa, con molte foto di quel giorno, e di aver avuto l'oc- casione di mostrarlo a Kobe, sette anni fa: "Una mattina alle 7, il campanello suonò e vidi Kobe", ha ricordato. Nella stessa intervi- sta, pubblicata dalla Reuters, Pierattini ha accennato anche a quanto la star dell'NBA fosse stata amichevole, in quell'occa- sione, con tutte le persone del paese che volevano farsi fotogra- fare con lui. Poi, confidò che lui le aveva detto che avrebbe voluto che le sue figlie vivessero in Italia: "Voglio che vivano quello che ho vissuto io da bambino, una realtà che non esiste in America", aveva detto a Pierattini. Parole che lasciano pochi dubbi sul posto che l'Italia aveva nel cuore di Kobe. Ma il luogo che Kobe ricorda- va con più affetto era, senza dub- bio, la pittoresca ed elegante Reggio Emilia, dove ha vissuto fino al 1991. Che impressione deve aver fatto Reggio a un ragazzino di Philadelphia: più piccolo, senza dubbio, ma così perfettamente completo e pieno di bellezze del Vecchio Mondo. Le piazze, la Basilica della Ghiara, il Teatro Municipale... il cibo! Sì, Reggio, la sua gente cordiale, grintosa e accogliente come sono tutti gli Emiliani, è diventata ben presto la casa e la famiglia dei Bryant e di Kobe in particolare. A Reggio Emilia, Kobe si è sentito veramente a casa, come ha dichiarato nel 2016 a BaskeTime Magazine: "Sono cresciuto qui, qui giravo in bicicletta. C'erano tutti i miei amici, ho molti ricordi, è speciale". Reggio è il luogo dove ha imparato a parlare correntemen- te l'italiano e dove gli piaceva tornare spesso. "Quando, alla fine della sua carriera, Kobe Bryant si è presentato qui a Reggio Emilia, credo che quello sia stato il momento in cui tutta la cittadi- nanza reggiana ha capito la profondità del legame", ha dichia- rato alla CNN il sindaco di Reggio Emilia Luca Vecchi. Kobe ha sempre sottolineato come il tempo trascorso come giocatore della squadra giovanile delle Cantine Riunite (squadra di pallacanestro di Reggio Emilia) sia stato fondamentale per la sua formazione di atleta. Davide Giudici è stato suo compagno di squadra in quegli anni, e con lui si è tenuto in contatto anche in seguito: "Kobe era molto serio e molto professionale. Anche a 10 o 11 anni aveva la mentalità del 'Mamba'", ha detto alla CNN. Nella stessa intervista, Giudici ha anche ricordato un momento particolare che lui e Bryant hanno condiviso negli ultimi anni, e che oggi è diventato ancora più signi- ficativo: durante la sua prima sta- gione in NBA, Kobe e le sue sorelle hanno visitato l'Italia e organizzato una giornata a Reggio Emilia con i loro compagni d'in- fanzia: "È stato un momento indi- menticabile, come quando erava- mo bambini, lì a mangiare il gela- to come persone normali". In più di un'occasione, comunque, Kobe ha sottolineato quanto gli mancas- se lo stile di vita italiano, "come uscire con gli amici in piazza a mangiare un gelato". Davvero, il tempo trascorso in Italia, tra i 6 e i 13 anni, gli ha lasciato una forte impressione, lo ha reso l'uomo che era e lui lo ha dimostrato in una miriade di modi. Alcuni piccoli esempi. Ha dato nomi italiani alle sue figlie, Gianna - come si diceva -Bianka Bella, Natalia Diamante e Capri. Era un grande tifoso di calcio e sosteneva il Milan come un vero tifoso italiano: aveva persino una sciarpa della squadra nello spo- gliatoio dei Lakers. Una volta disse: "Tagliami il braccio sini- stro e sanguinerà nero e rosso", i colori del Milan, "Tagliami il braccio destro e sanguinerà viola e oro", quelli dei Lakers. Conoscendo la passione di Bryant, il Milan ha indossato le fasce nere durante l'ultima partita di Serie A contro il Torino, e prima del calcio d'inizio ha man- dato un video-tributo a Kobe e Gianna sui maxischermi dello sta- dio di San Siro. Non molti italiani conosceva- no l'amore di Kobe Bryant per il nostro Paese. Io non lo sapevo. Ma, in tutta onestà, siamo felici di averlo scoperto. Orgogliosi che si sentisse uno di noi, con il suo talento e le sue imperfezioni; che sentisse che l'Italia sarebbe stata un bel posto dove vivere per i suoi figli. Nel 2011, durante un'intervi- sta a Radio Deejay, una delle nostre radio più popolari, aveva detto che l'Italia sarebbe sempre stata vicina al suo cuore. Oggi vorremmo dire che anche lui sarà sempre vicino al cuore dell'Italia. Kobe Bryant con la maglia della nazionale Americana (Copyright: Dreamstime) Ciao, Mamba: Kobe Bryant e il suo legame con l'Italia SOCIETÀ & CULTURA PERSONAGGI TERRITORIO TRADIZIONI