L'Italo-Americano

italoamericano-digital-5-28-2020

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GIOVEDÌ 28 MAGGIO 2020 www.italoamericano.org 34 L'Italo-Americano ITALIAN SECTION | SOCIETÀ & CULTURA PERSONAGGI PATRIMONIO TERRITORIO A raccontarla così, mentre si celebrano i cento anni della nascita, viene da sor- ridere pensando ad uno dei gran- di scherzi che ogni tanto la Provvidenza si diverte a fare. Uno dei tre Papi che ha regna- to più a lungo in tutta la storia della Chiesa, dopo San Pietro e Pio IX, ha rischiato di non entra- re nemmeno nel Conclave che lo avrebbe eletto. Era il 14 ottobre del 1978. Il pomeriggio romano respirava ancora il fiato caldo della bella stagione e sul lungote- vere si affacciavano i turisti a contemplare il fiume scorrere copioso fra i due argini, tra i bar- coni-ristoranti ancorati e in attesa delle cene al lume di candela di innamorati in cerca di segretezza. In Vaticano i cardinali giunti a Roma da tutto il mondo per partecipare al secondo Conclave nel giro di pochi mesi, dopo il breve pontificato di Papa Luciani, si apprestavano ad entrare nella Cappella Sistina, che avrebbe chiuso i battenti alle loro spalle alle diciassette in punto, per eleggere il suo succes- sore. Al cardinale Wojtyla, venuto da Cracovia, non parve vero di approfittare della giornata di sole per tornare pellegrino al Santuario mariano della Mentorella, oltre mille metri a picco su una rupe del versante orientale del Monte Guadagnolo, tra Tivoli e Palestrina. Lo faceva sempre quando capitava a Roma, tanto più avrebbe dovuto farlo allora, per chiedere alla Vergine delle Grazie il papa che alla Chiesa in quel momento serviva. Pranzo veloce con i Padri polacchi nel refettorio comune, quindi la discesa a bordo della vecchia utilitaria che appena imboccata la statale, prese a sin- ghiozzare e si arrestò. Qualche inutile tentativo per farla riparti- re, poche centinaia di metri a piedi nelle scarpe grosse e sfor- mate, brevi soste con il pollice alzato nel gergo degli autostoppi- sti, fino a che non si fermò un camionista a prenderlo a bordo, e deviando dal suo itinerario, alle preghiere del cardinale, andò a depositarlo a Piazza San Pietro, giusto in tempo per fargli guada- gnare, trafelato e sudato, il porto- ne della Sistina che gli si chiude- va alle spalle alla fatidica ingiun- zione dell'Extra omnes: come a dire chi è fuori è fuori, chi è den- tro è dentro. E lui fu davvero l'ultimo ad entrare. Ne uscì all'imbrunire di due giorni dopo, vestito di bianco, la mozzetta rossa e la stola, per affacciarsi alla loggia della basi- lica, confessare la sua paura per In tempo di pandemia, c'è tutta la forza del monito di Giovanni Paolo II al mondo: 'Non abbiate paura' MARIO NARDUCCI La montagna fu un grande amore di Wojtyla. Alle falde del Gran Sasso gli è stato dedicato un Santuario che amava i suoi monti Tatra, come le Alpi e il Gran Sasso; che scendeva i torrenti con il kajaki; il papa che si affacciava al balco- ne dell'Episcopio di Cracovia per intrattenersi con parole e canti con i giovani che lo prega- vano di restare. Il Papa che dovunque andava, nel mondo, segnava la fine delle dittature, da quella di Marcos a quella di Pinochet a quella di Mobutu o di Jaruzelski nella sua Polonia, era anche il Papa che sollevava a sé i bambini lanciandoli in aria come un papà qualunque, che cammi- nava sorretto da un anziano Fidel, a Cuba; che prendeva dol- cemente per mano Madre Teresa di Calcutta per chinarsi sugli ulti- mi nei lebbrosari d'Africa e del Brasile e baciarne le piaghe feti- de con dolcezza serafica. Ricordo l'attentato di piazza san Pietro, i due colpi di pistola del turco Alì Agca che lo resero prossimo alla morte e che ne minarono per sempre la prestan- za fisica. E quel proiettile portato quale ex voto a Fatima, l'anno dopo, insieme ad una rosa d'oro. Per tutti i ventisette anni di pontificato si portò dietro le stimmate di quell'attentato, fino alla Domenica delle Palme del 2005, quando comparve per l'ul- tima volta alla finestra di Piazza San Pietro senza poter dir parola, ché tutte gli restarono nella gola tracheotomizzata. "Lasciatemi andare" fece intendere a chi ancora una volta voleva ricoverarlo al Gemelli. E se ne andò il 2 aprile, vigilia della festa della Misericordia che egli aveva voluto aggiungere nel calendario. Oltre due milioni di pellegrini pregarono davanti alla salma composta in San Pietro e un mare di folla partecipò ai funera- li, tra capi di stato di tutto il mondo e il libro del Vangelo posato sulla triplice bara e il vento che ne sfogliava le pagine come la mano invisibile di Dio. Milioni di persone volevano "Santo subito" quel ragazzo che aveva avuto per compagni di gio- chi i coetanei del ghetto di Varsavia, quel testimone della storia della seconda metà del Novecento, quell'uomo di chiesa che in 26 anni, 5 mesi e 17 giorni alle 146 visite pastorali in Italia (da Vescovo di Roma visitò 317 delle 332 parrocchie della capita- le) aveva aggiunto 104 viaggi apostolici nel mondo mobilitan- do folle immense, quel pontefice che aveva testimoniato il Vangelo negli angoli più remoti del mondo. Santo lo è diventato appena nove anni dopo la morte, il 27 aprile 2014. In piazza San Pietro c'erano oltre 500mila persone da ogni parte del mondo e si celebrava la il peso di tanto incarico, scusarsi quasi per essere venuto "di lonta- no", per non parlare bene "la vostra, nostra lingua" e aggiun- gere un accattivante "se sbaglio mi corrigerete" che per i romani fu amore a prima vista. Aveva 58 anni. Era il primo Papa non italiano dopo quattro secoli e mezzo. A scorrere anche velocemente la biografia, la sua vita appare tutta un romanzo. Che si dipana fra tragedie private (a poco più di vent'anni resta solo al mondo) e pubbliche, lotte per la libertà del suo popolo, impegno culturale nella clandestinità, duro lavoro nella cava della Solvay, scelta religiosa irremovibile, ascesa al sacerdozio, all'episcopato, al Pontificato, viaggi apostolici nel mondo intero, a quelli che lui chiamava i "santuari dell'uomo"; un poderoso magistero fatto di encicliche e discorsi innovativi, revisione di momenti storici della Chiesa segnati da compor- tamenti poco evangelici, progres- si nell'ecumenismo e nel dialogo con i non credenti, lavoro inces- sante quale contributo ai muta- menti della geopolitica interna- zionale. Fu il primo papa della storia a mettere piede in una Sinagoga, cancellando antichi rancori e contrapposizioni con gli ebrei che definì "fratelli maggiori" dei cristiani; il primo a vedere nei popoli terzomondiali il futuro del cristianesimo, il primo a parlare di "teologia del corpo" in oltre cento catechesi del mercoledì sull'amore sponsale, il primo a riunire ad Assisi le religioni del mondo per una preghiera comu- ne, il primo a promuovere le giornate mondiali della gioventù. Il primo Papa a inginocchiarsi ai piedi dei martiri dei campi di sterminio a Czestochowa e a quelli di Hiroshima e Nagasaki rase al suolo dalla bomba atomi- ca sul finire della seconda guerra mondiale. Io che lo seguivo per il mio giornale ero là, per testi- moniarne i grido di dolore, l'ana- tema contro guerre e dittature, l'appello veemente perché certi orrori non si ripetessero più. Il papa poeta, una delle voci più sensibili della poesia contem- poranea (basta leggere "La botte- ga dell'orefice" e "Trittico roma- no" per rendersene conto), il papa che in gioventù era stato tra i fondatori del teatro jagellionico d'avanguardia, il papa sciatore

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