L'Italo-Americano

italoamericano-digital-2-4-2021

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GIOVEDÌ 4 FEBBRAIO www.italoamericano.org 36 L'Italo-Americano ITALIAN SECTION | SOCIETÀ & CULTURA PERSONAGGI PATRIMONIO TERRITORIO Nei versi malinconici e dai toni tenui di Carducci ecco suoni, colori e sapori della campagna toscana La nebbia avvolge le vigne chiantigiane della campagna toscana (Ph Alessandro Landi da Dreamstime.com) GIUSEPPE LALLI L eggendole sembra di attra- versare la campagna tosca- na. Dalle strofe trasuda un'atmosfera di dolce malinco- nia. Le parole sono pennellate di colori tenui in un quadro impres- sionista. Suoni, odori e sapori della vita semplice, paesana, ci sorprendono ad ogni riga. Quelli che seguono sono i versi di San Martino, breve ma famosa poesia composta nel 1883 da Giosuè Carducci nato a Valdicastello, 1835 e scomparso a Bologna, 1907. Versi che nel secolo scorso, generazioni di bambini italiani hanno imparato a memoria negli anni delle scuo- le elementari: "La nebbia a gl'ir- ti colli piovigginando sale, e sotto il maestrale urla e biancheggia il mar; ma per le vie del borgo dal ribollir de' tini va l'aspro odor dei vini l'anime a rallegrar. Gira su' ceppi accesi lo spiedo scoppiettando: sta il cacciator fischiando sull'uscio a rimirar tra le rossastre nubi, stormi d'uccelli neri, com'esuli pensieri, nel vespero migrar". Giosuè Carducci fu tante cose, scrittore, professore univer- sitario, studioso erudito, politico, ma fu innanzitutto poeta della vita. L'«aspro odor dei vini» è la nota dominante di tutta la piccola lirica, è il motivo musicale che attraversa lo spazio e il tempo e si para davanti ai nostri sensi a rievocarci i profumi dell'infan- zia, insieme all'aria frizzante dei pomeriggi autunnali riscaldati dai «ceppi accesi» su cui girava «lo spiedo scoppiettando». Analogo sentimento si prova in liriche ispirate dal paesaggio che fece da cornice alla sua infanzia, la campagna toscana della Versilia e della Maremma: immagini e ricordi dai quali il Carducci maturo, disilluso dalla politica e provato dal dolore (si pensi a Pianto antico, scritto nel 1871 a poco tempo dalla morte del suo figlioletto), trae forza e coraggio. Ed ecco l'immagine rassicu- rante dei campi arati, che insieme alla fatica e al sudore dei contadi- ni assume nel suo verso un che di sacro: "T'amo, o pio bove; e mite un sentimento di vigore e di pace al cuor m'infondi... (Il bove, 1872). Ed ecco, in Traversando la Maremma toscana (1885), "le nebbie sfumanti e il verde piano ridente ne le piogge mattutine" di quelle colline familiari la cui vista infonde pace al cuore del poeta che, già avanti negli anni, le accarezza con lo sguardo traso- gnato da dietro il vetro del treno che da Bologna lo porta a Roma. E che dire della freschezza e vivacità di colori, non disgiunte da una sottile leopardiana vena di rimpianto, che caratterizza un poesia come Idillio maremmano (1872), con il ricordo della "bion- da Maria", giovane donna cono- sciuta veramente le cui forme giunoniche sono da sole un inno alla vita e alla fecondità? L'immagine di questa ragazza, resa dal poeta così plastica, così desiderabile, parla ai sensi prima ancora che al cuore: "..Com'eri bella, o giovinetta, quando tra l'ondeggiar de' lun- ghi solchi uscivi un tuo serto di fiori in man recando, alta e ridente, e sotto i cigli vivi di selvatico fuoco lampeg- giante grande e profondo l'oc- chio azzurro aprivi!" È questo Carducci intimo e luminoso, romantico suo malgra- do, che più ci attrae. Carducci è il poeta della piccola patria del- l'infanzia - la Versilia e la Maremma, come si diceva – che in lui non è mai ristretto campa- nile ma premessa alla patria più grande, a quell'Italia che egli amò forsennatamente. Carducci fu uomo generoso con la vita, che pure gli riservò sofferenze, delusioni, gioie e angosce, come riserva a tutti, poeti e non poeti (si soffre tutti alla stessa maniera, chi più in alto, chi più in basso…). In lui, tuttavia, l'amore per la vita e per l'azione (fu posseduto, come si sa, dal dèmone della politica oltre che da quello della lettera- tura) non venne mai meno, né mai si abbandonò all'estetismo fine a sé stesso di alcuni scrittori tardo-romantici o, che è peggio, al paralizzante intimismo dei poeti decadenti. La poesia dell'autore delle Odi Barbare (1877) fu la colonna sonora di quell'età di fine Ottocento (l'Italia "umbertina", come dicono gli storici), un'Italia che oggi ci appare operosa e un po' triste, pedagogica e decaden- te, moralista e anticlericale, e che tanta parte ebbe, tuttavia, nella formazione di una coscienza nazionale. Poeta della vita, dunque, il Carducci, che, pur con le sue contraddizioni e le sue umane fragilità, ci commuove e ci inco- raggia. Alla luce di questa vita- lità va forse letto anche il suo tra- sformismo politico. Si sa che il futuro premio Nobel per la lette- ratura rivide molte delle sue gio- vanili posizioni: da giacobino che era stato divenne conservato- re, se non reazionario; da repub- blicano si fece paladino della monarchia sabauda (celebre è rimasta una sua ode alla regina Margherita, vibrante di...regale passione). Al di là di ogni altro giudi- zio, ciò che ci attrae e che cer- chiamo nell'arte, ciò che ci fa sobbalzare il cuore e ci rapisce, è la commozione, il calore, il senti- mento che l'artista riesce a tra- smetterci, quali che siano le sue convinzioni morali o il suo campo di espressione. Musica, pittura, scrittura sono timbri di un'unica voce: la poesia. È poeta colui che fa vibrare le parole come le corde di un violi- no e ci fa assaporare, anche solo per pochi attimi, la bellezza di una melodia che sentiamo posse- dere il timbro dell'eternità. C'è sempre qualcosa di sacro nella vera poesia, che è verità sulla vita. È questo il solo crite- rio che ci è dato per riconoscerla. Giosuè Carducci fu e rimane poeta vero. La vera poesia, al pari della preghiera, può, in que- sti nostri giorni di angoscia, fun- gere da medicina dell'anima.

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