L'Italo-Americano

italoamericano-digital-6-10-2021

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GIOVEDÌ 10 GIUGNO 2021 www.italoamericano.org 29 L'Italo-Americano IN ITALIANO | U na ricerca con- dotta qualche anno fa ha sco- p e r t o c h e l a s t r a g r a n d e maggioranza degli italiani considera la lingua la rap- presentazione più forte del loro "essere italiani". Sembra un'opinione legittima: in un Paese dove le tradizioni e le abitudini culturali possono cambiare profondamente da una zona all'altra, la nostra lingua - e oserei dire la lette- r a t u r a c h e h a p r o d o t t o - r i m a n e u n p u n t o f o r t e i n comune, un modo non solo per comunicare, ma in defi- nitiva per condividere, legare e rafforzare il nostro legame. Tuttavia, la realtà lingui- stica dell'Italia è molto più complessa, come molti italo- americani hanno probabil- mente imparato quando si sono resi conto che la lingua parlata dai loro nonni non era affatto vicina all'italiano standard, ma piuttosto una varietà linguistica a sé stante. Questo perché ogni regione d'Italia ha il proprio idioma, o dialetto, alcuni parlati regolarmente da così tanti individui da aver guadagnato lo status di lingua (napoleta- no, siciliano, ma anche pie- montese nel Nord). L e s t a t i s t i c h e a t t u a l i mostrano che mentre il 46% di noi parla esclusivamente in italiano, il 32% è in grado - e felice - di passare dalla nostra lingua nazionale al proprio dialetto locale, men- tre il 14% parla ancora esclu- sivamente quest'ultimo, con numeri che raddoppiano se si c o n s i d e r a l a f a s c i a d i e t à superiore ai 75 anni. La rilevanza dei dialetti non è una novità, se è vero che il nostro amato Dante aveva già compreso la loro ricchezza linguistica e discus- so la loro esistenza nel De Vulgari Eloquentia, già nel p r i m o d e c e n n i o d e l X I V secolo. Più recentemente, il linguista Tullio De Mauro ha scritto nella sua Storia L i n g u i s t i c a d ' I t a l i a dall'Unità a Oggi che i dia- letti sono un tratto distintivo della nostra cultura. N e g l i a n n i p a s s a t i - i n verità, per la stragrande mag- gioranza del XX secolo - i dialetti erano diventati sino- n i m o d i p r o v i n c i a l i s m o e assenza di cultura, in altre parole, solo i poveri e gli ignoranti li preferivano alla nostra lingua nazionale. Più recentemente, tuttavia, i dia- letti hanno goduto di un'on- data di interesse da parte degli specialisti e della gente comune, che hanno apprez- zato il loro ruolo nella defini- zione del nostro patrimonio e della nostra identità, così come il loro valore dal punto di vista linguistico. Ma perché questa contrap- posizione? Se vogliamo capi- re, dobbiamo approfondire la storia sia dei dialetti che della lingua italiana. C'è un tema importante da chiarire subito: i dialetti non sono una variante dell'italia- no, né un suo imbastardi- mento linguistico: si sono infatti sviluppati, proprio c o m e l a n o s t r a l i n g u a madre, direttamente dal lati- no. Questo può sorprendere molti, perché la credenza popolare li vedrebbe come una versione "minore" dell'i- taliano e di minor valore cul- turale mentre, in verità, i dia- letti sono altrettanto impor- tanti, almeno dal punto di vista della linguistica e della linguistica storica. Pensate a un albero, con il latino come tronco e le lingue romanze e i d i a l e t t i c o m e t u t t i i s u o i rami: non c'è immagine che spieghi meglio ciò di cui stia- mo parlando. Naturalmente, alcuni rami sono più grandi e hanno più foglie, così come l'italiano o lo spagnolo posso- no avere più parlanti del sici- l i a n o o d e l g e n o v e s e . Tuttavia, ogni ramo ha le sue caratteristiche e la sua indi- pendenza. Bisogna anche ricordare che, alla fine, l'italiano è un dialetto, quello di Firenze. Ci si può chiedere perché sia stato scelto quello e non un altro: beh, è stata una que- stione di prestigio e di econo- mia, come spesso accade. Innanzitutto, il fiorentino era più vicino al latino di altri idiomi come il napoletano o il lombardo, poi, Firenze - e la Toscana - erano poli eco- n o m i c i e s s e n z i a l i e , n o n dimentichiamolo, in prima linea nella rivoluzione cultu- r a l e r a p p r e s e n t a t a d a l Rinascimento. Firenze fu anche la patria di figure lette- rarie come Dante, Petrarca e Boccaccio che, anche se in modi diversi, sostennero tutti la validità culturale del vol- gare come idioma accademi- co e culturale. E così, l'italiano si svi- luppò e divenne la nostra lin- gua ufficiale, ma i dialetti continuarono ad essere par- lati e senza alcun pregiudizio socio-culturale in vista: sem- mai, era più normale parlare il proprio dialetto locale che l'italiano. Per esempio, il primo re dell'Italia unita, Vittorio Emanuele II, non amava affatto parlare italia- no, preferendo il francese per le occasioni ufficiali e il pie- montese quando si intratte- neva con amici e familiari (e con le sue numerose amanti). Questo è importante da capi- re: fino a un secolo fa, i dia- letti valevano quanto l'italia- no. È vero, i meno istruiti potevano non conoscere bene l'italiano e preferire i dialetti per questo motivo, ma re, intellettuali e poeti passava- no dall'uno all'altro senza problemi, senza pensarci e, soprattutto, senza attribuire a nessuno dei due uno speci- fico status socio-culturale. Fu solo nel XX secolo, e soprat- tutto dopo la fine della secon- da guerra mondiale, durante il boom economico italiano, che i dialetti cominciarono ad essere considerati negati- vamente, come segno della propria appartenenza ad un ambiente rurale o meno for- malmente educato a cui non molti, soprattutto tra le gio- vani generazioni, volevano essere associati. Ma dopo quasi 100 anni di limbo, i dialetti sono stati riabbracciati. Il nuovo secolo ha portato una rinascita della storia locale, del patrimonio, delle tradizioni e delle lingue, tutti elementi essenziali del- l ' i d e n t i t à d e l l e p e r s o n e . Questo è successo perché noi, come popolo, siamo final- mente diventati maggiorenni e abbiamo iniziato a sentirci a nostro agio nella nostra pelle; mentre l'Italia come nazione esiste da secoli, non siamo mai stati chiamati ita- liani e, per molti versi, abbia- mo imparato a esserlo solo negli ultimi 160 anni. Prima di essere italiani, siamo sem- pre stati lombardi, piemonte- si, toscani e napoletani, per- ché quelle erano le lingue che parlavamo quotidianamente e perché quello era il patri- monio che avevamo, quello che conoscevamo. Nel XX secolo, abbiamo lottato con- tro questo patrimonio fram- mentato, spesso rurale e pro- vinciale, perché lo abbiamo percepito come un ostacolo allo sviluppo della nazione in una potenza internazionale e culturale, forse dimenticando che l'Italia è stata una poten- z a c u l t u r a l e n e g l i u l t i m i 2000 anni. I dialetti erano un pesante fardello che, letteral- mente, parlava di un passato p i ù i n n o c e n t e , p e r c e p i t o come un segno di inferiorità culturale e intellettuale. Poi, come spesso accade quando si entra nell'età adul- ta, abbiamo capito che non potevamo "essere italiani" senza conoscere, capire e apprezzare il nostro passato e, quindi, senza essere anche lombardi, piemontesi, tosca- ni o napoletani: perché le s t o r i e s t e s s e d e l l e n o s t r e famiglie si basano sul legame profondo con il territorio e, f o r s e , m o l t i d i n o i h a n n o detto la loro prima parola in dialetto e non in italiano. Abbiamo anche capito che sentirsi siciliani o milanesi non significa non sentirsi anche italiani e che, alla fine, passare dal nostro dialetto - che molti giovani oggi parla- no ancora - alla nostra amata lingua nazionale non solo è naturale, ma divertente. I dialetti sono marcatori di ciò che siamo, persone pro- venienti da una terra varia come le note di un penta- gramma. I dialetti non sono un'alternativa all'italiano, sono la nostra lingua insieme all'italiano e, proprio come l'italiano, fanno parte di noi. Alla finestra, magari chiacchierando in dialetto con una vicina (Photo: Andrey Bayda/Dreamstime) Dialetto: il vero marcatore dell'identità degli italiani SOCIETÀ & CULTURA PERSONAGGI TERRITORIO TRADIZIONI

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