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L'Italo-Americano PAGINA 14 Il castello medievale di Favria GIOVEDÌ 20 GIUGNO 2013 Il borgo di Gavignano sorge su un piccolo promontorio laziale Favria, comune piemontese di 5.148 abitanti della provincia di Torino. Ha come patroni i Santi Pietro e Paolo, festeggiati l'ultima settimana di giugno, quando vengono montate le giostre. Il 4 aprile si festeggia Sant'Isidoro di Siviglia con il combattimento tra due mucche. Strutturalmente il comune presenta fortificazioni. Questo perchè tra il Quattrocento e Cinquecento, Favria era una località di confine con i territori sabaudi. Avere mura efficienti era enormemente importante rappresentando una sicurezza per gli abitanti: chi era all'interno godeva di maggiori diritti rispetto a chi stava fuori. I nuclei fortificati del borgo erano parecchi: accanto al castello vero e proprio (sede dei signori del luogo) vi erano un "ricetto vecchio" e un "ricetto nuovo" che costituivano il nucleo difensivo del paese. Le mura ed il fossato racchiudevano il centro abitato con il castello e i due ricetti, di cui oggi non rimane traccia. Fuori le mura, gli airali (cascinali) costituivano tre appendici dell'insediamento principale: si erano formati nel corso della ripresa agricola ed economica iniziata nella metà del Quattrocento. Lo sviluppo degli airali dà successivamente seguito alla costruzione dei "cassinas arralium", ovvero quelle case rurali che, costruite sotto il diretto controllo del comune, segnarono il punto di connessione tra l'insediamento medievale e l'espansione moderna del borgo. Oggi giorno, le case rurali adiacenti al centro storico sono state via via trasformate in residenze. Per quanto riguarda gli airali, anche loro furono destinati ad una triste conclusione: il boom edilizio degli anni Novanta, ne ha cancellato le tracce. Ad esempio, la cascina del Castello, antistante la Casa di Riposo D. Nizzia, è stata rasa al suolo per lasciare spazio a palazzine con balconate arcate. Anche la casina della "Ral" è stata demolita per costruirvi moderne villette a schiera. Testimonianze di un tempo che evocano piacevoli ricordi agli anziani, ma che lasciano un vuoto alla storia del comune piemontese. Santa Croce e a sinistra la chiesa parrocchiale di San Nicola Gavignano, comune laziale di 1993 abitanti della provincia di Roma. Sorge su un piccolo promontorio situato alla confluenza fra i fiumi Rio e Sacco, a nord del Monte Lupone, nei monti Lepini, presso la Fonte Meo. La nascita di Gavignano è legata al dominio romano anche se anteriormente alla colonizzazione dei Romani (IV sec. a.c. ) le contrade erano dominate dai Volsci, stabilizzati sul versante dei Monti Lepini e dagli Ernici insediati alle pendici dell'Appennino laziale Meridionale. Il fiume Sacco, allora denominato Tolero, divideva le zone di influenza delle due importanti città che si fronteggiavano dalle alture: Segni, dei Volsci e Anagni, degli Ernici. Numerose ipotesi si hanno sulla nascita sotto i Romani: si pensa che Gavignano possa essere legata alla figura di Gabinio, valoroso soldato romano che aveva partecipato alla battaglia di Mario contro Silla, ma pare anche che Gavignano sia stata fondata da un cittadino dell'antica Gabi, colonia romana non lontana da Palestrina. Altre fonti vogliono che a fondare Gavignano sia stato Aulo Gabinio, senatore romano, appartenente alla 'Gente Gabinia'. Resta il fatto che nel I sec. a.c. le più facoltose famiglie romane erano solite edificare le loro residenze di campagna in questi luoghi. Nelle contrade gavignanesi si ha notizia di una villa di Giulio Cesare, ancora oggi denominata "Ruscigli" derivante etimologicamente, con molta probabilità da "Rus Juli" ovvero Villa di Cesare. Della villa, probabilmente distrutta durante un incursione dei Vandali nel 455 d.c. rimangono resti notevoli, tra cui architravi, capitelli, murature in 'opus reticolatum' e mosaici. In particolare, sullo splendido "opus reticolatum", attorno all'anno Mille, i monaci Benedettini eressero un loro monastero dedicato alla Madonna di Rossili, menzionato nella bolla di Lucio III del 2 dicembre 1182. L'aspetto attuale della chiesa del convento è dovuto al restauro operato dal cardinale Pietro Paolo Crescenzi (1611-1645). Il territorio di Gavignano acquista rilevanza politica solo nell'Alto Medioevo, con il sorgere delle strutture di tipo feudale. Irgòli, comune sardo di 2.334 abitanti della provincia di Nuoro. Il territorio fa parte della vasta regione delle Baronie della Sardegna centrorientale e si presenta come una sintesi stupefacente della storia geologica dell'Isola. Alle spalle del paese sorge la tormentata cresta che da Monte Senes porta a Punta Palumbas che risale a 400 milioni di anni fa. Circa 180.000 anni fa, in pieno mesozoico, parte delle terre furono invase dal mare. Il successivo accumulo di sedimenti emerse dalle acque originando il sistema montuoso dei calcari: sorsero il Monte Tuttavista e il Monte Albo, in cui una piccola appendice appartiene al Comune di Irgoli. Nella piana del Cedrino sorge Irgoli (nel Medio Evo S. Stefano di Ligori), forse fondata da un manipolo di ellenici che, approdati alla foce del Cedrino e scoperta la terra fertile, decisero di impiantarvi i primi insediamenti. Le testimonianze di una numerosa presenza umana sin dalla preistoria sono numerose e si trovano, coperte dalle nuove strutture murali e viarie, nel triangolo che unisce S. Stefano, S. Antioco e Ruinas. Pozzi, muri, matrici di fusione, monete, oggetti e frammenti di ceramica, terra e bronzo non lasciano dubbi. Lo confermano i conci granitici e basaltici inseriti nella splendida chiesa di S. Miali (l'arcangelo Michele del culto orientale) che sorge sulle rovine di una Tomba di Giganti, di cui è stata riutilizzata come altare una lastra absidale. A partire dal Medio Evo, il paese condivise le sorti del Giudicato di Gallura, conobbe il dominio dei Pisani e quello degli Aragonesi. Infine, l'autonomia che ha inizio a partire dalla metà del 1800. Tra i monumenti più significativi, esterni all'abitato: Sa conca 'e mortu, Domus de Janas di epoca neolitica; Sa Tumba 'e su Zigante di Othieri, che conserva le tracce del rito mediterraneo dell'incubazione; S'Untana 'e su Zigante, gioiello architettonico del culto delle acque; Nuraghi, capanne (Litu 'Ertiches, Janna 'e Pruna) e fortificazioni strategiche con mura ciclopiche; Santu Lussurju, Sant'Elene, Sant'Andria, ruderi di chiese medievali. 'Mi avevi chiesto di fermarmi qui': quattro atti di poesia che descrivono la vulnerabilità di chi vive e la fragilità dell'innocenza GoFFRedo PAlMeRINI A Giulianova Alta, in provincia di Teramo si è tenuta la presentazione del volume "Mi avevi chiesto di fermarmi qui", silloge poetica di Alessandra Angelucci, pubblicato dalla Duende Edizioni. Per l'occasione sono intervenuti Simone Gambacorta, critico letterario e segretario del Premio Teramo, e l'attrice Vanessa Dezi che, da qualche anno, conduce una ricerca personale ed avvincente sulla lettura scenica, rivolta ad un pubblico in ascolto. A moderare l'in- contro la giornalista Azzurra Marcozzi. "Mi avevi chiesto di fermarmi qui" è il primo libro di poesie della Angelucci che si articola in quattro sezioni: "Tra cielo e foglie", "Sulla Terra", "L'amore, la fragola", "Al di là". Come scrive nella prefazione il critico Simone Gambacorta, "Alessandra Angelucci si misura con un atto di ricognizione che vuol passare in rassegna gran parte della costiera dei temi e delle tonalità che possono costellare un'esistenza. Con un dettato ancora Immagine della copertina del libro di Alessandra Angelucci memore delle estenuazioni e degli inabissamenti cui un verso - un verso che davvero possa dirsi sentito - costringe chi voglia scriverlo, e con le striature di una malinconia che coagula in sé un particolare sentimento della vulnerabilità di chi vive, e della friabilità dell'innocenza, Alessandra Angelucci offre alla chimica delle trasfigurazioni e delle metafore lo scandirsi di una personalissima lettera al tempo". Conosciuta ai più come giornalista e manager culturale, Alessandra Angelucci è nata a Giulianova, dove attualmente vive. Figlia d'arte, è cresciuta fra i colori, le tele dipinte e l'inconfondibile profumo delle tempere vive. La stretta vicinanza al mondo artistico e ad ogni sua forma d'espressione la porta a laurearsi in Lettere presso l'Università degli Studi dell'Aquila e a specializzarsi in Management Culturale presso la Luiss di Roma. Grazie alla sua prima intervista a Dario Fo, realizzata per la stesura della sua tesi in drammaturgia, si accosta al mondo della carta stampata, diventando giornalista pubblicista. Per diversi anni scrive per La giornalista e scrittrice Alessandra Angelucci riviste di settore ("L'Urlo", "Forum Artis", "Tesori d'Abruzzo"), organizza e cura mostre d'arte in Italia e all'estero. Dopo un'esperienza come direttore del mensile d'informazione locale "Lo Strillone" e di conduttrice sull'emittente regionale abruzzese Tv6, oggi è docente di Lettere, critico d'arte e, per la Sezione Cultura, scrive sul quotidiano "La Città". Di recente è stata ospite al Festival Nazionale della Letteratura di Giulianova e al Rosadonna - Festival delle Eccellenze Femminili d'Abruzzo, a Pescara, con l'antologia "Disequitalia"(Ciesse Edizioni).