L'Italo-Americano

italoamericano-digital-5-2-2024

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27 GIOVEDÌ 2 MAGGIO 2024 www.italoamericano.org L'Italo-Americano IN ITALIANO | LA COMUNITÀ DI LOS ANGELES L a q u a n t i t à d i piombo all'inter- no di una statua d i b r o n z o p u ò dare un'indicazio- ne del periodo storico in cui la statua è stata realizzata? La risposta a questa domanda è p i ù d i u n s e m p l i c e s ì . L a conoscenza dei vari elementi che compongono un'opera d'arte può infatti dirci molto di più: può aiutarci a capire non solo come queste opere s o n o s t a t e r e a l i z z a t e m a a n c h e , i n s e r i t e i n u n p i ù ampio contesto culturale, darci un'immagine di quali fossero i rapporti commerciali tra le diverse popolazioni cen- tinaia e migliaia di anni fa. Questa tipologia di ricerca, che unisce una conoscenza archeologica e una più tecni- ca, è il lavoro di un archaeolo- gical scientist, ed è quello di cui si occupa Monica Ganio presso il Getty Conservation Institute. "Studio tutto ciò che riguarda i materiali, la loro provenienza, a volte anche cosa è successo all'oggetto in questione e quali sono i pre- cedenti trattamenti di restau- ro che possiamo trovare su di esso. Tutto questo nell'ottica di aiutare i conservatori e i c u r a t o r i a c o m p r e n d e r e meglio la sua storia". Mi spie- ga Monica durante la mia visita al suo laboratorio, situa- to all'interno della Getty Villa di Malibu che, inaugurata nel 1974, ha celebrato 50 anni lo scorso 16 gennaio. "Il vetro ad esempio veniva tutto prodotto in un determinato luogo, la zona Siro-Palestinese, poi era trasportato nelle zone dell'im- pero, dove veniva rifuso, colo- rato e modellato nella forma desiderata. Questo dà l'idea di quale fosse la dimensione del commercio nell'epoca roma- na." Dopo una laurea in Scienze e Tecnologie dei Beni Cultura- li all'Università di Torino e un tirocinio alla Reggia di Vena- ria, grazie al progetto Master dei talenti, Monica Ganio tra- scorre un anno al Getty Con- servation Institute, al termine del quale ottiene un dottorato in Belgio presso la Catholic University Leuven. Nel 2014 ritorna negli Stati Uniti, in un primo momento a Chicago per un post-doc tramite il progetto NU-Access, una col- laborazione tra la Northwe- stern University e l'Art Insti- t u t e d i C h i c a g o , p o i stabilmente al Getty Conser- vation Institute nel 2015. O l t r e a l l a p a r t e d i conoscenza archeologica, c'è quella scientifica. Che tipo di macchinari usi per i t u o i s t u d i e q u a n d o sono stati introdotti nel settore? Ne uso diversi, tra questi c'è lo spettrometro a fluore- scenza di raggi X, chiamato brevemente XRF, che è uno strumento a raggi X utilizzato per analisi chimiche di routi- ne, relativamente non distrut- tive, di rocce, minerali, sedi- menti e più in generale di materiali inorganici. La cosa interessante di questo mac- chinario è che permette di svolgere un'analisi non-inva- siva e non-distruttiva, senza cioè richiedere il prelievo di un campione, anche perché all'interno del museo viene vista sempre più come una cosa da limitare il più possibi- le. In quale ricerca l'hai utilizzato? Il Getty ha commissionato un catalogo di tutta la loro produzione di vetro. In quel caso specifico abbiamo sele- zionato 24 di questi vasetti di vetro, per intenderci quelli che si trovano spesso nelle collezioni museali e hanno generalmente delle colorazio- ni molto accese, con un fondo blu e delle decorazioni a zig- zago, di solito gialle, turchesi e bianche. Nello specifico, questi oggetti sono stati creati in un periodo di tempo che va dal VI al I secolo a.C. e sono tutti molto simili tra di loro. Quindi la loro forma, la loro dimensione, come sono fatte le forgiature, come è fatto il collo della bottiglia, sono tutte caratteristiche che pos- sono dare una datazione pre- liminare. Il mio lavoro era capire quali fossero i coloran- ti utilizzati per la loro produ- zione e se ci fosse una varia- z i o n e a s s o c i a t a s i a a l l a c r o n o l o g i a m a a n c h e a l l a forma dell'oggetto stesso. La c o s a b e l l a p e r m e è s t a t a poter utilizzare l'XRF e quin- di non campionare nessuno dei materiali, e riuscire ad ottenere informazioni suffi- cienti ad estrapolare quelli che sono gli elementi princi- pali per definire i coloranti utilizzati. A che conclusione sei arrivata in questo caso? A livello temporale, ad esempio, per la produzione del bianco inizialmente veni- va usato solo l'antimonio e in una fase successiva c'è stata l'introduzione del piombo. Si nota quindi una variazione nella formula nell'arco di sei secoli che è interessante e non è irrilevante. Hai fatto delle analisi su delle statue, su opere più grandi? Sì, ad esempio il Satiro Ebbro, che è stato qui qualche t e m p o f a p e r i l r e s t a u r o , prima di tornare al Museo Archeologico Nazionale di Napoli. In quel caso noi sape- vamo dal punto di vista sto- riografico che il Satiro è stato rimaneggiato in epoca borbo- nica e la versione che noi osserviamo al momento com- prende delle parti originali romane, delle parti aggiunte in periodo borbonico e poi u n a s e r i e d i i n t e r v e n t i d i restauro che sono stati fatti negli ultimi due secoli. Per Erik Risser, conservatore che seguiva il progetto, era neces- sario capire quali erano le parti originali e le parti bor- boniche, e anche in questo caso l'XRF è stato fondamen- tale: la variazione osservata nella composizione della lega di bronzo ha reso possibile distinguere le parti romane da quelle aggiunte in epoca borbonica. Nel Satiro, per esempio, una cosa divertente è stata che nell'intercapedine tra il bronzo e il supporto l a p i d e o s u l q u a l e p o g g i a abbiamo trovato dei fram- menti di giornale italiano di un'edizione degli anni Ses- santa. Oltre alle leghe, quali materiali possono darci delle informazioni? I pigmenti. La mummia di Herakleides nella collezione Getty è avvolta in garze tutte colorate di rosso-aranciato con il pigmento red lead, quindi a base di piombo. Tra- mite l'analisi degli isotopi del piombo si è riusciti a risalire alla sua provenienza che è incredibilmente interessante perché proviene dal Rio Tinto che si trova in Spagna, quindi abbiamo capito che nel pro- cesso di mummificazione è stato utilizzato un materiale proveniente da quella zona specifica. Di quale progetto sei particolarmente orgo- gliosa? Sono una grande sosteni- trice del lavoro interdiscipli- nare, come è successo in que- s t o c a s o . A v e v a m o u n a collezione di frammenti che erano arrivati al Getty nel 1979, a forma di pallina, tutti raggomitolati con del cotone. Per anni nessuno ha avuto interesse a studiarli. Nel 1989 si è scoperto che si trattava di frammenti di oro, e nel 2021, durante la pandemia, una delle conservatrici, Susan Lansing Maish, ha iniziato a collaborare con Mary Louise H a r t , c u r a t r i c e p r e s s o i l museo, per trovare un modo migliore per catalogarli. Il precedente CEO del Getty, James Cuno, organizzava le sharing lunches: lo staff del Getty veniva diviso in gruppi e ognuno doveva parlare di un proprio progetto per 5 minuti. Per pure caso, sono capitata nel gruppo con Mary Hart e siccome anche io all'e- poca stavo analizzando dei pezzi in oro, abbiamo deciso di unire le forze. Ho lavorato sulla scansione di quei fram- menti, scoprendo che si trat- tava in realtà di un tessuto in oro nel quale trama e ordito avevano composizioni legger- mente differenti, visibili come striature a diverso spessore e composizione. Utilizzando queste informazioni, Susan è riuscita a ri-unire i vari fram- menti come in un puzzle e nel farlo quello che abbiamo otte- nuto è stato un nastro per capelli in oro che le vestali in epoca romana usavano come ornamento quando parteci- pavano a determinate ceri- monie. Cosa ci dicono i materiali sulle opere d'arte, intervista con l'archeologa Monica Ganio Monica nei giardini della Getty Villa di Los Angeles (Photo: Silvia Nittoli)

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