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L'Italo-Americano GIOVEDÌ 3 OTTOBRE 2013 www.italoamericano.com 5 Cresciuto con la II Guerra Mondiale fu reporter dai fronti orientali e grande viaggiatore: la vita da romanzo di Tiziano Terzani DANIEL NOZZA Tiziano Terzani nasce a Firenze il 14 settembre 1938. Il padre Gerardo gestisce un'officina meccanica, mentre la madre, Lina Venturi, è cappellaia in un negozio di sartoria. L'infanzia del piccolo Tiziano, figlio unico, è contrassegnata dalla Seconda Guerra Mondiale e si svolge in un quartiere popolare, quello di Monticelli, nella piccola casa di via Pisana, dove risiede anche la nonna materna, Elisa. Fin dalle elementari si dimostra particolarmente predisposto allo studio, proseguendo così la carriera scolastica prima alle medie di città "Nicolò Machiavelli", poi, non senza sacrifici da parte della famiglia, al ginnasio e al liceo classico Galileo, dove si diploma con ottimi voti nel 1957. Da subito, nel tempo libero, Nella foto che diventerà la copertina di "Buonanotte, Signor Lenin" collabora come cronista sportivo al "Giornale del mattino" dove, se ancora non pensa al mestiere di giornalista, prova grande piacere nel raccontare storie e nel viaggiare. È talmente bravo negli studi che la Banca Toscana gli offre un posto in banca; lui, angosciato dal pensiero di vedersi chiuso fra quattro mura per una vita, rifiuta e vince il concorso d'ammissione al collegio MedicoGiuridico di Pisa, annesso alla prestigiosissima Scuola normale superiore. Proprio qui conoscerà la moglie, Angela Staude, una ragazza di origini tedesche. Gli anni universitari offrono al giovane Terzani un ambiente nuovo, particolarmente appassio- nante, ma anche periodi meno belli: nel 1958 contrae una grave infezione tubercolotica e l'anno successivo una trombosi colpisce il padre. Le ristrettezze economiche, il dovere di aiutare i genitori e la consapevolezza che la sua vita è fuori da Firenze, alimentano un grande desiderio di autonomia, libertà ed emancipazione economica e culturale. Si laurea a pieni voti, ma fallisce il tentativo di continuare gli studi in Inghilterra. Accetta così la proposta dell'Olivetti, che dopo un duro tirocinio gli dà la possibilità di girare per tutto il mondo. Viaggia sempre con a fianco la sua Angela, che sposa a Vinci, il 27 novembre 1962. Resta affascinato dall'Oriente, che vede, per la prima volta, nel 1965; il sogno cinese comincia a infiltrarsi nella sua testa. Nel 1966 è in Sud Africa. Il paese è sconvolto e lui documenta l'orrore dell'apartheid con l'aiuto della fedele macchina fotografica. I suoi reportage sono pubblicati dal settimanale "L'Astrolabio". Capisce che il giornalismo può essere la sua strada maestra. Nel 1967 si aggiudica una borsa di studio alla Columbia University di New York. Approfitta di quest'occasione per imparare il cinese, questa volta a Stanford e per ottenere la seconda laurea. Con la moglie e il primo figlio Folco torna in Italia nel 1969, assunto da "Il Giorno" di Milano. Nel 1971 nasce la figlia Saskia e lui supera l'esame per diventare giornalista professionista, chiedendo un trasferimento in Asia, come corrispondente. "Il Giorno", però, non può assecondare la sua richiesta. Tiziano, così, si dimette e comincia a girare tutte le redazioni dei più noti quotidiani europei. Nonostante parli correntemente in cinese, francese, inglese, portoghese e tedesco incassa innumerevoli rifiuti, prima del sì dell'editore tedesco "Der Spiegel". È la svolta! Parte come "freelance" per Singapore. La famiglia lo raggiunge subito prima della grande offensiva delle truppe del Vietnam del Nord. Lui parte per il fronte, dove documenta la guerra per "Der Spiegel", "L'Espresso" e ancora "Il Giorno". Nel 1974 passa, per un breve periodo, a "Il Terzani con il Dalai Lama (ph. tizianoterzani.com) Tiziano Terzani studiò e lavorò in America per due anni facendo anche uno stage al New York Times Messaggero". Raggiunge Saigon, dove assiste alla disfatta americana e alla vittoria dei comunisti. Nel 1975 risiede a Hong Kong, un ulteriore passo verso l'Impero Celeste e collabora con il neonato "La Repubblica". Nel 1977 segue con orrore il dramma della Cambogia. Nel 1980, finalmente, corona il suo sogno: apre la redazione pechinese di "Der Spiegel" e viaggia senza sosta per tutto il paese, da solo e con la famiglia. Il Partito Comunista Cinese, però, non è avvezzo a questo grado di libertà e nel 1984 lo arresta per "crimini controrivoluzionari" e dopo un mese Terzani è espulso dal Paese. Si trasferisce così a Tokyo, dove trascorre un pessimo periodo della sua vita, a causa di una brutta depressione. Nel 1988 passa a "Il Corriere della Sera". Nel settembre del 1990 lascia il Giappone e si trasferisce a Bangkok. Nel 1991, dopo il golpe a Gorbacev, decide di raggiungere Mosca, attraversando nove repubbliche sovietiche e assistendo al crollo dell'impero comunista. Nel 1994 è con la famiglia a Delhi e due anni dopo lascia "Der Spiegel", scegliendo il prepensionamento. Nella primavera del 1997 gli viene diagnosticato un cancro, che lo porta, a fine '99, a isolarsi sull'Himalaya. Nemmeno la grave malattia lo tiene lontano dall'avventura e con lo scoppiare della guerra in Afghanistan si mette in marcia, scrivendo articoli e riflessioni. La sua ultima fatica è "Un altro giro di giostra", pubblicato nel 2004. È una struggente rifles- sione sulla vita, la malattia e la morte. Muore il 28 luglio 2004, nella sua amata Orsigna in provincia di Pistoia. Ecco la carrellata delle sue splendide opere (anche postume): Pelle di leopardo. Diario vietnamita di un corrispondente di guerra 1972-1973 (1973); Giai Phong! La liberazione di Saigon (1976); Holocaust in Kambodscha (1980); La porta proibita (1984); Buonanotte, signor Lenin (1992); Un indovino mi disse (1995); In Asia (1998); Lettere contro la guerra (2002); Un altro giro di giostra (2004); La fine è il mio inizio (2006); Fantasmi (2008); Angkor (2009); Asien, mein Leben die grossen Reportagen (2010); Un mondo che non esiste più (2010); Mustang. Un viaggio (2011); Tutte le opere (2011); Che fare? E altre prose sulla pace (2011). Gin & genio, le liriche pure e disperate dell'italo-americano Dan Fante PAOLO DI VINcENZO Taxi puzzolenti a New York, donne e debiti, bourbon e il fantasma del vecchio, Point Dume e una famiglia ingombrante. Il mondo poetico e letterario di Dan Fante è sempre contiguo a quello reale. Figlio d'arte, il papà è quel gigante che risponde al nome di John, Fante junior viene riproposto in Italia con una raccolta di poesie, "Gin & genio", appena pubblicata dalla nuova casa editrice Whitefly press (160 pagine, 15 euro). La traduzione dall'americano è di Gabriella Montanari, anche direttrice editoriale della Whitefly press. Quest'estate ha presentato il suo libro a Roseto, in Abruzzo. Il nonno di Dan era originario di Torricella Peligna, Chieti. "Nonostante l'alcol, la droga, la miseria e la disperazione, Dan Fante", si legge nella seconda di copertina a firma Fernanda Pivano, "ha conservato la purezza d'animo del padre e attraverso la sua poesia ci racconta splendide storie". Sì, sono splendide le storie di Dan, e non solo perché lo dice la Pivano. Talvolta sono racchiuse in poche righe come queste: "Quando penso a papà - oggi / oggi che è davvero famoso / e la gente finalmente dice di lui / quello che lui già sapeva / e diceva a tutti trent'anni fa / mi rendo conto che non ha mai dubitato del suo genio / che la sua rabbia e le sue amarezze / erano guerre contro la vita / piccole esplosioni nucleari non rivelate / un modo per marcare il territorio / Per papà non faceva differenza / La vita era una gran puttana". La famiglia, il padre John, il fratello Nick (genio della Nasa, morto investito come un cane, mentre ubriaco barcollava in strada), la madre Joyce Smart (nome e cognome sono tutto un programma), e poi la casa a forma di Y di Point Dume, vicino Los Angeles, e la vita esagerata, tra eccessi di ogni tipo, sono il corollario di una poesia under, under, underground. "L'unica cosa che so", scrive Dan Fante nella poesia dedicata al fratello Nicholas Joseph, "è che eri pieno di gin e di genio / Dan Fante con il sindaco di Roseto, dove ha presentato il libro miserabile, triste e con un carattere di merda". Il titolo di questa raccolta spiega bene la sensazione di trovarsi di fronte a un grande autore che, come tutti i grandi, non crede mai fino in fondo alla sua arte, e confessa spesso nei versi tutti i suoi dubbi: ci si trova davanti a un genio, ma c'è bisogno di un pò di gin.