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14 L'Italo-Americano www.italoamericano.com GIOVEDÌ 16 GENNAIO 2014 Il castello medievale di Gorizia Il lungofiume di Isola del Liri con la Cascata Grande Gorizia, comune del Friuli Venezia Giulia di 35.803 abitanti. La città è punto di congiunzione fra il mondo latino, slavo e germanico. La componente italiana si articola in due realtà linguistiche e culturali, quella friulana, originaria della città, e quella giuliana, dovuta al passato asburgico e ad un'antica immigrazione alimentata in gran parte dagli esuli provenienti dall'Istria e dalla Dalmazia. Più o meno nell'area dove si trova la città sorgevano, fin dal I secolo a.C., due centri abitati romani: Castrum Silicanum da cui trasse origine il villaggio di Salcano, oggi Solkan, un sobborgo di Nova Gorica; e Pons Aesontii, attuale località Mainizza, dove sorgeva una mansio nel punto in cui attraversava il fiume Isonzo e che collegava l'Italia alla provincia norica. Il nome deriva dallo slavo gorica (leggi gorìza), diminutivo di gora (monte), e significa collina. Si tratta di un toponimo comune in Friuli che sta ad indicare il ripopolamento della zona da genti slave dopo le devastanti incursioni degli Ungari (IX secolo). Il nome di Gorizia compare per la prima volta nell'anno 1001. Nel corso della Seconda Guerra Mondiale, subito dopo la resa italiana dell'8 settembre 1943, il Goriziano fu teatro di un'eroica resistenza all'invasione nazista. Con l'arrivo dei partigiani jugoslavi a Gorizia nel maggio del 1945 iniziarono le repressioni che toccarono l'apice fra il 2 e il 20 maggio nei confronti degli oppositori al regime. Si contarono un numero imprecisato di civili scomparsi e fra i militari. Al termine del conflitto, con il trattato di pace, il comune dovette cedere i tre quinti del territorio alla Jugoslavia e il 15% della popolazione residente. Il centro storico e l'area urbana restarono però in territorio italiano. Paragonata a Berlino, tagliata in due dal confine protetto da torri armate di mitragliatrici, Gorizia ha rappresentato, nella seconda metà degli anni '40 e '50, un valico clandestino per i cittadini jugoslavi e dei Paesi del patto di Varsavia ed un rifugio per tanti esuli giuliani e istriani, integratisi nel tessuto economico e sociale. Isola del Liri è un comune laziale di 12.191 abitanti della provincia di Frosinone. Il centro cittadino si sviluppa su un'isola formata dal fiume Liri, dove questo si biforca in due bracci che in prossimità del centro cittadino, all'altezza del castello Boncompagni - Viscogliosi, formano ciascuno un salto, la Cascata Grande e la cascata del Valcatoio (o come era chiamata anticamente, del Gualcatojo). La Cascata Grande è formata dal braccio di sinistra del fiume, ed è alta circa 27 metri: una delle poche cascate a trovarsi nel centro storico di una città. La cascata del Valcatoio, formata dal braccio di destra del fiume, è meno spettacolare della prima anche perché le sue acque sono irregimentate e captate per alimentare un impianto di produzione elettrica. Il suo salto non è verticale, ma segue un piano inclinato di circa 160 metri lungo un dislivello di circa 27 metri con una pendenza del 17% circa. Il primo nome registrato della città fu Insula Filiorum Petri, cioè Isola dei figli di Pietro, gastaldo di Sora. In realtà già in un documento del 1004 si registra una località nel contado denominata Colle dell'Isola. Nell'uso comune e nella cartografia fu sempre Isola, talvolta con la specificazione di Sora, perché legata alla vicina Sora, di cui seguì le sorti fino all'età napoleonica. A seguito dell'unificazione nazionale, nel 1863 Isola divenne Isola presso Sora per ottenere nel 1869 il nome attuale. La città nel Medioevo cadde, alternativamente, sotto il dominio bizantino e longobardo, finché divenne parte della contea di Sora nel Principato di Capua. Alla fine del XIV secolo, Isola del Liri fu ceduta alla famiglia Cantelmo. Durante l'Ancien Régime la città conobbe un'economia florida e un migliore assetto urbanistico. Per molti anni Isola del Liri fu sede dei duchi di Sora e il suo castello fu il principale centro amministrativo del ducato. Nell'ultimo periodo del triennio giacobino, e in particolare nel maggio 1799, a Isola ebbe luogo l'eccidio nella chiesa di San Lorenzo Martire: oltre cinquecento persone che si erano riparate nel luogo di culto furono trucidate dall'esercito rivoluzionario. Panoramica di Jelsi Jelsi è un comune di 1.860 abitanti della provincia di Campobasso. A circa 23 Km dal capoluogo, questo paese ha un bel centro storico medievale con al centro la chiesa Madre di S. Andrea Apostolo, risalente al secolo XI, il cinquecentesco Palazzo Ducale dei Carafa e la Cappella della SS. Annunziata (XIV sec.), con la cripta affrescata. Anche il territorio intorno al centro urbano è interessante. In un tipico collinare, tra campi coltivati per lo più a grano, è possibile vedere piccoli querceti, molte sorgenti e tipiche abitazioni contadine (masserie). Due i monumenti ambientali imperdibili: una quercia in località Macchione, che ha cinque secoli di vita e una circonferenza di 6 metri e l'unica quercia da sughero del Molise, alta 16 metri, con oltre due secoli di età e 2 metri di circonferenza. Da vedere il 26 luglio la Festa del Grano. Questa manifestazione si organizza dal 1805, quando un violento terremoto distrusse molti centri del Molise, ma risparmiò Jelsi, secondo la tradizione, proprio grazie alla protezione di Sant'Anna. Da allora alla santa ogni anno viene offerto il grano del nuovo raccolto. Il 26 luglio le strade del paese sono percorse dalle bellissime "Traglie": carri, di forma e dimensioni diverse, composti da due "soglie" (pattini di legno), uniti da alcune assi su cui poggiano delle tavole di legno. Ogni carro è addobbato da trecce e composizioni, realizzate con le spighe di grano, lasciate in acqua per 24 ore. La sfilata delle "Traglie", chiusa dal carro più grande e spettacolare su cui è collocata la statua di Sant'Anna, si conclude nel centro del paese con la benedizione del grano. La scelta del grano come offerta ed elemento da plasmare per le decorazioni è simbolica: è il ringraziamento alla "Grande Madre", S. Anna, del frutto della terra. La manifestazione oltre ad essere molto sentita dai cittadini di Jelsi, impegnati in un lungo lavoro per la realizzazione delle "Traglie" durante tutto l'anno, rappresenta il segno del forte legame che riunisce tutti gli emigrati di Jelsi che vivono nel mondo, i quali non fanno mai mancare la loro partecipazione. Allegoria della Pazienza: successo artistico dell'invenzione vasariana NIcOLETTA cuRRADI La Galleria Palatina di Firenze ha ospitato una mostra incentrata su uno dei più significativi dipinti delle collezioni medicee, l'Allegoria della Pazienza, oggi conservata nella Sala di Prometeo, ed appartenuta al cardinale Leopoldo de' Medici. Assegnata al Parmigianino negli inventari di Palazzo Pitti, catalogata nelle prime guide del museo sotto il nome di Francesco Salviati, attribuita poi a Girolamo Siciolante da Federico Zeri ed oggi riconosciuta come frutto di collaborazione tra Giorgio Vasari e lo spagnolo Gaspar Becerra, ha una storia collezionistica complessa, che coinvolge alcuni importanti personaggi legati alla corte di Cosimo I e a Vasari. Fu Bernardetto Minerbetti, vescovo di Arezzo e ambasciatore di Cosimo I, fine uomo di lettere, patrono dell'Accademia degli Umidi, a chiedere all'aretino, poco dopo il 1550, un dipinto che rappresentasse in modo nuovo ed emblematico la virtù principale del suo carattere: l'arte della Pazienza. Vasari accetterà, proponendo al committente un'invenzione ispirata alla statuaria antica, arricchita da un raffinato repertorio simbolico allusivo al tempo e alla vita umana. Così prende corpo l'invenzione di una giovane donna avvinta da una catena ad una roccia che attende pazientemente che dal vaso ad acqua sgorghino le gocce necessarie a corrodere la pietra restituendole la libertà. Questa immagine, erudita e coltissima, avrebbe raccolto un grande successo ben oltre i confini di Firenze, giungendo ben presto alla corte ferrarese di Ercole II d'Este, che non esitò a ricavarne la sua 'impresa'. A pochi anni dal dipinto per Minerbetti, il duca Ercole II d'Este commissionò una nuova versione della Pazienza a Camillo Filippi, per destinarla alla "Camera della Pazienza", nella torre di Santa Caterina del castello ferrarese. Il duca fece introdurre la personificazione nel verso di una celebre medaglia coniata da Pompeo Leoni nel 1554, sul basamento di un suo busto scolpito da Prospero Sogari Spani e in una serie di monete coniate dalla zecca di Ferrara. Perché l'invenzione vasariana ebbe tanto successo? E perché la virtù della Pazienza era così importante nell'arte e nella letteratura del pieno Rinascimento? La mostra, curata da Anna Bisceglia e il catalogo edito da Sillabe, indaga su questi aspetti seguendo il filo delle committenze, le fonti letterarie, i percorsi degli artisti, sullo sfondo affascinante dell'Italia delle corti. Accanto all'Allegoria della Pazienza figura la versione eseguita da Camillo e Sebastiano Filippi e conservata presso la Galleria Estense di Modena (1553-54), da cui proviene il busto di Ercole II scolpito da Prospero Sugari, detto il Clemente (1554), sul cui basamento è effigiata la virtù, e le medaglie di Pompeo Leoni sempre per il Duca (Firenze, Bargello, 1554). Accanto a queste, ad illustrare il motivo iconografico nella sua L'Allegoria della Pazienza di Giorgio Vasari e Gaspar Becerra complessa genesi, una grande tavola proveniente dall'Accademia di Venezia. Essa è parte di un soffitto a scomparti lignei eseguiti per la famiglia Corner nel 1542; inoltre la piccola tavoletta degli Uffizi, nota erronea- mente come Artemisia che piange Mausolo, ma che deve riconoscersi invece come una Pazienza, alcuni disegni e incisioni del Gabinetto Disegni e stampe di Firenze e del Cabinet del Dessins du Louvre.