L'Italo-Americano

italoamericano-digital-2-6-2014

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L'Italo-Americano GIOVEDÌ 6 FEBBRAIO 2014 www.italoamericano.com 14 Riolo Terme, comune dell'Emilia Romagna di 5.819 abitanti situato sulle colline della provincia di Ravenna. La città si trova a pochi chilometri dalla via Emilia, tra Imola e Faenza, è immersa nel verde dell'Appennino che dalla Romagna digrada verso la Toscana. Il centro, rac- colto attorno alla Rocca trecentesca perfettamente con- servata, offre le suggestioni di un agglomerato nato den- tro le mura, anticamente a difesa dell'abitato. Tra il 1494 e il 1499 Riolo fu feudo di Caterina Sforza. Fu proprio Caterina a dotare Riolo di una rocca, oggi sede museale, e delle mura difensive che la circondano. Riolo entrò a far parte dell'Italia unita con il nome "Riolo dei Bagni", come si chiamò fino al 1957. Nel 1870 fu avviata la costruzione dell'attuale edificio che ospita i bagni termali. L'apertura delle Terme fu celebrata il 24 luglio 1877. Le terme, le cui proprietà erano già rinomate in epoca roma- na, sono la ricchezza principale del paese. Le sorgenti (oggi di proprietà di una società privata) comprendono acque sulfuree, salso-bromo-jodiche e cloruro-sodiche, note per le proprietà terapeutiche nella cura dell'apparato digerente, dell'asma, delle affezioni alle vie respiratorie. Le acque termali riolesi hanno origine gessosa-solfifera e vengono dalla Vena del Gesso che si estende tra la valle del Senio e la valle del Santerno. Riolo è tra le Città decorate al Valor Militare per la Guerra di Liberazione. Durante il secondo conflitto mondiale, la cittadina fu caposaldo tedesco e teatro di aspri combattimenti che causarono ingenti danni, lutti e distruzioni. Le operazioni belliche del 1944-45 fecero sosta, durante l'inverno, lungo il fiume Senio dalla Vena del gesso fino a Valle e quindi per 127 giorni nel territorio di Riolo. Venne libe- rata l'11 aprile 1945 dal Gruppo di Combattimento Friuli del risorto Esercito italiano, incorporato nell' VIII Armata britannica. Il sacrificio di vite umane del "Friuli", nella ripresa dell'offensiva alleata, fu il più alto delle località poste lungo il percorso del Senio. Sambuci, comune laziale di 962 abitanti della provin- cia di Roma. L'origine del nome, secondo notizie stori- che ben accertate, pare che derivi dalla pianta di sambuco che nei tempi antichi cresceva rigoglioso e che veniva sfruttato per le sue proprietà curative e per aromatizzare i liquori. La prima volta che il paese viene menzionato è in un documento dell'857-858. Nel Medioevo risulta feudo di molte signorie: dapprima dell'Abbazia di Subiaco, poi del convento dei Santi Cosma e Damiano di San Co- simato, quindi degli Antiochia e di nuovo i monaci dell'Abbazia di Subiaco. Tra i secoli XII e XIII il paese fu attraversato dagli eserciti di Federico Barbarossa, Cor- rado d'Antiochia, e Tivoli di volta in volta nemici del Papato. Urbanisticamente assunse quindi caratteristiche difensive: le case furono costruite come in un nucleo for- tificato e fu eretto un castello che si può ancora ammirare oggi. Il castello Theodoli ha la forma di un quadrilatero con torri laterali ed è costruito su cinque livelli. Dal Duecento al Seicento più volte fu sottoposto a restauri e ampliamenti. La loggia è impreziosita da volute barocche e contrafforti. Alcune sale hanno affreschi, tra cui: "La Gerusalemme Liberata" di Salone (1641), mentre nella sala dei Ciclopi vi sono degli affreschi di Canini. Tre dei quattro lati del castello sono attaccati alle case del paese, mentre sul lato restante vi è un parco di 55mila metri qua- dri realizzato tra la fine del Seicento e l'inizio del Sette- cento. Una parte è giardino all'italiana con terrazze su più livelli con aiuole a forma geometrica che racchiudono gli stemmi delle casate degli Astalli e dei Theodoli. Due scale ellittiche portano alla fontana detta "la bocca stor- ta", a una grande vasca e a due finte grotte con una picco- la cascata. La seconda zona del giardino ricalca il model- lo all'inglese, come andava di moda nel XIX secolo con un grande prato e alberi ad alto fusto. Nel parco, che gli abitanti chiamano la villa, tra il 1943 e il '44 si nascosero i carrarmati tedeschi, considerato anche che i soldati nazi- sti avevano posto proprio nel castello il loro quartier generale durante l'assedio a Cassino. Terranova da Sibari, comune calabrese di 4.964 abi- tanti della provincia di Cosenza. È situato su una collina tra il fiume Crati e le estreme propaggini della Sila greca a circa 20 km dalla costa ionica, dalla quale si può osser- vare il suggestivo panorama del massiccio del Pollino e la vasta Piana di Sibari. Già conosciuta con il nome di Terranova del Vallo e poi di Terranova di Calabria Citra, secondo molti storici affonda le sue radici nella civiltà Magno-Greca. Fondata dai superstiti di Thurii, sarebbe stata distrutta in seguito alla guerra con Croton. L'attuale nome, assunto dopo l'Unità d'Italia grazie al Regio De- creto del 1864, viene fatto derivare da quello delle due antiche città di Thurium e Sybaris. Richiama la vicenda che condusse, col sostegno di Pericle nel 444/43 a.C., alla fondazione di Thurii da parte dei vincitori nella guerra civile sibarita. Sede arcivescovile, Terranova da Sibari diede alla luce tra i suoi abitanti due futuri papi, San Telesforo (famiglia originaria della Grecia, fu papa dal 125 al 136) e San Dionisio (che nacque a Thurio e fu pontefice dal 259 al 268). Terranova da Sibari è cono- sciuta per il suo castello feudale (privato), mai restaurato, che conferisce una particolare importanza al centro stori- co. Probabil-mente fu edificato intorno al 1100 con scopi difensivi. Oggi è rimasta soltanto la struttura esterna. Ha una pianta quadrata come quella della torre centrale sopraelevata. In origine era circondato da un fossato profondo e vi si accedeva per mezzo di un ponte levatoio. Nel castello il 21 novembre 1478, colto da malore per aver mangiato funghi rivelatisi velenosi, morì Enrico d'Aragona, figlio spurio di Ferrante d'Aragona e marche- se di Gerace. Il patrimonio storico-artistico di Terranova segna una serie di complesse vicende che la rendono cit- tadina preziosa e ricca di opere d'arte. Di particolare inte- resse è la fontana del paese, Torre Acquanova, che ha alla base una lunga vasca con rivestimento a mattoncini e tre canali per l'acqua. Il nome "Acquanova" le è stato dato per ricordare che prima c'era un altro acquedotto. Il castello Theodoli che domina il centro abitato La rocca sforzesca di Riolo Terme Il castello feudale di Terranova da Sibari Un ponte tra l'Ungheria e Fi- renze nella mostra che si è tenuta al Museo di San Marco incentra- ta sulla figura di Mattia Corvino, re d'Ungheria dal 1458 al 1490, e sulla trama di rapporti che lo legarono all'Umanesimo e a Fi- renze, alla sua cultura e arte. È inevitabile che ciò comporti uno sguardo parallelo su Lorenzo il Magnifico, che di quella cultura e di quell'arte fiorentina fu asser- tore e propagatore oltre che me- cenate, e della storia fiorentina di quegli anni fu protagonista. "Nei rispettivi scenari di città, palazzi, cenacoli di intellettuali, grandeg- giano i due protagonisti Lorenzo de' Medici detto il Magnifico e re Mattia Corvino, uniti non solo e non tanto da relazioni diplo- matiche quanto dalla comune personale passione per il sapere antico e moderno racchiuso nei libri, a loro volta custoditi in bi- blioteche insigni per la loro bel- lezza" ha detto la soprintendente Cristina Acidini. La scelta di San Marco come sede non è casuale, dato il ruolo ricoperto nello sviluppo della cultura umanistica dalla Biblio- teca del convento domenicano, nel cui ambiente monumentale la mostra è stata allestita. Costruita per volere di Cosimo de' Medici nel 1444 e arricchita della straor- dinaria raccolta di testi apparte- nuti all'umanista Niccolò Nicco- li, fu la prima biblioteca pubblica del Rinascimento, dove, in epoca laurenziana, si incontravano per- sonaggi come Marsilio Ficino, Pico della Mirandola, Agnolo Poliziano. La mostra ha delineato la capa- cità di penetrazione e di diffu- sione della cultura fiorentina in territorio ungherese, tramite gli umanisti e gli artisti, e sul suo utilizzo per costruire una rappre- sentazione celebrativa del re un- gherese, che voleva raggiungere una posizione egemonica in Eu- ropa e porsi agli occhi degli altri potenti come il principale difen- sore della Cristianità contro il pericolo ottomano. Pertanto, dopo aver tratteggiato l'ambiente culturale in cui si col- loca la vicenda biografica e la formazione culturale di Mattia Corvino, la mostra ha ricostruito, attraverso l'esposizione di opere di artisti fiorentini appartenute o donate al re ungherese e di artisti ungheresi influenzati dai fiorenti- ni, i contatti di quest'ultimo con Firenze. Tali contatti, avvenuti FABRIzIo del BIMBo L'avanguardia del gusto mediceo e il fascino umanistico dell'arte fiorentina incantò anche la corte ungherese per lo più tramite i suoi emissari e consiglieri, risulteranno deter- minanti per le scelte culturali e artistiche che portarono al rinno- vamento "rinascimentale" della corte ungherese. Esso interessò sia l'architettura che la deco- razione scultorea del Palazzo di Buda e della residenza estiva di Visegrád, testimoniato in mostra da reperti scultorei "all'antica", di grande importanza sul piano documentario. Il fascino esercitato dall'arte fiorentina e dal gusto mediceo e gli stretti rapporti che legarono Buda a Firenze e Mattia a Lo- renzo trovano la più evidente manifestazione nell'esposizione del prezioso Drappo del trono di re Mattia Corvino, uscito dalla bottega di Antonio del Pollaiolo. Il manufatto riassume l'amore per i motivi classicheggianti allo- ra in voga a Firenze, la presen- tazione di tipologie compositive elaborate dai maggiori artisti fiorentini del tempo e la straordi- naria abilità nell'arte tessile rag- giunta dalle manifatture locali. Firenze, nella seconda metà del Quattrocento, attraverso i suoi artisti, era cioè capace di divul- gare presso sedi prestigiose come la corte ungherese un'immagine di città all'avanguardia sul piano culturale e manifatturiero. Im- magine, assai proficua sul piano economico, che Lorenzo con- tribuì a creare e a diffondere, sti- molando e arricchendo con le opere della sua collezione le conoscenze dell'Antichità negli artisti della sua cerchia. Bassorilievo di re Mattia, attribuito a Giovanni Dalmata (1480-1490) Busto di Beatrice d'Aragona, di Fran- cesco Laurana (1474-1475)

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