L'Italo-Americano

italoamericano-digital-3-27-2014

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GIOVEDÌ 27 MARZO 2014 www.italoamericano.com 12 La lezione anticamorra di don Diana compie 20 anni e purtroppo serve ancora Per amore del suo popolo è morto. Per amore della sua terra è rimasto a combattere una guer- ra che mai nessuno aveva nean- che lontanamente immaginato di scatenare. Sono passati 20 anni da quel 19 marzo del 1994, gior- no in cui un sicario della camor- ra, di buon mattino entrò nella Chiesa di San Nicola di Bari a Casal di Principe con l'obiettivo di eliminare Don Giuseppe Dia- na, proprio nel giorno del suo onomastico. In chiesa, ad un passo dall'al- tare, per punire l'insubordinazio- ne di un uomo, prima ancora che sacerdote, che voleva "liberare il futuro" delle giovani generazioni di Casal di Principe. Un casalese doc che osava tradire un codice non scritto al grido di "Non mi importa sapere chi è Dio, ma capire da che parte sta". Con questa frase, don Diana, a 36 anni, era entrato nei cuori di tanti giovani che lo seguivano aiutandolo nell'opera di sensibi- lizzazione alla legalità e al dis- prezzo del sistema camorristico. Un affronto da lavare con il sangue per gli allora padroni della Campania pronti a conten- dersi lo scettro di Francesco Schiavone detto Sandokan, gran- de capo dei casalesi, che a caval- lo tra gli anni '80 e '90 avevano fondato un impero criminale gra- zie ai proventi ottenuti con spac- cio di droga e abusivismo edili- zio. Milioni e milioni di euro uti- lizzati per corrompere le menti e i cuori dei più giovani cresciuti, in quel delirio di onnipotenza, con l'idea che solo quel tipo di onore e rispetto desse successo. Uccidere per uno sguardo, ve- nire alle mani per un disguido, "fregarsene" delle istituzioni e delle forze dell'ordine, erano solo alcuni dei diktat del perfetto "casalese", fedele alla famiglia e pronto a divorare il mondo. In quel contesto, lontano anni luce da una consapevolezza che solo adesso è subentrata nei gio- vani campani sui folli ideali che hanno mosso e purtroppo muo- vono il mondo della criminalità organizzata, don Peppe Diana decise di dedicarsi alla sua gente e al suo popolo. "Per amore del mio popolo, non tacerò" attaccò don Diana nel giorno del santo Natale del 1991 con un docu- mento storico diffuso in tutte le parrocchie di Casal di Principe: "…La Camorra oggi è una forma di terrorismo che incute paura, impone le sue leggi e ten- ta di diventare componente ende- mica nella società campana. I camorristi impongono con la violenza, armi in pugno, regole i- naccettabili: estorsioni che hanno visto le nostre zone diventare sempre più aree sussidiate, assi- stite senza alcuna autonoma capacità di sviluppo; tangenti al venti per cento e oltre sui lavori edili, che scoraggerebbero l'im- prenditore più temerario; traffici illeciti per l'acquisto e lo spaccio delle sostanze stupefacenti il cui uso produce a schiere giovani emarginati, e manovalanza a dis- posizione delle organizzazioni criminali; scontri tra diverse fazioni che si abbattono come flagelli devastatori sulle famiglie delle nostre zone; esempi negati- vi per tutta la fascia adolescen- ziale della popolazione, veri e propri laboratori di violenza e del crimine organizzato". Un grido di terrore e speranza che aprì le menti e i cuori della gente per bene e delle vittime di una camorra, che proprio in que- gli anni iniziò lo "stupro" am- bientale della Campania smal- tendo in maniera indiscriminata i rifiuti speciali di mezza Europa in quelli che un tempo erano i terreni più fertili del mondo. La ritorsione non si fece atten- dere: intimidazioni, minacce, bugie, calunnie e, in estrema ratio, la morte. Erano le 7:25 del 19 marzo 1994 quando Don Peppe Diana fu freddato da 6 colpi di pistola nella sacrestia della Chiesa di San Nicola di Bari a Casal di Principe. Sono trascorsi 20 anni dal quel giorno nefasto, ma allo stesso tempo di rinascita: don Peppe Diana vive ancora nei cuori di chi ha detto no alla ca- morra che piano piano, sta lasciando spazio alla legalità e alla voglia di ricominciare. NICOLA ALFANO JuVe, IL SeGreTO È NeLLO STaDIO Torino, il nuovo stadio della Juventus La Vignetta della Settimana di Renzo Badolisani Trentacinque milioni di ricavi nella stagione dell'inaugurazione, tre anni fa. Crescita costante: otto milioni in più raccolti lo scorso anno. E per la stagione in corso? La stima suggerisce cinquanta milioni di euro tondi tondi. La cifra che, ad oggi, crea il solco con le altre avversarie. Italiane, soprattutto, relegate al rango di comprimarie. Juventus prima assoluta - e con distacco siderale - in serie A. Nei quarti di finale - con ottime possibilità di arrivare fino alla finalissima, da giocarsi peraltro sul proprio campo - in Europa League. Che non possiederà l'appeal della Champions, ma è oggettivamente meglio di niente. Juve sempre più ricca, più avanti alle altre. Il club del futuro, per la gioia degli oltre undici milioni di italiani che la sostengono. E, stando agli ultimi dati, dei quasi centosettanta milioni nel mondo che simpatizzano per le maglie a strisce, bianche e nere. Inutile girarci attorno: costruendo uno stadio di proprietà, facendolo vivere sette giorni su sette a tifosi, appassionati e semplici visitatori di Torino, la Juve ha preso l'abbrivio. Staccando - per indotti economici - il resto della compagnia, in Italia, posizionandosi al mozzo degli opulenti clubs europei. Tedeschi, inglesi e spagnoli, of course, avanti anni luce - per organizzazione, lungimiranza, capacità di dragare i mercati mondiali, marketing e merchandising - rispetto all'ingessato pallone italiano. Juve, i ricavi si dilatano e con essi il divario rispetto alle (presunte) rivali. Il segreto è nello stadio, ovvio. Costruendolo in poco tempo sulle ceneri del defunto Delle Alpi, la Juve ha scavato un fossato con le avversarie che, per giocare le proprie partite casalinghe, pagano affitti a Comune o Coni per impianti mal collegati, dotati spesso di pista d'atletica, un po' consunti, dove, per vedere ciò che accade all'interno dell'altra area di rigore, servirebbe (come accade all'Olimpico di Roma, ad esempio) un fiammante binocolo. Per la Juve no, qui tutto funziona. Lo stadio è un gioiello architettonico. L'impianto è comodo e fantastico, sempre esaurito. C'è voglia di frequentarlo, anche con i bambini. Soldi cash, l'impennata dei ricavi generata dagli indotti. Vuoi visitare il Museo della Juve, dove puoi anche vedere foto storiche di tutti i tempi? Dieci euro il costo. Ci vuoi abbinare la visita agli spogliatoi? Il costo sale a diciotto euro. Sconti per le famiglie, perfezionate diverse convenzioni con varie categorie. Lo Juventus Stadium è il Re Mida. Ha eguagliato così, ciò che accade da anni al Bernabeu del Real, al Camp Nou di Barcellona, all'Old Trafford di Manchester, all'Emirates di Londra, sponda Arsenal, all'Arena di Monaco di Baviera. L'asset-stadio crea occupazione, fa girare soldi. Tanti, se è vero che alla visita o alla partita - se sei davvero tifoso - ci abbini per forza un salto allo store. Ecco spiegata l'egemonia-Juve, in Italia, campionato mai in discussione. Più guadagni e maggiori opportunità hai di presentarti davanti a grandi campioni e grandi manager offrendo contratti a più zeri. Così resti forte e vincente. Lo stadio, l'alchimia è in quel catino. Mentre, sfidando le pastoie burocratiche di grandi città, le avversarie cercano ancora le loro nuove dimore. L'Italo-Americano ITALIAN SECTION |

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