L'Italo-Americano

italoamericano-digital-10-23-2014

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GIOVEDÌ 23 OTTOBRE 2014 www.italoamericano.com 22 L'Italo-Americano ITALIAN SECTION | Angelo J. Di Fusco, CPA Tax preparation & planning Financial statements & accounting Financial planning & budgeting Quickbooks professional advisor & small business consulting Let's team up to cut your taxes 25 years experience Parliamo italiano 818/248-9779 www.difusco.com Ai tempi dei romani 'l'ozio' era il padre delle virtù e il 'negozio' non serviva certo per fare la spesa LuIGI CASALE Nell'antica Roma ozio (otium) e negozio (negotium) erano due realtà antitetiche. Come si vede dalla stessa struttura morfologica delle due parole latine la secon- da deriva dall'altra: il negotium è la negazione dell'otium, in quanto: nec-otium = non-ozio. Esse rappresentano le più nobili e qualificate attività umane che impegnavano l'uomo libero, il civis romanus. Infatti presso i Romani l'otium è l'atti- vità dello spirito: riflettere, stu- diare, scrivere opere letterarie. Mentre il negotium è l'attività pratica: dedicarsi agli affari e alla vita politica. Le parole ozio e negozio pur essendosi conservate quasi iden- Nei concetti antichi di otium e negotium non c'entra per niente il lavoro, così come lo concepia- mo oggi. I nomi del lavoro erano: opus (azione), opera (attività), labor (sforzo), fatiga- tio (stanchezza), officium (dovere, impegno), munus (incarico); tutti aspetti legati al lavoro, eppure non sufficienti a definire il lavoro così come è concepito (organizzato, struttura- to, normato) oggi presso i moderni. Dalla storia, poi, apprendiamo che nell'antichità vigeva la schiavitù, il sistema servile che impregnava le rela- zioni sociali e le relazioni econo- miche. Tornando al significato delle parole, oggi diciamo: "L'ozio è il padre dei vizi". Il Romano, per ciò che le parole significava- no, avrebbe detto: "L'ozio è il padre della virtù (da "vir" = uomo)". Infatti l'otium gli per- metteva di esprimere le più alte qualità morali, insieme al pro- dotto dell'intelletto. Eppure otium e ozio nelle rispettive lingue significano essenzialmente la stessa cosa, cioè "non fare niente". E poiché il "non fare niente" degli antichi era il privilegio della classe senatoria (abbiamo già detto che vigeva la schiavitù) la nobiltà politica e intellettuale quando non svolgeva le comuni occupa- zioni quotidiane della vita prati- ca, la politica, le relazioni sociali – meno che meno la fatica fisica (ricordiamoci che parliamo dell'uomo libero) – liberatosi per breve tempo anche delle preoc- cupazioni della casa e della famiglia, se voleva dedicarsi alla riflessione scientifica e filosofica o a scrivere opere letterarie si diceva che "facesse ozio", asse- condando in tal modo il suo benessere spirituale e morale. Tutt'altra cosa l'ozio dell'uomo moderno: accidia, noia, perdi- tempo. Di positivo nell'ozio moderno credo non ci sia pro- prio niente. A meno che non si intenda parlare del poeta e del detto: "nec-otium"). Fare il mili- tare sia in guerra che in pace, occuparsi delle cose dello Stato, seguire gli affari, ecc.. Anche qui, ci rendiamo conto che in italiano il negozio è tutt'altra cosa. Certo, siamo ancora vicini al significato degli antichi; però più che l'attività in sé, per noi indica il luogo dove essa si svol- ge. Solo nel linguaggio giuridico il termine recupera l'antico significato. Ora sì che si comprende il senso della definizione "Ville d'ozio" attribuita ai tre o quatto siti archeologici di Stabiae in Campania. La definizione è giu- sta, nella sua indeterminatezza. Diviene chiara ed inequivocabile per tutti (trasparente), solo se teniamo presente quello che abbiamo detto a proposito dell'otium dei Romani. La villa è una casa di campagna, una fat- toria agricola, un centro produt- tivo, e resta comunque una resi- denza signorile. Nello stesso tempo per il proprietario diviene la sede delle vacanze e del ripo- so, dove, lontano dai traffici cit- tadini, può più tranquillamente dedicarsi ai suoi studi. Un centro di studi e di rappresentanza, un istituto di ricerca e di documen- tazione, oltre a centro di produ- zione e di trasformazione di generi alimentari da conservare o da commerciare. Basti pensare alla Villa dei Papiri di Ercolano, alla Villa di Poppea ad Oplontis, alla Villa dei Misteri di Pompei, nonché alle c.d. Ville d'ozio di Stabiae. tiche a se stesse (otium, nego- tium), il loro significato non cor- risponde (o corrisponde minima- mente) a quello che esse avevano per i Romani. Anzi direi quasi che è opposto. Se oggi traduces- simo le parole latine "otium et negotium" con le corrispondenti italiane "ozio e negozio", avremmo buone probabilità, quasi la certezza, di sbagliare: di dire tutt'altra cosa di ciò che intendevano dire gli antichi. Eppure le parole, fatte salve le piccole differenze grafiche e fonetiche, sono praticamente le stesse: e come tali sono state sempre usate nella loro continuità storica. Questo è quello che si dice lo scivolamento di significato. Villa di Poppea ad Oplontis filosofo: in questo caso si ritor- nerebbe proprio all'otium, degli antichi. Negotium, poi, per il Romano è attività: il contrario dell'ozio, la negazione dell'ozio (come ho

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