L'Italo-Americano

italoamericano-digital-2-19-2015

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GIOVEDÌ 19 FEBBRAIO 2015 www.italoamericano.com 21 L'Italo-Americano ITALIAN SECTION | Solo tardi ho appreso che lo stazionamento di musicanti con strumenti e con (oppure senza) altoparlanti, nelle strade, nelle piazze, nei larghi, e nei vicoli della città, o anche nei cortili dei caseggiati delle zone a forte densità di popolazione, si chia- masse "'a pusteggia". Fu quando, nella primavera d e l 1 9 9 5 , l a c a s a e d i t r i c e Newton-Compton cominciò a pubblicare "Napoli tascabile" la serie di opuscoli a 1000 lire il volume, distribuiti poi nelle edi- cole con cadenza settimanale c o m e s i f a c o i r o t o c a l c h i . Anch'io ne acquistai alcuni, che ora sono rimasti a casa mia e ogni tanto mi ritornano sotto gli occhi. Tra essi c'è "I posteggia- t o r i n a p o l e t a n i " d i M i m m o Liguoro, giornalista Rai. Così ho scoperto quest'altro signifi- cato dei termini: "posteggiatore" e "posteggia". I "posteggiatori", fino a quel momento, per me erano i guar- damacchine dei parcheggi pub- blici (tecnicamente: incustoditi), di fatto custoditi da questo tipo di personale, volontario avventi- zio (i liberi posteggiatori) che in cambio del servizio chiedevano (e chiedono, ove resistono) un piccolo contributo. Mentre la "posteggia" era stata fin allora, per me e per i miei coetanei accomunati dalla stessa parlata gergale, la pratica del corteggia- mento a tecnica stanziale: resta- re cioè impalato, sempre fisso nello stesso posto, davanti al portone o sotto al balcone della fortunata innamorata. O, in una diversa accezione, l'attesa nel luogo fissato per l'appuntamen- t o , d o v e s e m p r e i m p a l a t o s i aspettava il (o la) solito ritarda- tario di turno. Quelli che a Napoli erano detti "posteggiatori" nella acce- zione classica, nuova per me, nel nostro piccolo centro di pro- vincia erano chiamati concertini ambulanti, cantanti, o musicanti. Qualcuno li nominava anche straccia-facenne (rigattiere, cen- ciaiolo). Ma credo che la realtà poi al di là del nome, fosse sem- pre quella, anche se noi "provin- ciali" dimostravamo di possede- re un lessico più diretto e meno sofisticato di quelli della città. Forse, un'altra differenza era che i suonatori di Napoli – e rimarco il "forse" – avevano più professionalità e più sicurezza economica per il mantenimento delle famiglie. Mentre da noi, in provincia, più che una prestazio- ne artistica, o una manifestazio- ne di folklore legata ad una tra- dizione locale, il gesto era per- cepito come forma di raccolta di elemosina, per non dire (in tono bonario) vero e proprio accatto- naggio: occasione di incremen- tare le entrate che non erano mai sufficienti per chi non aveva altra fonte di reddito. Ma questa attività restava un'occupazione straordinaria e provvisoria, che doveva durare giusto il tempo della disoccupa- zione (che alla fine dei conti si rivelava lunghissimo, fino a ren- dere permanente il mestiere), nell'attesa di trovare un lavoro più sicuro. Specialmente negli anni del Dopoguerra. Tuttavia quella provvisorietà legata all'e- voluzione dei tempi comportò che col passar degli anni si ridu- cesse la presenza dei posteggia- tori, e scomparve del tutto nel periodo del cosiddetto boom economico, quando, migliorate le condizioni economiche gene- rali si affermarono i complessi p i a d i p o s t e g g i a t o r i , c h e i n maniera itinerante, senza più " p o s t e g g i a " ( l a s c e l t a d e l l a postazione fissa: 'o puosto, da cui il nome), chitarra e tamburi- no, giravano per le strade della città, ma anche dei centri confi- nanti, a chiedere l'elemosina. Non ricordo più se i loro stru- menti producessero vere melo- die o si limitassero esclusiva- mente a ripetere ritmi monotoni, noiose tiritere, inutili percussio- ni e ripercussioni assordanti e ridondanti, costanti nella loro I posteggiatori napoletani? Tradizionali cantori ambulanti LUIGI CASALE stua. Probabilmente cercavano di mantenere quel minimo di conti- nuità (il mercato, come si dice oggi) per far sì che nelle giorna- te in cui Nicola non era chiama- to a lavorare, entrambi, ripren- dessero senza troppe difficoltà la normale attività da essi abi- tualmente svolta prima. M a n t e n e v a n o l a p i a z z a ; insomma cercavano di conserva- re la clientela; ora che il loro esercizio era avviato cercavano d i r e g g e r e i l m e r c a t o . Ciononostante, le condizioni economiche non miglioravano di molto. Eppure c'era un aspetto che rivelava la stretta solidarietà dei due: la piena ed equa ripartizio- ne del ricavato, una condivisio- ne senza riserve e senza alcuna clausola contrattuale. Nicola sul cantiere, e Polichetti in giro per le strade col suo tamburo a rac- cogliere l'elemosina. E che di elemosina si trattasse lo rendeva evidente il fatto che le persone neppure ascoltavano più il ritmo del tamburo, orfano della chitar- ra, che si limitava alla esclusiva funzione di richiamo, riducen- dosi ad una vera e propria rottu- r a d i . . . t i m p a n i . I l p o v e r o P o l i c h e t t i f a c e v a q u e l l o c h e poteva. Strimpellava, o meglio percuoteva, al ritmo di marcetta, tambureggiando. E raccoglieva quello che gli offrivano. Ma mentre il guadagno di Nicola in qualche modo era noto e perciò prevedibile, e in un certo senso m a g g i o r m e n t e c o n t r o l l a b i l e anche se era ancora senza busta- paga, il ricavato di Polichetti era completamente aleatorio, insta- bile, senza nessuna possibilità di previsione. Ciò dava sconforto al povero Polichetti: sconforto che si potesse dubitare della sua lealtà, talché lo portava talvolta a rinunciare al suo giro. D'altra parte questo fatto – non che Nicola dubitasse dell'o- nestà dell'amico (e della fiducia che egli gli corrispondeva) – metteva Nicola nella condizione di sospettare che Polichetti rien- trasse dalla questua in anticipo, proprio perché sfiduciato dal modesto raccolto. Allora d'ac- cordo, com'erano sempre stati in tutto, decisero di fare uscire col tamburo sui fianchi, legato nella vita da una catenella di ottone; e questa fissata con un lucchetto, la cui chiave nel corso della giornata era custodita da Nicola. Nessuno stupore per le persone che lo incontravano durante il servizio. Molti neppure si accor- gevano della novità. Altri pensa- vano che quell'espediente fosse stato adottato per lasciare libere l e m a n i o n d e g o v e r n a r e p i ù comodamente le bacchette che roteavano nell'aria; o, anche, per dare semplicemente stabilità al tamburo. I due soci continuarono ad essere amici indivisibili, anche se uno aveva famiglia e l'altro era scapolo. Per chi non li cono- sceva personalmente, sembrava- n o a d d i r i t t u r a d u e c o g n a t i . Perché solo la presenza di una donna forte, economa, legata a entrambi da una comune sorte, poteva più facilmente spiegare la perfetta riuscita di quel soda- lizio. La sera, dopo il rientro del- l'uno e dell'altro dai rispettivi lavori, liberato Polichetti dal lucchetto del tamburo che lo aveva obbligato l'intera giorna- ta, controllato l'incasso, si reca- vano al bar del dopolavoro fer- roviario per un caffè o una cioc- colata, due chiacchiere e una partita a carte. Non so per quan- to tempo durò questo comporta- mento. Ricordo che negli ultimi tempi, quando di sera venivano al bar del dopolavoro, a chi gli chiedesse come era andata la questua quel giorno, Polichetti, purché si trattasse di amici e che l a d o m a n d a f o s s e f o r m u l a t a seriamente e senza intenti can- zonatori di sfottò, rispondeva: "Beh! 'A musica è leggera, e si fa pesante...". Posteggiatori contemporanei a Portalba di Napoli (Ph. Luigi Casale) Oggi i "posteggia" suonano ai tavoli dei ristoranti e allietano matrimoni I Posteggiatori Tristi di Cava de'Tirreni. La formazione di musicisti riprende in chiave comico-clownesca l'arte di strada dei "posteggia" vocali e strumentali giovanili, meglio strutturati, seppure anco- ra di tipo dilettantistico e preca- rio, fino all'affermazione del mezzo televisivo. Ma prima di essere soppian- tati del tutto dai complessi gio- vanili, i posteggiatori, eredi di una lunga tradizione, dal 1946 fino a circa il 1960 circolavano a n c o r a , e v e n i v a n o r i c h i e s t i anche per feste e ricorrenze di famiglia. Così a mano a mano che essi si riducevano di numero, perché, musicisti o non musicisti, una v o l t a i n s e r i t i n e l m o n d o d e l l a v o r o ( q u e l l o n o r m a l e p e r intenderci!), lasciavano l'atti- vità, i pochi posteggiatori super- s t i t i , d a s o l i o i n c o p p i a , s i mostravano sempre i più appros- simativi sul versante delle pre- stazioni "artistiche". Sicché agli inizi degli anni '70 a Torre Annunziata era rima- sta in circolazione una sola cop- circolarità ritmica, con qualche semplice variazione di crescen- do, e qualche ricercatezza di barocca voluta in chiusura. "N icola e P olichetti" – il nome del "complesso strumen- tale" – divennero così i nostri beniamini. Finché gli diventam- mo amici. E se Nicola, seppure c o n q u a l c h e d u b b i o , p o t e v a sembrare il nome di battesimo del personaggio, Polichetti – p o c h i s a p e v a n o c h e e r a u n c o g n o m e – e r a r i t e n u t o i l soprannome del secondo sog- g e t t o . C o m u n q u e q u e l " d u o canoro", pur non avendo fatta troppa fatica a sceglierselo, si ritrovò un bel nome d'arte, pro- prio da professionisti per essere un complesso musicale. Alla fine Nicola trovò un lavoro, sal- tuario, a giornate, da muratore. E Polichetti restò solo a svolge- re la raccolta delle offerte, e da solo continuò a girare per le strade della città a fare la que-

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