L'Italo-Americano

italoamericano-digital-3-17-2016

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GIOVEDÌ 17 MARZO 2016 www.italoamericano.org L'Italo-Americano ITALIAN SECTION | 34 SOCIETÀ & ATTUALITÀ CRONACHE NOVITÀ EVENTI La paura dell'ignoto e dello straniero che porta con sè l'immigrato era difficile, figuriamoci per i greci con cognomi di dieci e più lettere. Questa domanda ci segue ancora oggi in quasi tutte le tele- fonate a uffici per qualche prati- ca di qualsiasi genere. Ovviamente il lunedì mattina, come in tutte le scuole, le prime parlavamo della cena di sabato sera con questo o quell'altro compare, oppure di essere andati la domenica da una zia, o un'us- cita, sempre di famiglia, alla fes ta di qualche s anto o Madonna per adempiere i nostri doveri religiosi. Senza scordare i domande erano su cosa avevamo fatto durante il weekend, visto che in Australia non si va a scuo- la di sabato. Per gli australiani il weekend era football australiano e possibilmente un'uscita al cine- ma a un'età molto più precoce di noi figli di immigrati. Invece noi weekend dedicati al vino, o al maiale dove c'era l'obbligo per tutti di stare a casa per aiutare. Quando eravamo adolescenti noi maschi di origine italiana avevamo una libertà che non esisteva per le nostre sorelle e cugine. Potevamo uscire per rag- giungere i nostri amici e magari avere i nostri primi flirt. Per le ragazze italiane le uscite erano s trettamente controllate e in molti cas i accompagnate da almeno un adulto. Poi, quando cominciavano le prime storie d'amore di queste ragazze il probabile fidanzato era esamina- to con occhi impietosi, spesso sospettosi riguardo a ragazzi italiani di altre regioni, o con espressioni di orrore per tanti genitori, se erano ragazzi di altre nazionalità. Sembrano quasi ridicoli oggi, questi ricordi di vecchia emi- grazione, ma erano la nostra realtà. Come gli sguardi sospetti dei passeggeri australiani sui mezzi pubblici durante un'uscita con mamma in centro. Erano sguardi che facevamo finta di non vedere, ma a volte lo sguardo diventa "l'ordine" di parlare in inglese visto che eravamo in Australia. Queste richieste, più o meno brusche, non sono mai sparite del tutto e ancora oggi, che abito in Italia, di tanto in tanto sulle pagine dei giornali australiani vedo articoli di inci- denti sui pullman o i tram aus- continua a pagina35 V ogliamo es s ere s empre come gli altri quando andiamo a scuola. Però diventa difficile quando già dal momento in cui apri il sacchetto con il tuo pranzo è radicalmente diverso da quello degli altri. Noi figli di italiani vedevamo i triangoli precisi dei sandwich dei nostri compagni australiani che sembravano usciti dallo stu- dio di un architetto, magari con la crosticina tagliata lasciando soltanto il bianco in contrasto con il prosciutto cotto, pomodori e foglia di lattuga del suo rip- ieno. I nostri panini, o fette mass- icce di pane casareccio, magari con il ripieno degli avanzi della parmigiana del giorno prima, oppure con la frittata di cipolle, il cui profumo veniva percepito da tutti quelli intorno a te, accompa- gnati da una fetta della torta di mela di mamma, sembravano arrivati da un altro pianeta. Sono tra i ricordi condivisi con i miei coetanei in Australia e non ho dubbi che sono simili alle esperienze dei nostri amici e par- enti in altri paesi di forte emi- grazione italiana. M a ques ti ricordi non sono che una parte di un lungo viaggio verso una scop- erta che durante gli anni di scuo- la non eravamo in grado di capire. Già a scuola sentivamo la domanda "and how do you spell that?" ("E come si scrive?") che inevitabilmente seguiva la nostra risposta di come ci chiamavamo. Per un nome come Mario Rossi era abbastanza facile, ma già il mio creava difficoltà, sia come ortografia che come pronuncia per gli anglofoni. Per noi italiani GIANNI PEZZANO Il difficile confronto culturale, da figli di emigrati, inizia a scuola notando le differenze con i compagni di altre etnie (Ph European Union)

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