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GIOVEDÌ 23 MARZO 2017 www.italoamericano.org 7 L'Italo-Americano IN ITALIANO | to". Nel capolavoro di Pietro di Donato, "Christ in concrete" (1939), ho sentito mio nonno che trasportava la cassetta portamat- toni attraverso Geremio, che sog- nava ad occhi aperti mentre lavo- rava in un cantiere edile: "Ridete, ridete tutti...ma io vi dico che tutti i miei bambini saranno ragazzi e un giorno o l'altro saranno i grandi costruttori americani. E allora io li aiuterò a mettere via l'oro nelle cantine.... Ma non sono un uomo, per alimentarmi con queste mani? Ah, ma il giorno finirà e nessun capo nel mondo potrò rubarmi la gioia della mia casa!". Attraverso i romanzi e le nov- elle di John Fante, ho visto, non solo i miei nonni, ma il modo in cui i loro bambini li devono aver visti, come attraverso la storia "The Odyssey of a Wop" di Fante: "Scelgo piccoli pezzi di informazioni su mio nonno. Mia nonna mi dice di lui. Lei mi dice che quando lui viveva era un buon individuo la cui bontà evocava non ammirazione ma pietà. Lui era conosciuto come un buon pic- colo Wop". In seguito, a causa di Fante, capii perchè era solita dire, "io sono un Dago, tu sei un Wop; io mangio spaghetti, tu mangi brodaglia". "Dall'inizio - scrive Fante - sento mia madre usare le parole Wop e Dago con tale vig- ore come per denotare disgusto violento. Lei li sputa fuori. Saltano dalle sue labbra. Per lei, contengono l'essenza della povertà, dello squallore, della lor- dura." Mi sono divorato ogni Fante che ho trovato. E' diventato il mio Hemingway. Così come Puzo è diventato il mio Norman Mailer, e di Donato il mio James Farrell. All'improvviso, la letteratura americana non è più qualche cosa che discende dai Padri Pellegrini. Capisco il senso del dramma den- tro la Chiesa cattolica e capisco i fondamenti ostinatamente pagani delle paure della mia famiglia dell' "Occhio del Diavolo" e la sfida alle autorità costituite. Questi scrittori hanno trasformato l'inglese stentato dei miei nonni da segno di stupidità e fonte di imbarazzo nella bella musica che io comincio a ricreare nelle mie storie. E quando lo faccio, io li ascolto, come se fosse la prima volta; le loro risurrezioni mi ten- gono sano. Sembrava che ovunque mi girassi trovassi un altro scrittore Italiano Americano. Ho comincia- to a setacciare le librerie di libri usati. Lì ho incontrato "Umbertina" (1987), l'elegante primo romanzo di Helen Barolini, il primo di una donna Italiana Americana. La scrittura di Barolini ha dato le parole ai silen- zi delle mie nonne: "Lei aveva vinto, ma a chi avrebbe potuto raccontare la storia?...Lei aveva sette bambini viventi e ventisette nipoti, ma a nessuno di loro pote- va realmente parlare." Attraverso il romanzo epico di Barolini, ho imparato la mia cultura dal punto di vista di una donna, una prospettiva che non avevo mai conosciuto perché non mi ero mai preoccupato di ascoltarla, o per via del silenzio imposto alle donne Italiane Americane di cui non mi ero mai reso conto. Mentre cominciavo a vedere le relazioni tra questi scrittori e quegli altri che una volta avevo creduto fossero i veri scrittori americani, gli Hawthorne, i Poe e i Whitman, mi chiedevo se ci fosse un collegamento tra gli scrittori Italiani Americani e la letteratura italiana. Mentre ci sono stati alcuni scrittori, come Ignazio Silone, che mi hanno illu- minato sulle condizioni degli ital- iani immigrati in America, o come Dante e Machiavelli che mi hanno rivelato le radici di codici comportamentali pubblici come il fare "bella figura", cioè man- tenere una maschera pubblica così da non rivelare all'esterno le debolezze. Ho trovato collegamenti letter- ari attraverso il mio studio delle tradizioni orali attestate da leggende popolari, come quelle raccolte da Italo Calvino ed anche i proverbi. Ho compreso così che molta della letteratura creata dai primi scrittori Italiani Americani era la cultura orale messa per iscritto. Questo mi ha portato a comprendere che la letteratura Italiana Americana, figlia della cultura italiana e americana, era stata abbandonata da entrambi i suoi genitori, rendendola di fatto orfana, o dandogli al massimo la sensazione di essere un figlio ille- gittimo che si sarebbe dovuto difendere da solo nell'arena cul- turale mondiale. Ho seguito le carriere di Tony Ardizzone e Jay Parini, nessuno dei quali si considerava uno scrit- tore Italiano Americano. Ma quando sono arrivato agli scrittori più vecchi come Giuseppe Papaleo, Rocco Fumento e Ben Morreale, ho percepito qualcosa di diverso. Morreale sentiva di non essere mai stato riconosciuto come un scrittore Italiano Americano perché la comunità italo-americana non aveva nessun bisogno di scrittori propri, o almeno non lo stesso bisogno che sentivano le comunità ebraiche o Africane Americane. Lui parlava della rabbia che provava quando l'immagine della mafia oscurava tutti gli sforzi degli artisti ameri- cani di discendenza italiana. Questa rabbia, forse, la si può ritrovare negli atteggiamenti neg- ativi che ha tenuto gli scrittori Italiani Americani lontano dal volersi identificare con la loro etnicità. Staccarsi dagli stereotipi avrebbe reso più facile per questi artisti essere sostenuti dai loro paesani, ma per scrittori come Mario Puzo, guadagnare fama e fortuna con la narrativa era stato un modo di farlo, di andare oltre i limiti imposti alla generazione degli immigrati. Era una lotta per- sonale ed individuale che una volta considerata non richiedeva rimborsi. E poichè il successo arrivava a dispetto della comunità, e non grazie all'appoggio della comunità, non c'era bisogno di sentire nessun senso del dovere di restituire sostegno alla comunità. Questo spiegherebbe la posizione di un Gilbert Sorrentino, o un Don DeLillo, nessuno dei quali ho mai considerato scrittori Italiani Americani, perché loro raramente hanno toccato temi relativi all'es- perienza Italiana Americana. Quando Gay Talese sollevò il problema, "Dove sono i romanzieri Italiani Americani?" sulla prima pagina del New York Times Book Review del 14 marzo 1993, ho creduto che lui proba- bilmeente stava portando, per la prima volta, l'attenzione nazionale sulla possibilità che ci potesse essere una tradizione let- teraria distintamente Italiana Americana. Comunque, ostacola- to dalla sua mancanza di familiar- ità con il corpo enorme della let- teratura creata da scrittori ameri- cani di discendenza italiana, Talese ridusse l'esperienza degli scrittori Italiani Americani alla sua, ed offrì un numero di spie- gazioni che sembrano plausibili, ma che, in realtà, non riflettono la mia convinzione che uno è quello che legge. Poichè lui non aveva letto scrittori Italiani Americani, lui ha potuto solamente porre la domanda. Questo potere della letteratura di creare l'identità e la comunità ha richiesto un tempo lungo per essere capita dagli Italiani Americani. Louise De Salvo, che ha vinto il primo premio letterario Gay Talese, un premio da $10,000 presentato da UNICO ha scritto nelle sue memorie: "Non c'è niente di più semplice, leggere e scrivere su quello che io ho letto, hanno salvato la mia vita". Parole che potrebbero essere le mie, non solo perché la lettura mi ha trattenuto dal divenire un gang- ster, ma mi ha reso un professore che comprende che se leggere può salvare una vita, allora deve essere vero che la letteratura può salvare una cultura. Nota dell'autore: una bibli- ografia utile, ma datata, e annotata di scrittori Italiani Americani si può ancora trovare a: http:// www.italianstudies.org/iam/iam_ bbl.html Alla ricerca degli scrittori italo-americani "Attraverso i romanzi e le novelle di John Fante, ho visto, non solo i miei nonni, ma il modo in cui i loro bambini li devo- no aver visti" NEWS & FEATURES PERSONAGGI OPINIONI ATTUALITÀ Continua da pagina 1