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GIOVEDÌ 4 MAGGIO 2017 www.italoamericano.org 7 L'Italo-Americano IN ITALIANO | degli oli d'oliva extravergini ora disponibili, e una piccola selezio- ne di vini. Dai ristoranti italiani, i clienti si aspettavano tovaglie a scacchi, formaggio Parmigiano grattugiato dentro una scatola e "un bel po' di aglio" accompa- gnato da Lambrusco o Barolo dal Nord Italia. Poi è arrivato Piero Selvaggio, un giovane siciliano arrivato a New York da adolescente con i suoi genitori negli anni Sessanta, che conosceva solo la cucina della sua mamma e del convitto della scuola cattolica frequentata da bambino. Ma lui sapeva intratte- nere, come accogliere i clienti, essere galante con le donne, come inchinarsi e fare il baciamano quando entravano nel ristorante, aveva e ha quella classe che sa riempire ogni sera il ristorante aperto con il suo socio di allora Gianni Paoletti. "Gianni ha lavo- rato come chef a Londra - dice Piero - così ha continuato a cuci- nare, mentre io ero il maitre di sala. La nostra cucina era terribi- le, veramente orribile se ci penso ora. Servivamo manicotti, tortelli- ni, cannoli, ognuno era felice e noi guadagnavamo bene. Fino ad una sera, quando un cliente, Sid Greenberg, mi chiamò e mi disse: lei è grande con la gente ma il suo cibo è terribile. E' meglio che se ne accorga presto o il suo risto- rante si svuoterà". Fu dura, continua Piero, "ma decisi di fare qualcosa. Così andai in Italia con l'obiettivo di impara- re. Una volta arrivato a Milano chiesi aiuto a Pino Khail, un gior- nalista esperto di vini. Lui mi portò al ristorante Giannino ed io ne fui intimidito perché compresi che non sapevo niente di autentica cucina italiana. Assaggiai lì, per la prima volta, tartufi, funghi porcini e carpaccio che lasciarono me e il mio gusto germogliare nel timore riverenziale abbandonandomi ad una crisi emotiva totale". Di fronte a lui c'erano due strade: continuare sul cammino sicuro del "tanto aglio-tanta sbob- ba" o abbandonare la cucina di mamma ed imparare cosa gli chef cucinavano in Italia. Fu coraggio- so e scelse la seconda strada, avventurosa, remunerativa. Il suo pellegrinaggio culinario in Italia continuò e Piero andò a trovare Nino Bergese, chef amato dagli aristocratici e autore di "Mangia come un re", che ai tempi lavora- va al ristorante San Domenico di Imola. Lì un altro mondo si spa- lancò quando assaggiò il "Raviolo Bergese", una ricetta in cui il raviolo è ripieno di uova, tartufo, ricotta e formaggio Parmigiano. "La caratteristica principale della cucina italiana - dice Piero - è che è fatta con pochi ingredienti e si possono apprezzare tutti i sapori che non sono mai omoge- neizzati da burro o panna. Questa è la differenza tra la cucina italia- na e quella francese, per esempio, e questa è la ragione per cui oggi la cucina francese non è più sulla scena e la cucina italiana, come è successo ai tempi dell'Impero romano, ha finito con il dominare la scena." "Negli anni Settanta, comun- que, anche in Italia, il panorama della ristorazione non era un con- testo professionale e gli chef arri- vavano soprattutto dalle scuole svizzere o tedesche. Anche i vini - continua Piero – non erano con- siderati come oggi e, per esem- pio, i vini siciliani erano usati solamente per aggiungere colore ed alcol ad altri vini prodotti nelle regioni settentrionali d'Italia e Francia che, a causa delle tempe- rature più basse, hanno una mino- re concentrazione di zucchero". Si alza dal bar dove siamo seduti e ci conduce alla stanza del tesoro, la sua cantina da oltre 100,000 bottiglie. È un spazio che non è sotterraneo ma in alto ed include un grande tavolo dedicato alle degustazioni di alto livello e all'esperienza degli abbinamenti enologici. Attorno alla stanza, il muro è una continua successione di vini e uno ha solo bisogno di concentrarsi sulle etichette per comprendere che questo è il para- diso degli intenditori di vino: bot- tiglie di Sauternes du Chateau d'Yquem, di Conterno Barolo del 1941, di Sassicaia, Pio Cesare Barolo con bottiglie del 1964, di Chateau Latour, Chateau La Mission Haut Brion con una bot- tiglia del 1955, e l'elenco potreb- be proseguire per pagine. Dal 1981, la cantina di Piero Selvaggio è stata premiata e Wine Spectator l'ha valutata come una delle migliori dieci al mondo. "Quando aprimmo il ristorante Valentino - continua Piero - non sapevamo niente di vini e acqui- stavamo ciò che i distributori ci presentavano. La nostra lista dei vini includeva Beaujolais, Bordeaux, Lambrusco e vini della California. Un giorno, un cliente mi chiamò e mi chiese l'elenco dei vini superiori. Io lo guardai e gli dissi che non avevo un'altra lista di vini. "E' meglio che lei ne abbia presto una", mi disse e così incominciai a conoscere i vini". Nella sua cantina ha molti vini siciliani, essendo la Sicilia la sua terra d'origine: "Il ricco e puro suolo vulcanico del Monte Etna dà vini spettacolari e in anni recenti la Sicilia ha avviato una seria produzione di vino. Amo i vini di Francesca Planeta, Regaleali, il Cos Vittoria Cerasuolo, il Corvo Duca Enrico, il Faro Palari di Geraci, il Ceuso di Antonio Melia, solo per fare alcuni nomi - dice Piero. Stappare una bottiglia è magico e amo poter offrire perfetti abbinamenti ed è per questo che non apprezzo l'abitudine dei clienti che si porta- no il loro vino. Talvolta arrivano con una valigia piena di vini, per- sino prima di sapere cosa ordina- re". Triste, molto triste, ma rispet- tiamo l'evoluzione della società. Sfortunatamente molte di queste evoluzioni stanno portando via la magia dell'esperienza ristorativa, eliminano il fattore sorpresa. Oggi, si va su Instagram e si tro- vano le fotografie di tutti i piatti. Su Internet dobbiamo elencare il menù, come posso sorprendere il cliente?". Suggerisce l'idea di cene e vini al buio totale per offri- re un'incredibile esperienza sen- soriale. "I Millennial sono interes- sati più all'atmosfera che al cibo, anche se in generale c'è una migliore conoscenza del cibo. Vogliono sperimentare più il gusto, e dopo la crisi del 2008 c'è più attenzione ai prezzi. Io penso che la cucina italiana possa essere grande e che gli chef dovranno solo reinventare quello che è soli- tamente noto come "piatti pove- ri", senza carne e con ingredienti come pasta, vegetali, riso". "Come ha scelto il nome Valentino per il suo ristorante?", chiediamo a Piero. "Stavamo cer- cando un nome elegante e facile da ricordare, pensammo a Rodolfo Valentino, da lì la scel- ta". "Quale pensa sia la chiave del successo della cucina italiana?". "Io penso che non solo sia la miglior cucina tradizionale ma anche una cucina che dà spazio alla creazione di abitudini. I nostri clienti sanno che possono aggiun- gere e togliere ingredienti a loro piacere per adattare le ricette al loro gusto personale." Piero ci porta nel suo ufficio, apre una scatola piena di fotografie e ricor- di come quella con la famiglia Pinchiorri della famosa Enoteca Pinchiorri di Firenze e quella con Francesca Planeta, per finire con l'amico di lunga data Wolfgang Puck che ha battezzato il figlio di Piero. Piero ci racconta la storia dei ristoranti italiani a Los Angeles. All'inizio c'era Perino e Villa Capri, poi La Scala, Matteo's e Chianti. Oggi non ci sono più e solo Valentino è sulla scena dopo 45 anni allo stesso indirizzo di Pico. Si può dire che c'è un prima e dopo Piero Selvaggio, autore di un'autentica rivoluzione tra i ristoranti italiani e i vini a Los Angeles. Uno può capire facilmente questa evoluzione guardando al menù di Piero scritto a mano sin dai primi giorni di Valentino, in mostra all'Italian American Museum di Los Angeles con mozzarella in carrozza a $2.50, spaghetti alla carbonara a $4.65, carne di vitello piccata con melanzana a $6.50 e cannoli di mamma a $1.50. Oggi, il menù di Valentino mostra tartare di tonno e burrata a $20, ravioli con ripie- no di prosciutto e crema di melo- ne di cantalupo per $30, stinco di vitello con midollo stufato lenta- mente con vin santo e servito su soffice polenta per $46: i prezzi sono ancora simili (considerando che il reddito medio delle fami- glie è salito dagli $8,000 del 1972 ai $56,500 del 2015) ma l'offerta è totalmente diversa. Cosa c'è in serbo per il futuro? "I miei tre figli più grandi non sono negli affari del ristorante, i più giovani, sono due di 2 e 8 anni e sono troppo giovani. Per un po' ho pensato di vendere Valentino, ma è parte di me, c'è ancora così tanto da dire e da dare ai clienti. Un'esperienza culinaria multisensoriale è forse ciò che al momento si può proporre alle nuove generazioni quando metto- no giù il telefonino e si concentra- no sull'esperienza del cibo, inve- ce di fotografarlo e immediata- mente postarlo". La tavola è un luogo dove condividere, dove poter ricordare il nostro nome e dimenticare la tecnologia. Piero Selvaggio: l'evoluzione della cucina italiana a LA Piero Selvaggio, autore di un'autentica rivoluzione tra i ristoranti italiani e i vini a Los Angeles. nik wheeler / Alamy Stock Photo NEWS & FEATURES PERSONAGGI OPINIONI ATTUALITÀ Continua da pagina 1