L'Italo-Americano

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GIOVEDÌ 4 MAGGIO 2017 www.italoamericano.org 5 L'Italo-Americano IN ITALIANO | LA VITA ITALIANA TRADIZIONI STORIA CULTURA N ei suoi 2770 anni di vita, Roma ha dato casa a rivalità, tradimenti, crisi creative e amori proibiti. A mer- cenari che si trasformarono in difensori della santità e tombe non finite che si sono trasformate in monumenti iconici. A papi che avevano più amanti di Casanova, i cui volti oggi conosciamo per- ché ritratti nelle opere d'arte in giro per la città. Ad architetti che combatterono l'uno contro l'altro per guadagnare la medaglia del vero padre del Rinascimento di Roma e molti altri piccoli eventi noti o curiosi, e persone che non sempre si trovano sulle popolari guide turistiche e negli itinerari. Questo è il primo articolo di una breve serie dedicata ad aneddoti meno noti, istituzioni e gente di Roma, un omaggio alla città, una lettura magari stimolante per tutti coloro che desiderano conoscere più intimamente la Città Eterna. "La mia splendida tragedia": Michelangelo, Giulio II and il Mosè La relazione tra Giulio II e Michelangelo è roba da romanzi: entrambi di forte volontà – per non dire caparbi – e soliti nel fare le cose a loro modo, i due spesso erano ai ferri corti l'uno con l'altro. Le leggende dicono che quando Giulio II, esasperato, chiese all'artista quando avrebbe finalmente finito gli affreschi della Cappella Sistina, alla risposta impertinente "quando avrò il tempo per farlo", Giulio II reagì colpendolo molte volte col suo bastone da passeggio. L'aneddoto, vero o falso che sia, dice molto della dinamica della loro relazione che era cominciata nel 1505 quando il Papa com- missionò a Michelangelo il prog- etto e la realizzazione della sua tomba monumentale, da mettere in San Pietro. Non lo troverete lì, tuttavia, perché le cose non andarono come ci si aspettava. Commissionato nel 1505, doveva rispecchiare la grandezza di Giulio II, bene accoppiato allo stile maestoso, lussuoso, di Michelangelo ma vedete, della Rovere era un vulcano di idee ed era anche un po' superstizioso: "Lavorare sulla tomba mi ci porterà per primo", pare abbia detto, così decise di rivolgere la sua attenzione, e i finanziamenti, agli affreschi della Cappella Sistina. Quando fu presa la decisione, Michelangelo era in Toscana a cercare il marmo necessario per la scultura della tomba che origi- nariamente prevedeva di includ- ere oltre 40 statue più grandi del reale: potete immaginare la sua sorpresa quando Giulio II disse di aver perso interesse. Michelangelo, furioso, raccolse le sue cose e ritornò in Toscana e per due anni si rifiutò di consid- erare le offerte del Papa di ritornare e lavorare sulla Cappella Sistina. Quando poi lo fece, nel 1508, spese buona parte dei 4 anni suc- cessivi stando naso all'insù per dipingere il soffitto, con poco o per nulla tempo da dedicare, persino al pensiero, al mausoleo di Giulio. Il punto è che della Rovere è morto nel 1513: e non aveva la tomba. La sua famiglia quasi subito chiese a Michelangelo di portare il progetto a conclusione ma ciò non successe per altri 30 anni. Ci vollero tre papi, l'Ultimo Giudizio e molti tumulti diplo- matici e politici per scrivere la parola "fine" sul progetto che arrivò al completamento in una scala molto più piccola rispetto al progetto originale. Solamente 17 delle 40 statue furono realizzate e, mentre il suo proprietario era sepolto nella basilica di San Pietro, la tomba non è posta sopra le spoglie mortali, ma in San Pietro in Vincoli. Una di quelle 17 statue è il Mosè di Michelangelo: Mosè il magnifico, che toglie il fiato e assomiglia a un dio, la statua con un'anima che il suo stesso cre- atore definì la sua "tragedia mer- avigliosa". Perché? Perché per completarla gli ci vollero 40 anni. "Perché non mi parli?" si dice che l'artista abbia detto, mentre guardava la sua creazione ultimata. E ce lo si domanda real- mente, quando ci si è di fronte, perché davvero questo gigante di pietra, prezioso ed elegante, non si muove: è così bello, viene da pensare, che ci deve essere sangue che scorre in quelle vene. Vasari, il primo storico del- l'arte d'Italia, scrisse che la barba del Mosè fu scolpita così magis- tralmente da sembrare più il lavoro di un pennello che di uno scalpello. Michelangelo riuscì anche a voltare la sua testa dopo che lo aveva scolpito di fronte: ora, se questo non è segnale di maestria, non immagino quale lo possa essere. Tutto vero, tutto reale: Mosè è ancora lì a testimoniare il talento del suo creatore e a inspirarci con pensieri più alti, come accadde nel 1914 a Sigmund Freud, il padre della psicoanalisi, che dedicò alla statua una famosa composizione. Lo trovate a: San Pietro in Vincoli, piazza San Pietro in Vincoli. Gli svizzeri arrivano a Roma Torniamo a Giulio II: l'uomo energico e apparentemente volu- bile che possiamo ringraziare per parte della Cappella Sistina e per la "tragedia meravigliosa" di Michelangelo, è dietro anche alla creazione ed ufficializzazione di una delle istituzioni più popolari di Roma, le Guardie Svizzere. Ufficialmente chiamata Guardia Svizzera Pontificia questo - oggi - piccolo esercito di 110 soldati ha una storia che torna indietro al Rinascimento. Fin dal tardo 15° secolo, i soldati svizzeri erano conosciuti per la loro prodezza in battaglia e per il fatto che erano mercenari: cioè combattevano per soldi. Apprezzati un po' dappertutto in Europa per le loro abilità, papa Sisto IV fu il primo a pensare a loro per sostenere il suo esercito. Tuttavia, fu di nuovo, ahimè, Giulio II, che ufficialmente diede per la prima volta il ben- venuto al capitano Kaspar von Silenen e ai suoi 150 soldati a Roma: la sua guardia del corpo armata. Le Guardie Svizzere parteciparono a molti eventi mil- itari, primo tra tutti il Sacco di Roma del 1527, in tutta la storia dello Stato Papale: contraria- mente a quello che accadde all'Esercito Papale, il contin- gente delle Guardie Svizzere non fu smantellato, ma mantenuto come guardia personale del pon- tefice anche dopo che Roma divenne parte del Regno dell'Italia. Con la firma dei Trattati Lateranensi tra il Regno di Italia e la Santa Sede, le Guardie Svizzere divennero l'esercito ufficiale dello Stato del Vaticano, anche se il loro compi- to principale, ancora oggi, è quello di proteggere la figura del Papa nel Vaticano e in giro per il mondo. La loro etica è simboleg- giata dal motto "acriter et fideliter", con coraggio e fede, e il corpo è oggi formato da 110 uomini, 78 guardie e 32 ufficiali. Tutti devono essere uomini, svizzeri e cattolici, tra i 18 e i 30 anni e più alti di 174 cm. Solamente gli ufficiali possono essere sposati. Li vedete, ovviamente, in Piazza San Pietro. Alcune informazioni curiose si possono trovare sulla loro col- orata uniforme: una leggenda ben nota dice che la combi- nazione di blu, rosso e giallo scuro fu ideata da Michelangelo stesso, probabilmente per l'allure rinascimentale e perché l'artista era, in realtà, a Roma negli anni in cui arrivarono le Guardie Svizzere. Comunque, l'attuale uniforme delle Guardie è questione molto più recente, visto che fu disegna- ta all'inizio del 20 secolo dal comandante Jules Repond che basò la creazione sugli indumen- ti storici delle Guardie e.. sui dipinti di Raffaello, non di Michelangelo. Giulio II è onora- to nell'uniforme: i colori della giubba, blu e giallo, ne sono parte e una parte è riprodotta anche sull'elmo. E' un esercito antico, elitario: pensateci la prossima volta che vedrete incro- ciare le loro lance davanti a voi, quando per errore cercherete di entrare nell'area di piazza San Pietro in cui i turisti non sono ammessi. L'eter no incantesimo della città eter na: Storie, persone e misteri di Roma (Part I) Dalle volte del Vaticano: La "meravigliosa tragedia" di Michelangelo e il più piccolo esercito del mondo Per completare il Mosè occorsero a Michelangelo circa 40 anni ed è ora una testimonianza del talento del suo creatore. Le Guardie Svizzere sono l'esercito ufficiale dello Stato del Vaticano, anche se il loro compito principale è quello di proteggere il Papa in Vaticano e in giro per il mondo. Photo by LuckyTD

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