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GIOVEDÌ 1 GIUGNO 2017 www.italoamericano.org 29 L'Italo-Americano IN ITALIANO | Giacomo Ghiazza: stimato artista di storyboard da Asti a Hollywood Disegni storyboard realizzati per il film "Pirates of the Caribbean: On Stranger Tides". Cortesia: Giacomo Ghiazza LA COMUNITÀ DI LOS ANGELES L 'artista di storyboard, Giacomo Ghiazza è nato ad Asti (Piemonte, Italia). Finora il "comune" è stato conosciuto per il suo vino bianco dolce e frizzante, fatto dall'uva di Moscato Bianco. Ma oggi, sem- pre più persone che vivono nella città settentrionale o che solo si fermano a Palazzo Mazzetti di Asti, stanno scoprendo "Una matita italiana a Hollywood. Giacomo Ghiazza – Storyboard Artist" (come efficacemente recita il titolo dell'esposizione). Finora, oltre tre mila visitatori hanno ammirato gli storyboard di Giacomo e questo numero sicura- mente aumenterà, visto che saran- no in mostra fino al 17 settembre. Giacomo, che vive nell'area di Los Angeles sin da metà anni '80 ed attualmente abita a Ventura, tradisce un po' di nostalgia verso la Hollywood dei tardi anni '80– inizio anni '90, quando la catena di produzione era ben oliata e la sua scrivania era sempre piena di pagine e pagine di schizzi e dis- egni. Ciò non significa che, allora, non c'erano su e giù negli affari, ma oggi, sembra più difficile veder decollare un nuovo proget- to. Questo è il caso di Hypergraphia, un film molto interessante basato su Inman Diary di Arthur Crew, uomo ossessivo-compulsivo e appartato che ha passato la maggior parte della vita dentro il suo apparta- mento a Boston. Il regista, Lorenzo De Stefano ha commis- sionato tre anni fa lo storyboard a Giacomo Ghiazza, ma il film ancora lotta per prendere il via. Noi, da L'Italo-Americano, auguriamo vivamente che pos- sano presto rendere fruibile il loro progetto perchè la "fabbrica dei sogni" - più di tutto il resto - ha bisogno di lavorare a pieno regime. Per favore si presenti. Come ha imparato a disegnare? C'è stato uno specifico momento di realizzazione nel suo percorso di carriera? Io disegno da quando avevo dieci anni. Ho imparato guardan- do gli schizzi di mio padre e copiando i vecchi libri di fumetti in Italia. Ero affascinato dalle loro illustrazioni, continuavo e continuavo a disegnare. Prima, mi sono formato in un liceo d'arte a Torino, poi ho con- tinuato a formarmi regolarmente nelle belle arti. Allora, non avevo nozione né di storyboard né di arte commerciale. Nei primi anni '80, mi trasferii a Roma dove passai tre anni a lavorare nella pubblicità come artista di storyboard per due grandi agenzie che realizzavano pubblicità di auto per Ford Italia e Renault. Finché ho vissuto in Italia, non ho mai avuto l'opportunità di lavorare per alcun film. Fino alla metà degli anni '80, nonostante il mio grande sogno fosse di farlo per Hollywood, non sapevo cosa mettere a fuoco nel mercato dei film. Potevo intraprendere tanto la carriera del disegnatore di pro- duzione tanto quella di artista di storyboard. Il mio momento di realiz- zazione c'è stato nel 1984 a Londra, quando io e un amico andammo in una libreria e trovammo un libro, "Raiders of the Lost Ark: The Illustrated Screenplay". A quei tempi, la prima puntata della serie cine- matografica di Indiana Jones era mia preferita. Quando cominciai a sfogliarne le pagine, mi colpì davvero e decisi che volevo diventare un artista di storyboard a Hollywood. Come è finito ad essere uno degli artisti di storyboard più ricercato di Hollywood? La mia fortuna, allora nei tardi anni '80 e inizi anni Novanta, è che c'era così tanto lavoro per tutti. Lavoravo non stop e, spes- so, ero costretto a rifiutare offerte di lavoro, perché eravamo sovrac- carichi. Ho cominciato a lavorare con il regista olandese Paul Verhoeven che stava per girare Total Recall (1990), un film sci-fi con protagonista Arnold Schwarzenegger che negli anni avrebbe sviluppato un seguito cult. Prima di incontrare Paul, conoscevo già il disegnatore di produzione che mi aveva assunto per disegnare schizzi per lui, insieme a storyboard per il reg- ista. Ho lavorato al film per circa un anno intero. Finora nel corso della sua carriera, ha avvicendato le col- laborazioni a film di famiglia, come Una Piccola Principessa (1995) ed Una Serie di Eventi Sfortunati (2004), con film per adulti e film di azione, come Total Recall (1990) e Starship Troopers (1997). Il suo approc- cio al lavoro cambia nei due casi? Ci sono chiaramente, caratter- istiche molto diverse tra le due categorie. Nei film per famiglia, non ci devono assolutamente essere sangue e violenza, se com- parati alla libertà che si ha nei film per adulti. Ad essere onesto, come artista di storyboard, è molto più eccitante disegnare scene d'azione. Nel caso di Una Piccola Principessa, sono stato fortunato a lavorare con il regista messi- cano Alfonso Cuarón che, al tempo, non era ben conosciuto, mentre oggi è un regista che ha vinto l'Oscar. E' stata un'esperienza molto bella. Ho disegnato molte sequen- ze d'azione, con bambini che cor- revano e saltavano da un tetto all'altro ma anche un paio di scene retrospettive, ambientate nella I Guerra Mondiale, perché il padre della piccola principessa era un ufficiale dell'Esercito americano che combatteva in Francia. Quando si lavora a film d'azione, non concepiti per il pubblico generale, si ha a che fare con un mondo completamente diverso, inondato di violenza. I due approcci sono diversi e il compito dell'artista di storyboard è quello di essere flessibile e di adattarsi alle necessità richieste dai generi diversi. Ha lavorato con molti registi di primo piano come Paul Verhoeven, John Woo, Alfonso Cuarón, Berry Levinson and J.J. Abrahams. Può raccontarci qualche aneddoto che ci possa dare l'idea del loro modo di dirigere? È interessante che lei men- zioni in particolare due grandi nomi, Paul Verhoeven e John Woo, che hanno entrambi lascia- to Hollywood, per i suoi attuali su e giù. Il primo, che oggi lavora in Europa, era molto metodico. Fin dall'inizio della produzione, sape- va esattamente, come voleva fosse fatta ogni ripresa. Paul ti riforniva di schizzi estremamente dettagliati, che disegnava da solo, e avevi solo bisogno di seguire le sue indicazioni. Non c'era spazio per contributi creativi da parte nostra. John Woo, al contrario talvol- ta creava girando. Il suo tipo di azione, film polizieschi, è carat- terizzato da un ritmo molto veloce e da un movimento con- tinuo della macchina da presa. Lui è stato il primo a scegliere inquadrature insolite, che non si erano mai viste prima a Hollywood. Era molto impegnativo, nei miei incontri con lui, prendere rapide note e fare schizzi visto che spiegava l'azione che voleva in modo molto astratto. Ricordo che una volta ha ripetuto due o tre volte una scena molto complicata che coinvolgeva molta gente. Ha chiamato tutti gli assistenti nel suo ufficio per rappresentarci la scena. Fece sdraiare alcuni per terra come se fossero morti, altri dovevano inscenare un combatti- mento o simulare una sparatoria. Nel frattempo noi facevamo fotografie e finalmente abbiamo capito come doveva essere la scena. Questa situazione è stata buffa da vedere ma estremamente utile per avere una chiara idea della sua visione. Le sue storie per il film di Ang Lee, Life of Pi, pluripremi- ato dalla Academy, le ha fatto vincere un prestigioso riconoscimento della Art Director Guild nel 2013. Potrebbe pensare di lavorare con uno dei più grandi registi contemporanei di oggi? Quando sono stato assunto per lavorare su Life of Pi di Ang Lee, non ci potevo credere. Ero entusi- asta di incontrare finalmente uno dei miei registi preferiti. Quando lo incontrai per la prima volta in una stanza, piena dei supervisori degli effetti visivi e degli altri capi dei vari dipartimenti, mi sono sentito così intimidito. Parlava in un modo molto astratto ed era difficile seguire la sua visione sulle scene. A un certo punto, Lee arrivò ad una sequen- za onirica, che non era nella sceneggiatura. Dopo che la nave, su cui Pi e la sua famiglia nav- igano dall'India al Canada, affon- da nell'Oceano Pacifico, il per- sonaggio principale finisce sot- t'acqua e vede strani pesci e mostri che nuotano intorno a lui. Quando Pi raggiunge il fondo, trova la sua famiglia che sta facendo un pic-nic. Questa sequenza onirica e complessa ha richiesto circa un mese di revi- sioni per poter essere completata. Ogni giorno, avevo dubbi sul fatto che il mio lavoro soddis- facesse le sue grandi aspettative. Veniva di solito nel mio ufficio per darmi indicazioni, finché non siamo riusciti a definirla insieme. Purtroppo lo studio ha deciso di ridurre la sequenza dei sogni a un terzo di quello che avevamo concepito con Lee, perché era composta esclusivamente da cos- tosi effetti visivi. Solo il 30-40% del mio storyboard è in realtà finito sullo schermo. Fortunatamente, ci sono molti altri casi, come la sequenza finale emotiva, in cui tutti gli story- board sono entrati nel film defini- tivo.