L'Italo-Americano

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GIOVEDÌ 15 GIUGNO 2017 www.italoamericano.org 7 L'Italo-Americano IN ITALIANO | Jacques Annaud (non esattamente l'Inferno e il Purgatorio, speri- mentati dal poeta italiano suo omonimo). Federico Fellini, dopo aver assaggiato il talento di Ferretti durante le riprese del suo Satyricon (1969), ha aspettato con pazienza dieci anni, nei quali Dante ha perfezionato le sue abi- lità, prima di poterlo finalmente impiegare per i suoi set mozzafia- to. Martin Scorsese ha cercato Dante due volte invano, prima di trovarlo libero da altri impegni lavorativi e impaziente di lavorare alla sua Età dell'Innocenza (1993). Per questo, mi considero estre- mamente fortunato di aver potuto parlare con questa leggenda vivente, Dante Ferretti, al mio primo tentativo. Ci dica di più dei suoi inizi nel design della scenografia. Come ne è stato affascinato? A 13 anni sono stato rapito dal cinema e ho deciso di lavorare nella cinematografia. Dopo aver frequentato la scuola d'arte della mia città natale, Macerata (nella regione Marche), mi sono trasferi- to a Roma per studiare set design all'Accademia di Belle Arti. Dopo il mio primo anno da studente, sono stato abbastanza fortunato nel trovare uno sceno- grafo che mi ha preso come assi- stente. Dal 1964 al 1975 ha lavorato con Pier Paolo Pasolini. Quale impatto hanno avuto queste prime esperienze sulla sua car- riera professionale? A metà anni '60 ho lavorato come aiuto scenografo per Pier Paolo Pasolini, Il Vangelo secon- do Matteo (1964) e Uccellacci e Uccellini (1966). Queste due esperienze hanno rappresentato passi fondamentali per la mia cre- scita professionale. E' successo che lo scenografo titolare stava lavorando contem- poraneamente su due o tre film, perciò mi ha lasciato lavorare da solo, dandomi l'incarico per tutto il film. Sebbene, in quel periodo, fossi soltanto un adolescente, sono riuscito rapidamente a gua- dagnarmi la fiducia del regista e dei produttori. A partire dal Satyricon di Fellini (1969), ha iniziato una collaborazione prolifica con il maestro. Potrebbe condividere con noi alcuni aneddoti, che ci possono dare un'idea di Federico Fellini come persona e come artista? I miei sette anni come assi- stente si sono conclusi con il Satyricon di Fellini. Fellini era in disaccordo con il suo principale scenografo (che era il mio super- visore) e lo ha licenziato, lascian- do il resto del suo film a me. All'inizio non mi sentivo adegua- to a una tale responsabilità, ma Federico insistette, invitandomi a sostenere "l'orgoglio" della pro- fessione. Subito dopo il completamento di Satyricon, mi hanno chiamato dal set di Pasolini in Turchia, chiedendomi di raggiungerlo subito per il mio primo ruolo da scenografo nella sua Medea (1969). Una volta tornato agli Studi di Cinecittà, dove dovevamo realiz- zare gli interni per Medea, Fellini mi avvicinò, e si rivolse a me con un termine di apprezzamento: "Dantino". Mi ha offerto di lavo- rare per lui al suo film successi- vo, e ho risposto che sarei stato disponibile tra dieci anni. Era sconcertato e mi chiese perché. Temevo potesse essere insoddi- sfatto dal mio lavoro e non mi sentivo all'altezza. Quindi, vole- vo costruire la mia esperienza lavorativa, prima di iniziare la mia collaborazione con il mae- stro. Anni dopo, dopo aver collabo- rato con registi come Mario Camerini e Marco Bellocchio, stavo lavorando a Cinecittà al film di Elio Petri, Todo Modo (1976), mentre Federico stava girando Casanova di Fellini. Una sera stavo andando verso il repar- to pittorico, mentre il maestro usciva dallo studio numero 5. Ci siamo fermati sotto un lampione, e mi ha ricordato il mio impegno a iniziare la mia collaborazione con lui dopo dieci anni di pausa. Ho poi mantenuto l'impegno, lavorando nei successivi cinque film di Fellini, dalla Prova d'Orchestra (1978) alla Voce della Luna (1990). Intorno alla metà degli anni '80, ha iniziato a collaborare con registi internazionali. Come ha conosciuto e lavorato con il grande regista italo-ame- ricano Martin Scorsese? Prima con Il Nome della Rosa di J.-J. Annaud (1986) e poi con Le avventure del Barone Munchausen (1988) di Terry Gilliam, ho lavorato in produzio- ni internazionali. La seconda mi ha fatto ottene- re la prima nomination agli Academy Awards. Dopo quel riconoscimento eccezionale, ho ricevuto chiamate per lavorare a Hollywood. Tuttavia i primi due film su cui ho lavorato non sono mai stati realizzati. Figura fondamentale per la mia carriera di successo è stato Martin Scorsese, che avevo incontrato a Roma, quando venne a sposare Isabella Rossellini e che, in quell'occasione, si fermò al set di Fellini a Cinecittà. Scorsese mi ha chiamato per una prima volta per lavorare su L'ultima tentazione di Cristo (1988), tuttavia in quel periodo ero occupato e ho dovuto rifiutare l'offerta. Poi, il film è stato posti- cipato, quindi mi ha chiamato una seconda volta, ma ancora stavo lavorando a un altro progetto a Los Angeles. La terza volta, Martin mi ha offerto di lavorare per L'Età dell'Innocenza (1993) e ho preso il primo volo per NYC, desidero- so d'iniziare finalmente la mia lunga collaborazione professiona- le con il regista. Da allora in poi ho lavorato in otto dei suoi dieci lungometraggi. In poche parole, ecco i passi che di solito seguo. Dopo aver letto la sceneggiatura, faccio alcuni schizzi e poi realizzo modelli in scala ridotta per dare un'idea tridi- mensionale del lavoro finale. A quel punto, Martin mi dice sem- pre: "Benvenuto a bordo, Dante!" Ogni volta che ho espresso qualche preoccupazione sul fatto che le mie idee di scena potessero non incontrare la sua, Scorsese mi ha rassicurato di non preoccupar- mi. Mi ha sempre dato piena libertà creativa e fiducia. Tra le mie 11 candidature all'Oscar, quattro sono venute grazie al mio lavoro nei film di Scorsese e, soprattutto, due delle mie tre statuette sono arrivate con i film di Scorsese, The Aviator (2004) e Hugo (2011). Inoltre, tra le mie quattro nomination ai BAFTA Awards e quattro vitto- rie, due sono venute sempre per gli stessi film di Scorsese. Dal 1981 lavora con la sce- nografa (e sua moglie) Francesca Lo Schiavo e, con lei, dopo una lunga serie di nomi- nation, ha vinto il suo primo Academy Award per The Aviator di Martin Scorsese (2004). Potrebbe condividere con noi qualcosa su questa straordinaria relazione artistica e sentimentale? In un primo momento, Francesca lavorava come interior designer per residenze private. Voleva intraprendere l'attività cinematografica, ma ero scettico su una partnership marito e moglie. Alla fine ha vinto lei e, fin da La pelle (1981) di Liliana Cavani, ha messo il suo grande talento al servizio della settima arte. Abbiamo sempre lavorato fianco a fianco e, lungo il percorso, il nostro lavoro ha ricevuto ricono- scimenti eccezionali. Perché, a suo avviso, Silence, su cui avete lavorato entrambi, non ha ricevuto la meritata atten- zione dal pubblico? Ho viaggiato molto tra Canada, Nuova Zelanda, Nord California e Taiwan, per trovare la location perfetta per girare il film. Alla fine abbiamo optato per ricreare il Giappone del XVII secolo, interamente a Taipei, in Taiwan. Dopo aver progettato mille e ottocento costumi per Kundun di Scorsese (1997), ho realizzato circa altri duemila costumi per Il Silenzio. Nonostante Silence riceva solitamente recensioni positive, alcune delle quali anche eccellen- ti, non è stato ben accolto dal pubblico, in parte a causa della notevole durata del film e poi per i suoi temi impegnativi. È un peccato, perché sicura- mente merita maggiore apprezza- mento. Tuttavia, anche se Scorsese e io non stiamo lavoran- do insieme per il suo prossimo film, The Irishman, collaborere- mo nel prossimo. A cosa sta lavorando adesso? Fortunatamente, non mi sono mai mancate le opportunità di lavoro. Attualmente sto lavorando su un musical, così come a una messa in scena del Don Giovanni di W. A. Mozart per il prossimo Festival dei due mondi di Spoleto. Due chiacchiere con Dante Ferretti, 3 volte premio Oscar per la scenografia Dante Ferretti ha collaborato con grandi registi come Pasolini, Fellini e Scorsese NEWS & FEATURES PERSONAGGI OPINIONI ATTUALITÀ Continua da pagina 1

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