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GIOVEDÌ 15 GIUGNO 2017 www.italoamericano.org 5 L'Italo-Americano IN ITALIANO | LA VITA ITALIANA TRADIZIONI STORIA CULTURA L 'idea stessa di dialetto può essere difficile da capire per i non italiani. Non è una lin- gua, ma non è neanche una sua varietà. Può suonare come l'ital- iano qua e là, ma può anche essere estremamente diverso e rendere le cose complicate: le per- sone che parlano dialetti diversi non necessariamente si capiscono. Ho vividi ricordi di come io, ragazza nata e cresciuta in Piemonte, si confondeva quando, da adolescente, il figlioletto di un amico napoletano mi parlava usando il suo dialetto vivace e bellissimo. Dio benedica Partenope, naturalmente, ma credo di non essermi mai sentita così confusa in vita mia. I dialetti sono una caratteristi- ca linguistica tipica dell'Italia, che per decenni è stata trascurata, persino schernita e ridicolizzata da alcuni gruppi socio-culturali che leggevano nel loro uso un segno di ritardo e mancanza di educazione formale. Molte per- sone della mia generazione par- lano appena nel loro dialetto locale, sebbene probabilmente lo capiscano: la maggior parte di noi è cresciuta con genitori e nonni che lo parlavano davanti a noi, ma non siamo mai stati incorag- giati ad usarlo, per paura che avrebbe reso più difficile l'ap- prendimento dell'Italiano corretto. E questo è stato un errore. I dialetti non sono un linguaggio imbastardito, o una versione più povera, meno corretta sintattica- mente; sono una ricca, a volte complessa e multiforme forma di espressione linguistica, all'interno della quale possono essere scop- erte la storia e le tradizioni di un'intera area. Se dovessimo definire un dialetto, diremmo che è una forma linguistica strettamente associata a una regione specifica, caratterizzata da una profonda varietà fonetica e lessicale, anche all'interno della regione stessa. Nella mia regione, il Piemonte, il dialetto di Torino è diverso, per esempio, da quello di Cuneo, anche se i due sono reciproca- mente comprensibili. Una tale varietà è causa dell'impossibilità di quantificare il numero effettivo dei dialetti che parlano gli italiani: davvero, ogni angolo d'Italia ne ha uno. Tuttavia, gli accademici hanno fatto del loro meglio per rendere un po' più semplici gli studi sul dialetto dividendoli in tre grandi gruppi, basati su caratteris- tiche geografiche e linguistiche. Il primo gruppo, che comprende approssimativamente tutti i dialet- ti che si parlano nel Nord dell'Italia (escluso il Friulano, che è una vera lingua) è denominato "Gallico-Italiano", in quanto tutti i dialetti in esso condividono molte analogie con il francese. Quindi c'è il toscano, parlato in Toscana e che si distingue per specifiche caratteristiche fonetiche, come il suono aspirato dato dalla lettera "c", così come per caratteristiche grammaticali tipo l'uso comune, anche nella lin- gua parlata, del tempo Passato Remoto, che è in gran parte inuti- lizzato nella parlata orale del Nord. Il terzo gruppo, il "Centro- meridionale", abbraccia tutti i dialetti del Centro e del Sud del paese. Qui le influenze francesi sono accompagnate da quelle spagnole - e, in Sicilia, persino da quelle arabe: lingue appartenenti ai passati conquistatori di queste belle aree del Belpaese. Perché una tale varietà? La risposta è semplice: la sto- ria. Venite con me mentre vi ripor- to indietro di qualche migliaio di anni, ad un tempo che precedeva i grandi Romani di qualche secolo. Ogni area del paese era abitata da popolazioni diverse, ognuna con le proprie tradizioni, abitudini e lingue. Potreste avere familiarità con il nome, per esempio, degli Etruschi, antichi signori della Toscana e del Lazio settentri- onale, ma c'erano anche i Liguri, i Latini, i Siculi .... Quando Roma unificò la penisola, lo fece non solo politicamente ed economica- mente, ma anche linguistica- mente, rendendo il Latino il primo linguaggio "unificato" d'Italia, se volete. Ma se pensate che quelle altre lingue siano state dimenticate, vi sbagliereste. Non c'è niente di così ostinato come gli idiomi: rimangono semplicemente con te, anche quando smetti di usarli, sfi- dando il passare del tempo e altre lingue che subentrano (chiedete a mia nonna, che ha trascorso un anno in Francia quando aveva otto anni, non ha più parlato francese ma, negli anni '70, era perfetta- mente in grado di parlarlo con me quando l'ho imparato alla scuola media). Di conseguenza, il Latino stesso aveva differenze, a seconda della zona d'italia in cui si parla- va, differenze basate sulle lingue utilizzate prima della conquista romana. In Calabria, per esempio, esistono ancora gruppi di dialetti basati sul greco, che derivano dalle antiche colonie della Magna Grecia del V secolo A.C. Affascinante, non è vero, ma la storia dei dialetti non è finita. Quando, nel V secolo D.C., l'Impero Romano d'Occidente alla fine crollò, l'Italia fu assalita da diverse ondate di invasioni, per la buona parte dei successivi 600 anni: dai Goti ai Normanni, fino ai Bizantini e agli Arabi, il paese divenne ancora una volta un cro- giolo culturale e linguistico, anche se l'impronta romana e cristiana rimase fortemente in vigore, insieme al Latino, lingua dell'im- pero. Tuttavia, nuove lingue e idio- mi, con il loro lessico e i loro suoni, entrarono nel mondo quo- tidiano del popolo, sovrapponen- dosi al Latino, a sua volta influen- zato dalle altre lingue ancestrali di tutti quei secoli precedenti: un substrato, una lingua e un super- strato, il primo e l'ultimo differen- ti per ogni area del paese. Durante il Medioevo, il Latino rimase la lingua delle élite, men- tre le persone della strada parla- vano quello che comunemente si conosceva come lingua volgare, un idioma popolare basato sul Latino parlato, quello più influen- zato dal substrato e dal super-stra- to del precedente paragrafo. Arriva quindi Dante Alighieri, il primo a esporre la sua forma poeticamente perfetta, afferman- do che sì, il volgare era una lin- gua degna per discutere dei più elevati argomenti. Per mostrare a tutti ciò che intendeva, produsse il capolavoro della letteratura ital- iana, la madre stessa della nostra lingua, La Divina Commedia. Dante usava il volgare della Toscana, ma ogni area d'Italia aveva il proprio. Poichè tutti fon- dati sulla stessa lingua, il Latino, erano simili, ma fu il volgare di Dante che divenne "la" lingua dell'Italia. Nel XVI secolo, per dis- tinguere il volgare toscano da tutti gli altri, è stata introdotta la paro- la "dialetto" per indicare le diverse forme di volgare parlate nel paese. Con il passare del tempo, le persone si sono abituate all'italiano, ma sono rimaste molto legate al loro dialetto, spe- cialmente nella lingua parlata. Così, quando l'Italia divenne finalmente un solo paese nel 1861, l'italiano era ben lungi dal- l'essere la lingua nazionale: anche il nostro re, Vittorio Emanuele II, parlava fluentemente piemontese e francese, ma non era troppo affezionato all'italiano. Le persone in tutto il paese avrebbero continuato a usare l'i- taliano solo ed esclusivamente per ragioni ufficiali o a scuola e nelle università, facendone il lin- guaggio dell'intelligentia e del- l'amministrazione, ma certamente non quella della gente comune, come te e me, che avrebbe felice- mente continuato a parlare il pro- prio dialetto. Fu solo con l'avvento della radio negli anni Venti e Trenta, e successivamente della televi- sione, che gli italiani in tutto il paese hanno finalmente iniziato ad ascoltare e usare la loro lingua nazionale, che lentamente ma progressivamente sostituiva i dialetti. Oggi, almeno nel Nord da cui provengo, i dialetti stanno godendo di un rilancio: non più associati all'idea di analfabetismo e di mancanza di cultura, sono, per la gente della mia gener- azione, una patente di onore e di tradizione: il modo perfetto per fare giochi di parole, un segno di intimità con gli amici, un modo per molti di noi di apprezzare e condividere ricordi di coloro che, quando eravamo bambini, in quel dialetto ci insegnavano tutto ciò che contava veramente nella vita. Parlami! Il sorprendente mondo dei dialetti italiani La maggior parte degli italiani è cresciuta con genitori o nonni che parlavano dialetto , ma non sono mai stati incoraggiati ad usarlo, per paura che avrebbe reso più difficile l'apprendimento dell'italiano