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www.italoamericano.org 15 L'Italo-Americano IN ITALIANO | GIOVEDÌ 24 AGOSTO 2017 P ompei è senza dubbio uno dei siti archeologici più eccezionali del mondo, probabilmente il più rilevante, per la ricchezza delle scoperte e la loro stessa natura, legate al mondo della Roma Imperiale. Molto di ciò che sappiamo sulle abitudini quotidiane del popolo dell'Impero durante il suo apogeo deriva dalle molte scoperte fatte nelle città di Pompei, Ercolano e Stabia, tutte tragicamente distrutte dal lavoro mortale del Vesuvio. Le ultime ore di questi luoghi e delle loro sfortunate genti hanno affascinato per secoli storici e archeologi: i pompeiani sapevano che qualcosa di così tragico sareb- be successa e che cosa è davvero successo in quelle ultime fatidiche ore? Oggi, grazie a due secoli di lavori archeologici, storici e geo- logici, possiamo finalmente rispondere almeno ad alcune di queste domande. Conoscere il Vesuvio Abbiamo tutti familiarità con quella romantica e stereotipata immagine del Vesuvio che si affaccia su Napoli: un cono per- fetto, il vulcano per eccellenza, completo di un nastro di fumo simile a garza che sorge dal suo cratere. Certamente, non era que- sto il modo in cui i pompeiani lo conoscevano. La verità è che loro ignorava- no il fatto che il Vesuvio fosse un vulcano, perché non sembrava assolutamente un vulcano: aveva la forma di una grande collina, con una parte più alta dell'altra, un po' come il Colosseo. Coperto di splendidi boschi e punteggiato di laghi, i suoi pendii rigogliosi divennero dimora di molti agri- coltori. Anche se i pompeiani erano consapevoli dell'esistenza dei vulcani (nell'Impero avevano l'Etna e lo Stromboli, dopo tutto) non sospettarono mai che la colli- na stranamente modellata vicino alle loro case potesse essere un vulcano. Non l'avevano mai sospettato, anche se la loro città era stata con- tinuamente colpita dai terremoti, gli ultimi probabilmente solo una manciata di giorni prima dell'eru- zione, come dimostra l'enorme quantità di calce e detriti riscon- trati dagli archeologi sul sito. I pompeiani non conoscevano il loro nemico. Ne avevano igno- rato l'esistenza e quello fu proprio la causa della loro tragedia. Datare l'eruzione I nostri libri di storia di scuola superiore molto probabilmente affermano che Pompei fu distrutta il 24 agosto del 79 D.C. Tuttavia, sia filologi che archeologi moder- ni tendono a non essere d'accordo. La data in cui avvenne l'eru- zione del Vesuvio è arrivata a noi in una lettera scritta da Plinio il Giovane, nipote di Plinio il vec- chio, naturalista, ammiraglio e vittima dell'eruzione. In essa egli descrive in dettaglio ciò di cui lui stesso era stato testimone dal luogo sicuro di casa propria, abbastanza vicina al Vesuvio per descrivere gli eventi, ma in modo sicuro. Lo ha fatto con così tanti dettagli che i vulcanologi moder- ni sono riusciti a ricostruire per- fettamente ogni momento dell'e- ruzione. Non ci sono dubbi sull'autenti- cità della lettera, ma la verità è che non si è mai vista quella ori- ginale: come avviene per la gran- de maggioranza dei documenti classici, inclusa la letteratura, sono copie medievali quelle su cui possiamo, ancora oggi, mette- re su gli occhi. La lettera di Plinio il Giovane ci è arrivata attraverso diversi manoscritti, di cui il più antico è considerato il più vicino all'originale. Considerare la copia più antica come la cosa più vicina alla cosa reale era cosa comune nei secoli passati, ma la filologia ci insegna che può essere un grosso errore: più vecchio non significa privo di errori. Nel caso della lettera di Plinio, solo il più antico mano- scritto indicava che il 24 agosto era la data dell'eruzione. Tutti gli altri esemplari citavano il 24 otto- bre. Le prove della fonte sono confermate dagli archeologi che, durante gli scavi, hanno ritrovato resti di castagni, datteri, fichi sec- chi e anfore di vino sigillato, tutti segni che indicano che Pompeii è stata distrutta durante l'autunno e non durante l'estate. L'ultimo giorno di Pompei Il 24 ottobre, dunque. Era un venerdì mattina. All'improvviso, l'aria fu rotta da una serie di suoni lugubri e pesanti provenienti dal Vesuvio. I pompeiani alzarono la testa e pro- babilmente videro una nuvola scura che abbracciava rapidamen- te le fattorie e le foreste sulla col- lina. L'odore di zolfo rese putrida l'aria. La grande maggioranza delle persone si riunì nel Foro della città cercando di capire cosa stesse succedendo. Attorno alle 13, il Vesuvio esplose, in silenzio. Tutti noi immaginiamo che i vulcani erutti- no con un rumore pesante, profon- do e diabolico, ma non in questo caso. Inquietante e mortale, l'unico rumore fu un'esplosione rapida e forte, proprio nel momento in cui una colonna gigantesca e scura uscì dalla bocca del Vesuvio: era il fumo che rompeva la barriera del suono. I pompeiani erano abituati alla terra che si muoveva: i terremoti erano comuni e molti credevano che questo fosse soltanto un altro terremoto. Lasciarono le loro atti- vità quotidiane per raggiungere il Foro, pensando di ritornare rapi- damente alla loro routine. Un for- naio aveva appena messo 81 pagnotte di pane in forno, chiuso prima di lasciare momentanea- mente il suo negozio e incontrare altri pompeiani nel Foro. Questo forno è stato aperto 2000 anni dopo dagli archeologi moderni, il suo contenuto di 81 forme di pane era ancora lì per essere visto da noi. Poco dopo, i venti piegarono la colonna di fumo verso Pompei, praticamente firmandone la con- danna a morte. Coprì il sole e la terra divenne scura e fredda. Una nebbia fitta inghiottì la città e la sua gente che non riusciva a respi- rare e sentiva la pelle bruciare e far male: erano ceneri pieni di Gli ultimi giorni di Pompei: cos'è veramente successo? pomice e particelle di vetro che graffiavano la pelle e rendevano difficile la respirazione. È proba- bile che le persone dovessero respirare attraverso un panno umido. Per evitare il dolore e la difficoltà di respirare, le persone tornarono a casa, ad aspettare la fine di questo evento molto stra- no. La pioggia di ceneri e pomice andò avanti per buona parte di 12 ore stratificandosi a terra e rag- giungendo altezze fra i 3 e i 6 metri. Le strade di Pompei e le case fino al primo piano erano scomparse, i tetti crollarono, ucci- dendo molte persone, i ponti cad- dero sotto il peso delle ceneri, togliendo alle persone la possibi- lità di scappare. Anche il mare non era più un'opzione, poiché l'eruzione aveva causato tempe- ste. La mattina del 25 ottobre, la prima eruzione del Vesuvio si era fermata. Le persone cominciaro- no di nuovo a vagare all'esterno cercando di trovare un modo di fuggire: quanto difficile doveva essere capire dove andare, senza strade e punti di riferimento a guidaro la strada. Tutto era sotto metri di uno spesso strato di pomice. Tuttavia, il Vesuvio non aveva ancora finito il suo lavoro morta- le. A un certo punto, quella matti- na, la colonna nera che usciva dal suo cratere crollò su se stessa, causando ciò che può essere defi- nito solo come una "frana" di ceneri simile a talco, piena di ani- dride solforosa e pesante per il vapore. Viaggiò ad una velocità di circa 95 miglia all'ora, colpen- do immediatamente Pompei: tutte le persone nelle strade, erano migliaia, sono morte cercando invano di proteggere se stesse e i loro cari, coperti e imprigionati in un fango mortale, incapaci di muoversi, proprio come deve accadere quando si finisce nelle sabbie mobili. Era la fine di Pompei. I primi gruppi di soccorso rag- giunsero l'area solo tre giorni dopo. L'imperatore visitò quello che era rimasto: una collina rotonda, sotto la quale erano sepolti una città intera, la sua gente, i suoi sogni. Fu deciso che Pompeii non doveva più esserci: troppo pericoloso ricostruire lì. Ognuno sapeva però che una città giaceva sotto il dolce pendio di quella collina: per secoli la gente ha chiamato la collina civi- tas, città in latino. Pompei diven- ne una città senza nome, almeno fino a quando, nel XVIII secolo, i primi scavi nella zona comincia- rono a riportarla di nuovo in superficie e sotto gli occhi del mondo. Pompei divenne una città senza nome, almeno fino a quando, nel XVIII secolo, i primi scavi nella zona cominciaro- no a riportarla di nuovo in superficie e sotto gli occhi del mondo I pompeiani non conoscevano il loro nemico. Ne avevano ignorato l'esi- stenza e quello fu proprio la causa della loro tragedia LA VITA ITALIANA TRADIZIONI STORIA CULTURA