L'Italo-Americano

italoamericano-digital-11-16-2017

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NEWS & FEATURES PERSONAGGI OPINIONI ATTUALITÀ GIOVEDÌ 16 NOVEMBRE 2017 www.italoamericano.org 3 L'Italo-Americano IN ITALIANO | A vete mai pensato che preparare a San Fran- cisco o a Los Angeles una semplice e veloce spaghettata per una cena con gli amici sia un modo per promuovere l'Italia all'estero? Qualcosa che rende ambasciatori del nostro essere italiani o italoa- mericani, che ci fa diffondere cul- tura, identità, saperi, tradizioni del Belpaese? Spesso non ci facciamo caso, ma c'è un'Italia fuori dall'Italia che svolge un compito particolar- mente importante, spesso in modo del tutto inconsapevole, spesso sottovalutato. I milioni di italiani che risiedo- no stabilmente all'estero, e che si sommano ai circa 80 milioni di oriundi, testimoniano quotidiana- mente con le loro abitudini, il loro modo di fare, i loro valori, i loro acquisti e le loro abitudini enoga- stronomiche, uno stile di vita capace di rappresentare quello del Paese di provenienza. E spesso, con il loro lavoro, le loro imprese di successo, sono capaci di inne- scare processi sociali ed economi- ci di ritorno, di cui beneficia l'Ita- lia stessa. I terribili incendi della Napa Valley hanno fatto tornare alla mente i tanti sacrifici fatti dagli emigrati italiani che nel secolo scorso scelsero la contea nata nel lontano 1850 per le sue favorevoli condizioni climatiche, che tanto ricordavano quelle lasciate alle spalle. Lì impiantarono le loro attività insieme alle loro famiglie e ai tralci di vite, portati insieme a semi e piante, direttamente da casa. Gli ettari andati in fumo ci hanno fatto riflettere sul ruolo che centinaia di contadini piemontesi, veneti o siciliani hanno avuto nella diffusione della cultura vini- cola, che oggi ha portato la California ad essere uno dei mag- giori competitor mondiali nel set- tore enologico. Il vino e la sua produzione possono cioè essere letti come una testimonianza concreta del ruolo che hanno avuto, fra gli altri, gli emigranti italiani. Adot- tando i metodi di vinificazione ereditati dalla cultura contadina dei paesi di provenienza, portando la loro umile capacità di leggere stagioni e cicli naturali, i segni della terra e del cielo imparati tra le zolle di terra, trasferendo a migliaia di chilometri dalle loro colline toscane o dalle pianure pugliese il succo di un'esperienza millenaria, quello che al tempo non si chiamava know how ma fatica e sudore, hanno reso lussu- reggiante e altamente produttiva le distesa di campi a nord della Bay Area. Se molti prodotti tipici della cultura alimentare italiana sono oggi apprezzati nel mondo, in parte, è merito dei nostri conna- zionali emigrati. Portando i prodotti delle loro terre al di là dell'oceano, introdu- cendo coltivazioni e tecniche agri- cole prima sconosciute, com'era la produzione vinicola in molti paesi in cui questo prodotto era assente prima dell'arrivo dei nostri emigrati, hanno di fatto contribuito alla diffusione di una "cultura" alimentare, non solo di una "coltura" agricola. Gli studiosi, successivamente, hanno rilevato come l'emigrazio- ne abbia costituito in Paesi come gli Stati Uniti, l'avanguardia cul- turale della nostra penetrazione commerciale nel settore alimenta- re. Certo, questo è stato in gran parte un processo del tutto incon- sapevole dal momento che all'e- migrato interessava più che altro continuare a bere il suo vino e mangiare i suoi piatti abituali, coltivare le piante che conosceva o riprodurre lontano da casa il paesaggio in cui era cresciuto. Voleva conservare i suoi modi di fare, mantenere la sua famiglia e quella lasciata a casa, non certo aprire rotte intercontinentali. Ma l'aver portato e l'aver conservato e tramandato le proprie abitudini alimentari e culinarie, ha finito per diventare una "colonizzazio- ne", una "conversione" dei terreni a colture nuove e una "conversio- ne" di altri gruppi etnici a nuovi cibi. Poco alla volta si sono messe le basi per un mercato nuovo e attraente che oggi è quel- lo del tanto acclamato Made in Italy o della plurilodata Dieta Mediterranea. E' interessante riflettere poi su un altro aspetto: la pastasciutta, il vino, i formaggi, i salumi ma anche la pizza, che nel periodo delle grandi migrazioni erano stimmate, marchi peggiorativi che ci contraddistinguevano, segni per cui venivamo sbeffeg- Il bagaglio culturale (e alimentare) portato oltreoceano dai nostri emigranti giati, oggi sono diventati prodotti culturali di prestigio, generi ali- mentari di consumo allargato che non ha più accezioni negative. Al contrario, sono status symbol, prodotti di successo all'estero e attrattori turistici in Italia. Curioso, no? Eppure, dovremmo ricordarlo e dovremmo anche ripensare al fatto che la loro iniziale diffusio- ne è stata opera dei più poveri, dei migranti economici di un tempo. Volevano ricreare nella nuova patria un pezzetto di casa loro. Quel loro attaccamento alla famiglia, al paese, quel coltivare con un vitigno messo in valigia e imbarcato su un transatlantico una terra in cui si parlava una lin- gua diversa dal loro dialetto, era un tentativo di non perdere la loro eredità italiana. Oggi, che il cibo lo troviamo al supermercato e abbiamo perso gran parte del contatto con le sue origini, dovremmo ripensare al grande bagaglio culturale che sta dentro un bicchiere di vino e offrire quel semplice piatto di spaghetti con orgoglio e ricono- scenza per il grande lavoro fatto dai nostri emigrati. 

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