L'Italo-Americano

italoamericano-digital-11-16-2017

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GIOVEDÌ 16 NOVEMBRE 2017 www.italoamericano.org 5 L'Italo-Americano IN ITALIANO | F orse non è un caso che la costumista vincitrice dell'Oscar Gabriella Pescucci - da Rosig- nano Marittimo, una cittadina in provincia di Livorno, Toscana – abbia prima avuto come mentore il mitico Piero Tosi - da Sesto Fiorentino, comune della città metropolitana di Firen- ze - che ha raccolto un totale di cinque candidature all'Oscar e un premio Oscar onorario nel 2014. Da Tosi, Gabriella ha certamente assorbito una spiccata precisione nella ricostruzione storica attra- verso costumi documentati con cura, in grado di trasmettere la grandezza e la decadenza di certe epoche. Sin dall'iniziazione al cinema di Pescucci come assistente costu- mista di Tosi in Medea di Pasolini (1969) - anche se ha debuttato ufficialmente come scenografa in L'Attico (1963) di Gianni Puccini - era chiaro come il giorno che avrebbe seguito una strada lastri- cata di successi. E che carriera ha avuto da allora: tre nomination agli Academy Awards, tra cui la vittoria nel 1994 per l'Età dell'In- nocenza di Martin Scorsese, due premi BAFTA, due David di Donatello e due Primetime Emmy Award rispettivamente nel 2011 e nel 2013, per il suo lavoro nella serie televisiva i Borgia e altri innumerevoli riconoscimenti. La fruttuosa collaborazione di Gabriella Pescucci con registi visionari come Terry Gilliam e Tim Burton - per i quali ha ideato costumi candidati all'Oscar, rispettivamente in Le avventure del barone Munchausen (1988) e La fabbrica di cioccolato (2005) - ci ha mostrato come lei sia total- mente a suo agio non solo quando ha bisogno di ricreare l'ambien- tazione di un periodo storico, ma anche quando deve affidarsi alla fantasia per creare abiti di person- aggi strani e bizzarri, fondamen- tali per costruire mondi mai visti. Come ha sviluppato la pas- sione per i costumi? Ha iniziato la sua impressionante carriera assistendo alcuni grandi costu- misti, soprattutto Piero Tosi (cinque volte candidato all'Oscar e che ha ricevuto l'Oscar alla carriera nel 2014). Cosa ha imparato da lui? Da adolescente ho sempre avuto interesse per i vestiti antichi e molto spesso guardavo vecchie fotografie. Avevo anche una pas- sione per il disegno ed è stato molto facile combinare entrambi gli interessi. Sono stata molto for- tunata ad incontrare e a lavorare con persone tanto talentuose. Piero Tosi è ancora un ottimo amico e mi piace ancora ascoltare i suoi consigli e suggerimenti. Per me è un maestro di vita e di lavoro. Tra il 1963 e il 1982, ha lavo- rato in produzioni cine- matografiche italiane, accanto a registi di primo piano come Pier Paolo Pasolini, Francesco Rosi, Luchino Visconti, Liliana Cavani, Giuseppe Patroni Grif- fi, Federico Fellini e Ettore Scola. Può condividere con noi ricordi di quegli anni? Quelli sono stati davvero anni fantastici. L'Italia era piena di persone molto talentuose e di buone energie creative. Sono stata molto fortunata ad incon- trare e a lavorare con molti di loro. Sono diventati parte del mio bagaglio culturale e hanno gioca- to un ruolo importante nella mia crescita personale. Con C'era una volta in America di Sergio Leone (1984), ha debuttato in una coproduzione internazionale, statunitense e italiana. Come è stato lavorare accanto a stelle nordamericane, come Robert De Niro, Joe Pesci e James Woods? Questo è uno dei miei film preferiti e, certamente, è ancora un grande film. Mi sentivo un po' intimidita a lavorare con un cast così importante, ma ho dato il massimo e ho sempre lavorato a stretto contatto con Sergio Leone, un grande artista e un uomo mer- aviglioso con una sensibilità non comune. Nel 1986, ha ideato i costumi per il Nome della Rosa di Jean- Jacques Annaud, basato sul romanzo omonimo di Umberto Eco. Lo scorso autunno, le è stato chiesto di partecipare a un dibattito e alla proiezione di quel film presso il Dipartimento d'Italiano alla UCLA, in ricor- do del compianto Eco. Come è stato l'omaggio? Ha avuto la possibilità di incontrare Eco di persona? Come è stato lavorare al film? Purtroppo, l'autunno scorso non ho potuto partecipare a questo importante evento, perché ho avuto impegni concomitanti. Umberto Eco era un grande uomo, altamente istruito e ironico, così come un intellettuale unico. Mi ricordo molto bene il duro lavoro fatto per ideare tutti i cos- tumi di quel film. La maggior parte dei tessuti che abbiamo usato sono stati tessuti a mano, tinti a mano e poi tutto è stato cucito a mano e reso malconcio. La mia principale ispirazione sono stati i dipinti di Alberto Burri. Prima di ricevere un Acade- my Award nel 1994 per i costu- mi in L'Età dell'innocenza di Martin Scorsese, ha ottenuto la prima nomination all'Oscar per Le avventure del Barone Mun- chausen (1988) di Terry Gilliam. Costumi storici o fan- tasy: quali sente più congeniali? Amo entrambi i generi. Penso che il "fantasy" debba sempre provenire da una grande conoscenza, poiché è l'unico modo per poter mescolare le cose e poter fare errori. Mi piace sperimentare materi- ali intrecciando e ricamando. Penso che con un panno semplice si possa fare una veste da principessa. D'altra parte, ogni volta che il regista vuole ricreare una visione storica, tutti i dettagli, come i bot- toni, i ricami, le pieghe sono fon- damentali. A volte l'aspetto più difficile è quello di adattare un vecchio costume a una struttura corporea contemporanea perché le proporzioni e i volumi sono molto diversi. Lavorando a fianco di Scors- ese, ha ottenuto il massimo riconoscimento nella sua carri- era, finora. Come ha finito per lavorare per Martin? Con lui c'era una chimica speciale sul set? Sono stata molto fortunato a lavorare con un artista così bril- lante come Martin, ed è stato un grande piacere. Come spesso suc- cede con registi molto intelligenti e talentuosi, aveva idee molto chiare su ciò che voleva raggiun- gere e aveva richieste molto pre- cise. I colori dei costumi, soprat- tutto quelli delle signore, per lui erano molto importanti. Con- trollava sempre che i costumi cor- rispondessero alle descrizioni del libro, di cui il film è un adatta- mento. Nel 2006, ha ricevuto una terza candidatura all'Oscar per La Fabbrica di Cioccolato di Tim Burton. Tim le ha dato carta bianca? Cosa l'ha ispirata a creare quei costumi così unici e strani? Non credo che un regista dia mai carta bianca. Lavoriamo per loro per aiutarli a raccontare le loro storie. Ogni singolo film è sempre il risultato del lavoro di una squadra di talenti. Tim mi ha aiutato a trovare l'ispirazione guardando i suoi schizzi e i suoi riferimenti. Quella è stata un'altra grande esperienza con un altro grande regista. Accanto al suo lavoro nei film, ha ideato costumi per le opere, in particolare La Travia- ta per La Scala, Un Ballo in Maschera per il Kennedy Cen- ter di Washington D.C. e La Bohème a Firenze. Come è influenzato il suo modo di lavo- rare da forme d'arte così diverse? Quando si lavora per il teatro si deve sempre tenere a mente che c'è una notevole distanza tra il palco e il pubblico. A volte lo dimentico e dedico troppa cura a dettagli che non verranno mai visti. Tuttavia, se le performance vengono registrate per la TV, allora non è uno spreco. Per concludere, a cosa sta lavorando adesso? C'è un reg- ista che ammira molto e con cui non ha ancora avuto la possibil- ità di lavorare? Attualmente sto lavorando con il regista Michael Hoffman - con il quale ho già lavorato al suo adattamento shakespeariano di Sogno di una notte di mezza estate (1999) - su Gore, un film su un breve segmento della vita dello scrittore americano Gore Vidal. I registi che ammiro e con cui vor- rei lavorare sono così tanti, che non posso sceglierne uno solo... La costumista vincitrice dell'Oscar Gabriella Pescucci su Fantasy e Realismo Costume designer e vincitrice dell'Oscar Gabriella Pescucci. Photo by Fiorenzo Niccoli NEWS & FEATURES PERSONAGGI OPINIONI ATTUALITÀ

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