L'Italo-Americano

italoamericano-digital-4-19-2018

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GIOVEDÌ 19 APRILE 2018 www.italoamericano.org 7 L'Italo-Americano IN ITALIANO | I l mestiere del funaio o cor- daro, è antico quanto l'uo- mo; un'arte plurimillenaria fondata su una tecnica man- uale di estrema facilità, in cui intervengono due fattori apparentemente semplici, il giun- co (che deriva dal verbo "giun- gere" ossia legare), e il meccan- ismo della ruota. Nell'antica Roma il mestiere del funaio era chiamato "funitor- tor" o "resticularius", tradotto letteralmente con il termine di "intrecciatore o avvolgitore di giunchi". Per ben comprendere l'importanza di questo antichissi- mo ed affascinante mestiere, è sufficiente ammirare alcune tombe dell'antico Egitto risalenti al II° millennio a.C., al cui inter- no, durante gli scavi, gli archeolo- gi hanno rinvenuto dipinti e affreschi che rappresentano l'im- magine più remota che si conosca del funaio, che lavora indietreg- giando man mano che la fune si intreccia. Da qui, col trascorrere dei secoli, spinto dalle diverse influenze linguistiche, si è tra- mandato sino ai giorni nostri il termine gergale del mestiere "maestro all'indietro". Tanto che, se antica è l'arte del funaio, antica è la sua terminologia lessi- cale. L'utilizzo del meccanismo della ruota, da parte del funaio, ha un uso più tardivo. Tuttavia, da quanto si può ammirare nelle rap- presentazioni d'arte egizia, si riscontrano tutti gli elementi nec- essari per ben comprendere le peculiarità di questo mestiere, che con il passo cadenzato all'indietro e le movenze con cui intrecciava la fibra la faceva scorrere nel palmo della mano. Importanti sono gli strumenti, le forme di lavoro e i manufatti attinenti all'arte del funaio, come docu- mentano le tante voci e termini dialettali, riferite a quest'arte. Parole quasi tutte estranee alla lingua italiana, testimonianze superstiti di un mondo che il pro- gresso tecnologico ha definitiva- mente travolto e cancellato. Ter- mini come: nzjìirte, intreccio, treccia, dal latino sero, legare insieme, intrecciare; nghiuèmere, gomitolo/gomitoli dal latino glo- mus; zòche, dal greco zeugnumi, unire, legare. In Puglia sino a qualche tempo fa, volgarmente si usava dire: "Ti stai comportando come il cor- daio, al posto di andare avanti te ne vai all'indietro". Questa locuzione era la classica espres- sione usata dai nostri nonni quan- do, molto contrariati ed arrab- biati, a malo modo rimproveravano i figli che non progredivano nello studio o nel- l'apprendimento di un determina- to mestiere. Sono passati quattro millenni durante i quali l'uomo nella sua evoluzione socio-economica, per procurarsi le leve e gli attrezzi indispensabili al suo lavoro quo- tidiano, ha dovuto ricorrere sia in agricoltura che nella pesca all'uti- lizzo di funi e corde d'ogni tipo e spessore. Per questa esigenza, ha dovuto necessariamente intrec- ciare materiali naturali di vario genere: le budella di animali, le pelli, il papiro, la canna, la fibra di palma, la canapa, il lino, la lana, lo sparto, il pelo di capra e cammello. E per produrre le corde ha dovuto persino intrec- ciare i capelli delle donne. Tra i materiali, il più usato in Puglia dai funai è stato il giunco (juncus acutus), genere di pianta della famiglia del 'juncaceae'. Il più economico e il più redditizio: la pianta erbacea vegetava in abbondanza nelle zone paludose e costiere di tutta la regione. Gli esperti cordai pugliesi, riconoscevano la pianta dalla sua inflorescenza: i fiori sono costitu- iti da un perigonio glumaceo di sei pezzi saldati alla base. I fusti delle piante di giunco, una volta lavorati, in parte si usavano come legacci per impagliare le sedie, mentre gli altri fusti erano sotto- posti alla torsione per ottenere cordame di varia tipologia. Nella tradizionale civiltà con- tadina, ruotavano una serie di altri mestieri che con le nuove tecnologie e con l'evoluzione dei tempi, hanno fatto scomparire quel patrimonio terminologico e culturale legato ad essi. Immagi- ni, ricordi, scene di vita quotidi- ana e di lavoro, che vivono anco- ra nei nostri ricordi di bambini. In Puglia la figura professionale del 'cordaro', era legata a quella altrettanto importante del 'fisco- laio' che, oltre a corde e funi di vario genere, produceva in modo parallelo, un altro importante ele- mento legato al mondo dei trap- peti e alla produzione dell'olio d'oliva, 'i fiscoli' (fisckele). Il fiscolo (dal lat. Fiscus o fiscina, borsa, cesto, canestro) si produceva intrecciando sapien- temente cordame di giunco, cocco, pelo di capra e capelli di donna (quest'ultimi acquistati dal fiscolaio dai parrucchieri per donna). I fiscoli fatti con il pelo di capra erano i più richiesti, soprat- tutto dai proprietari dei trappeti del Meridione d'Italia. L'utilizzo di questa tipologia di fiscolo, però, a seguito della pressatura della pasta d'olive, rendeva l'olio di cattiva qualità, in quanto il pelo di capra alterava tutte quelle caratteristiche organolettiche e nobili dell'olio d'oliva, in partico- lare rendeva il suo sapore a dir poco nauseante. Normalmente il cordaro pro- duceva i fiscoli durante la sta- gione estiva, per poi venderli ai proprietari dei frantoi durante la campagna olearia che si svolgeva da ottobre a marzo. Alcuni trap- petari, acquistavano grosse partite di giunchi che potevano servire loro durante tutta l'annata, e assoldavano i fiscolai a intessere i fiscoli all'interno del proprio trap- peto. Il materiale e gli attrezzi venivano riforniti direttamente dal proprietario del trappeto, il quale corrispondeva un compenso della giornata lavorativa. Per la lavorazione della canapa 'cannabis sativa' la materia prima veniva quasi tutta importata dal Nord Italia e da alcune zone del Napoletano. Le funi di canapa (i lazze) si producevano in particolar modo per l'utilizzo in agricoltura, specie per la produzione delle redini per cavalli e muli, inoltre venivano usati per fissare i carichi sui carri agricoli "traini". Per la lavorazione dei filamen- ti di canapa e di lana di capra, prima di filarli, veniva utilizzata la tecnica della 'cardatura' (petti- natura) e una volta cardati, il cor- daio formava dei fasci di lunghe fibre che sistemava alla cintola dei pantaloni per avere il materi- ale pronto per filare. I cordai meno abbienti, nei periodi di poco lavoro, soprattutto nei mesi di gennaio, febbraio e marzo, raccoglievano lo scarto prodotto nella lavorazione dei fis- coli, e gli stessi fiscoli usati nei trappeti, e le "pastorelle" spez- zate, corde di bassa qualità usate per le legature e per i lavori di rin- forzo. Il materiale riciclato, veni- va opportunamente sfilato uno ad uno, ripassato al 'battitoio', pron- to per poter preparare nuove e speciali corde, utilizzate dai pescatori: "lanodde" e "calatòre". Le prime erano usate per armare le reti da pesca, ed erano ottenute dalla 'ritorcitura' di tre capi, la loro lunghezza variava da 16 a 18 metri. I secondi erano uti- lizzate per allestire i così detti 'conzère'. Queste particolari reti servivano per pescare soprattutto il pesce bianco, ed erano costituite da una corda di 'lanodde' lunga circa 1000 metri, e alla distanza tre metri circa l'una dall'altra si legavano i 'palammare', corde fatte con il crine di cavallo, che portavano legati ami con esca. I cordai durante la filatura delle corde, per non consumare i pantaloni, usavano indossare un Mestieri Perduti: il maestro cordaio "u mèst' a l'andrète" lungo grembiule "u sinale". Le loro dita erano sottoposte a con- tinua frizione provocata dai giunchi, e nel loro continuo movi- mento di torsione, subivano abra- sioni e piccole ferite, e il più delle volte le stesse sanguinavano. Per ovviare a questo inconveniente, i cordai usavano portare ditali di cuoio. Questo umile ed instancabile artigiano, pur operando con materie prime molto povere, ha avuto un'importanza sociale ed economica in tutto il Meridione d'Italia, dove da sempre l'econo- mia si è basata su agricoltura pas- torizia e pesca. Il cordaio con la sua insepara- bile e grande ruota, e con i suoi attrezzi del mestiere, operava nei piccoli e grandi centri urbani, e durante le faticose e interminabili ore di lavoro, era attorniato dai tanti ragazzini che per qualche centesimo di lira o per un pezzo di pane, si dedicavano a far girare la ruota "menare la ruota". A Bari i cordai operavano nei pressi della spiaggia del Filosofo "Felòscene" al fianco del teatro Petruzzelli. Il filosofo tedesco Nietzsche, nel suo libro "Così parlò Zarathustra" 1883-1885 scrive: "…in verità non voglio assomigliare ai funai: essi tirano in lungo le loro funi e intanto camminano a ritroso…" Fissare le immagini e le testi- monianze di quelle forme di vita e di lavoro, raccogliere voci sig- nificative, e documentare l'anti- chità e le diverse espressioni lin- guistiche, significa fare storia. Tuteliamo e salvaguardiamo, la nostra cultura, pregna di tradizioni, riti ancestrali, folklore, artigianato, antichi mestieri, pratiche agricole, espressioni orali, e tanto altro; questo è il nostro patrimonio culturale immateriale, patrimonio intangi- bile, che ci garantirà un senso di continuità e d'identità culturale. La tradizione, la nostra cultura pregna di riti ancestrali e antichi mestieri: anche questo è patrimonio nostro, parte della nostra identità. Foto: Paolo Mangoni NEWS & FEATURES PERSONAGGI OPINIONI ATTUALITÀ Le mani di un cordaio raccontano una storia lunga millenni. Foto: Paolo Mangoni

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