L'Italo-Americano

italoamericano-digital-1-10-2013

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L'Italo-Americano PAGINA  12  Gemmano imbiancata da una nevicata GIOVEDÌ  10  GENNAIO  2013 Paesaggio invernale di Isola del Gran Sasso d'Italia Gemmano, comune romagnolo di 1.185 abitanti della provincia di Rimini. Leggenda vuole che il nome derivi da "Gemma in mano". Si narra che un soldato etrusco sia stato ucciso dai romani mentre portava un anello alla fidanzata. Sulle pendici della collina vi sono resti della civiltà romanica ancora non portati alla luce. Da reperti e documenti risulta che il luogo fin da allora venisse individuato come "fondo geminum". Successivamente il comune appartenne ai Malatesta e quindi allo Stato Pontificio fino all'Unità d'Italia. Circondato da natura rigogliosa e colline coperte di vegetazione selvatica che contende spazio ai campi coltivati, il territorio è segnato dalle Grotte di Onferno immerse nella Riserva naturale che le circonda: un patrimonio unico nel Riminese, di rilievo regionale e per molti aspetti nazionale. Sono un complesso carsico di notevole valore la cui esplorazione scientifica completa, effettuata dalla speleologo Quarina, risale al 1916. Un fiumiciattolo sotterraneo ha scavato queste grotte gessose dando luogo a cunicoli, stanze, anfratti che si sviluppano nel sottosuolo per circa 750 metri complessivi. Al pubblico sono aperti circa 400 metri di percorso spettacolare: grandi stanze con le rare conformazioni dei "mammelloni", ampi corridoi segnati dal corso d'acqua sotterraneo e una delle più numerose e varie colonie di pipistrelli che si trovi in Italia. All'uscita della grotta ci sono altri 400 metri di percorso in un ambiente tra acqua, roccia, piccole cavità e splendida vegetazione. Leggenda vuole che Dante Alighieri, dopo aver sostato dal conte Ugolino della Faggiola mentre fuggiva da Firenze per andare a Ravenna, scendendo la valle del Conca, si sia rifugiato nelle grotte carsiche di Onferno (in origine chiamato Inferno) ed alle stesse si sia ispirato per scrivere il cantico. Il territorio gemmanese è stato anche importante campo di battaglia nella Seconda Guerra Mondiale con il passaggio del fronte nel '44 e lo sfondamento della Linea Gotica da parte degli Alleati. Boschi intorno a Laureana Cilento Isola del Gran Sasso d'Italia è un comune abruzzese di 4.971 abitanti della provincia di Teramo. Il territorio appartiene al Parco Nazionale del Gran Sasso e Monti della Laga, che ospita molte specie animali come il lupo, il camoscio d'Abruzzo, il cervo, l'aquila reale, la poiana, il gufo reale, lo scoiattolo, il cinghiale e la gazza. Il comune era anticamente un'isola circondata dai fiumi Ruzzo e Mavone e da questo trae il nome. L'unica via d'accesso al paese erano le porte del castello, fra le quali le principali erano le Porte del Torrione e della Cannavina. Il comune ha il vanto di comprendere nel proprio territorio la stupenda vetta del Corno Grande (2.912 metri), la montagna più alta dell'intera catena appenninica. Nei pressi del paese sono state rinvenute tracce di abitazioni risalenti al periodo neolitico, ma le prime notizie certe riguardanti Isola col suo nome proprio si riferiscono al XII secolo, quando il Conte Attone, nel 1115, ottenne dal Vescovo di Teramo il feudo del castello di Isola; successivamente, nel 1120, il feudo fu assegnato a San Berardo dei Conti di Pagliara (De Palla Aurea), che già possedevano il loro castello feudale sopra Isola (Pagliara). Nel 1173 il castello dell'Isola di Penne (nome del paese nei documenti di quel periodo), era tra i possedimenti dei Conti di Pagliara e il paese contava 48 famiglie. Secondo una tradizione mai smentita, San Francesco d'Assisi vi fondò un convento per i suoi frati chi vi rimasero fino al tempo delle soppressioni napoleoniche. A circa 2 km dal centro di Isola si trova oggi il Santuario di S. Gabriele dell'Addolorata, Patrono d'Abruzzo, dove sono conservate le reliquie del "Santo dei giovani". Il Santuario, fondato da S. Francesco d'Assisi nel 1215, è oggi uno dei 15 luoghi di culto più visitati al mondo. Il 5 settembre 1950, si verificò un terremoto (con epicentro il Gran Sasso) che provocò consistenti danni alle abitazioni private e vistose lesioni agli edifici pubblici. Nel 1863 il Comune prese il nome attuale di Isola del Gran Sasso d'Italia. Laureana Cilento è un comune campano di 1.174 abitanti della provincia di Salerno. Tra il VI e il X secolo il territorio dell'odierno Cilento, praticamente disabitato e ricoperto da fitti boschi, fu interessato da una importante immigrazione di monaci orientali. La colonizzazione basiliana dette nuova linfa vitale a queste terre le cui popolazioni, disperse e portate dai Longobardi al limite della sopravvivenza, cominciarono spontaneamente ad aggregarsi attorno alle "laure", le celle dei monaci, ricevendo da questi assistenza materiale e spirituale e formando nuclei abitati. Ad una di queste comunità si deve probabilmente la nascita del primo insediamento sulle alture di Laureana. Per la necessità di controllare i Saraceni che occupavano la vicina Agropoli, compiendo devastanti razzie, si decise la costruzione del Castellum Lauri poi palazzo feudale, da cui si pensa prese il nome Lauriana. La sua posizione, dominante il golfo di Salerno con controllo a vista dei castelli di Agropoli e Capaccio, nonché il trovarsi al centro delle vie di comunicazione che collegavano i centri della Valle dell'Alento ai porti costieri, la portò ad essere per oltre cinque secoli il polo più importante della baronia del Cilento. Che Laureana fosse la capitale del Cilento è una tesi avvalorata da numerosi elementi, in primo luogo ancora nel 1489 era il paese più popoloso con circa 5000 abitanti, in secondo luogo perché era la residenza di numerose famiglie nobili, in terzo luogo era il fulcro della vita commerciale, trovandosi al centro delle principali vie di comunicazione della regione. La "Terra ricca di Lauri" fu, durante tutto il Risorgimento, uno dei centri del partito democratico repubblicano di matrice mazziniana nel Salernitano, attraverso la presenza dei suoi patrioti in tutte le ribellioni, in tutte le congiure, su tutti i campi di battaglia d'Italia. La fine della feudalità segnò anche il momento di accorpamento dei tre centri, Laureana, San Martino e Matonti che già nel 1810 formarono un solo Comune. Sibilla Aleramo, l'intensa e coraggiosa scrittura al femminile del primo Novecento ANNA GIUGNI MATTINA Ci sono libri che letti in gioventù, o (come scrive il poeta spagnolo Machado) "Nell'età fiorita", rimangono nella mente lo "Una donna", scritto da Sibilla Aleramo. Come semplice lettrice, sono rimasta colpita (sebbene sia stato scritto nel 1906) dall'analisi della condizione femminile di La scrittrice Rina Faccio, alias Sibilla Aleramo e nel cuore. Libri che a distanza di anni, prende il desiderio di rileggere e che, sebbene scritti in stile ottocentesco, lontano dal sentire dei nostri giorni, è ancora interessante riconsiderare. Quasi per caso ho ritrovato nello scaffale della mia libreria, un piccolo volume in edizione economica dal significativo tito- quel tempo che ancora oggi appare non del tutto risolta, anche se molte conquiste sono state fatte: il voto, una parziale parità dei salari, un articolo della Costituzione che sancisce la parità dei sessi e così via... Sibilla Aleramo, il cui vero nome era Rina Faccio, nacque ad Alessandria, in Piemonte, nell'agosto del 1876. Suo padre, un ingegnere, si trasferì, con tutta la famiglia a Milano nel 1661, poi a Porto Civitanova, nelle Marche, nel 1888. Rina, crebbe sotto la guida di un padre autoritario e padrone, ma ugualmente da lei amato e di una madre debole e succube. A soli 16 anni fu iniziata alla vita sessuale, con uno stupro da parte dell'uomo che per riparazione, sarà costretta a sposare; un matrimonio senza amore, subendo percosse e gelosie, resistendo alla voglia di abbandonare il marito, per amore del figlio nato da quell'unione imposta. Rina arrivò all'estremo tentativo di suicidio, con il rischio di finire folle come sua madre. Nel 1993, si trasferisce a Milano, seguita dal marito e in questa città incomincia il suo riscatto. Rina legge, studia, scrive e invia i suoi articoli ai giornali e in seguito dirige una rivista: "L'Italia femminile" ed è sostenitrice dell'emancipazione della donna. Scrive il suo primo libro "Una donna" tra il 1902 e il 1906 che viene pubblicato utilizzando lo pseudomino di Sibilla Aleramo. Nel libro, autobiografico, sono descritte molte sue esperienze personali; per quegli anni, fu un atto di coraggio e un documento unico. "Una donna" fa capire come si può spezzare la corda che legava la figura femminile alla sottomissione e consuetudine di quei tempi. Nella sua vita privata, Sibilla, dopo aver lasciato l'indegno marito, incontrò vari amori o creduti tali, ma l'incontro che segnerà la sua vita, avverrà nel 1916 con il poeta Dino Campana, di Marradi (Toscana). Era il mese di luglio, quando Sibilla scrisse per la prima volta a Campana, dicendosi entusiasta delle sue poesie. Dino le rispose e il primo agosto si incontrarono in un piccolo paese dell'Appennino Toscano. Così ebbe inizio la loro storia d'amore. Un amore a momenti meraviglioso, travolgente e travagliato, di affetto, di lettere e poesia, un raffinato passionale gioco dei sensi. Sibilla scriveva a Dino: "Chiudo il tuo libro, snodo le mie trecce, o cuor selvaggio, musico cuore..Cuor selvaggio, musico cuore, chiudo il mio libro, le mie trecce snodo..." In seguito la mente del poeta Campana, fu travolta da ombre Il poeta Dino Campana oscure e presto cadde in preda alla follia. Malgrado ciò si ameranno ancora, si lasceranno e lui chiederà più volte il suo aiuto che lei non rifiuterà. Per Dino arriveranno giorni amari seguiti da anni bui di follia. Dino morirà in manicomio nel marzo del 1932 in seguito ad una infezione causata da una banale ferita, proprio quando la sua mente stava riacquistando la ragione. Sibilla dopo aver pubblicato molti libri e raccolte di poesie, morirà a Roma nel gennaio del 1970.

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