L'Italo-Americano

italoamericano-digital-3-14-2013

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L'Italo-Americano PAGINA  4 GIOVEDÌ  14  MARZO  2013 In Italia troppi giovani disoccupati ma il 14% dei datori di lavoro non trova personale qualificato YURI SERAFINI I recenti dati Istat (l'ente di ricerca pubblico) indicano che oltre il 30% dei giovani italiani è disoccupato. Sintomo della recessione, certo, ma anche sintomo di domande che non combaciano con le offerte. Infatti, ci sono degli impieghi che gli italiani potrebbero facilmente ottenere (specialmente se abitano nelle regioni giuste). Tra l'altro, impieghi che gli italiani sanno fare meglio di altri. Sfortunatamente, delle lobby forti non vogliono far cambiare le cose per proteggere settori politicalmente strategici, ma sempre meno competitivi. Statisticamente, solamente il 20% degli italiani è laureato e spesso in discipline poco monetizzabili. Insomma, le lauree in lettere sono interessanti, ma servono a poco. Secondo Manpower Group, il centro di ricerca americano leader nel settore dell'occupazione, l'impiego più richiesto in Italia è quello dell'operaio specializzato, seguito nella graduatoria da personale d'ufficio e tecnici specializzati. oggi in Italia, il 14% dei datori di lavoro non riesce a trovare personale idoneo al lavoro da svolgere. Se si pensa che, in generale, il tasso di disoccupazione nazionale è poco più del 10%, le implicazioni sono chiare: non c'è più l'Italia degli operai di una volta. Si deve fare attenzione a contestualizzare il dato: facendo un confronto con la Germania. Lì il 42% di chi è alla ricerca di personale non riesce a trovarlo semplicemente perché il numero di disoccupati è basso. Tornando ai dati Manpower, quarti nella graduatoria di personale richiesto sono gli autisti (anche per il fatto che il numero dei tassisti è tenuto artificialmente basso); al sesto posto vi è il personale d'albergo e ristorazione. Settimo dei settori con maggior richiesta di personale è il campo della contabilità e finanza (cosa prevedibile considerato il basso numero di laureati). All'ottavo posto vi è il lavoro da manovale, mentre al decimo il lavoro da meccanico. Probabilmente, per la prevalenza del lavoro in nero, ufficialmente la disoccupazione al Sud è quasi il doppio di quella al nord. Spesso, giovani del nord frequentano istituti professionali e con i loro diplomi trovano facilmente lavoro (la disoccupazione giovanile in Veneto e Lombardia non supera il 6%). Al Sud invece, seppur a volte venga messo in dubbio il valore del titolo di studio ottenuto presso alcuni atenei, si ha la percentuale di laureati più elevata d'Italia. Inoltre, sapendo che le università prese in maggior considerazione dai datori di lavoro sono (in ordine d'importanza): Bocconi, Politecnico di Milano, Politecnico di Torino, cattolica di Milano, e Luiss, è chiaro che chi si laurea al Sud è svantaggiato anche se in possesso di un buon titolo di studio. Per questo motivo, un elevato numero di studenti del Sud si trasferisce al nord per completare la laurea specialistica e per poi restarci a lavorare. Spesso al Sud si tende a studiare perché non si trova lavoro. Però, una volta finiti gli studi, la laurea non sembra offrire alcun vantaggio anche perché molte lauree non impartiscono abilità particolari. Secondo l'Istat, il 40% dei lau- Il Politecnico di Milano, tra le università "quotate" dai datori di lavoro reati in lettere e filosofia è destinato alla disoccupazione, mentre chi ottiene una laurea nelle professioni sanitarie ed infermieristiche ha il 95% di possibilitá di trovare lavoro, mentre per i lau- reati in ingegneria meccanica, gestionale o elettronica si ha il 70% di possibilità di trovare lavoro. Stessa percentuale per i laureati in archittetura ed economia. Dalle banche meno credito alle aziende? Chiuderanno o licenzieranno (e la crisi aumenterà) BARBARA MINAFRA La commissione Europea ha annunciato, forse con un eccesso di ottimismo, che per l'Italia è prevista l'uscita dalla recessione a partire dalla metà del 2013. Ma si prevede anche che la disoccupazione, a causa della debole at- tività economica, che a sua volta ha drammaticamente aumentato i rischi di esclusione sociale di lungo periodo, nel 2014 raggiungerà il 14% (ma quella giovanile e under 35 già oggi è purtroppo molto oltre il 30%). nei giorni scorsi, il centro studi di confindustria (la principale organizzazione rappresentativa delle imprese manufatturiere e di servizi in Italia che raggruppa 149.288 imprese per un totale di 5.516.975 addetti) ha stimato che un terzo delle aziende italiane è a corto di liquidità e rischia così di chiudere e licenziare, cioè di peggiorare una situazione già critica. colpa del credit crunch, delle banche che non erogano più denaro: da oltre un anno infatti, i prestiti alle imprese sono stati in continua discesa: -5% rispetto al picco del mese di settembre del 2011. Lo stock erogato si è ridotto di 46 miliardi di euro. La controprova è arrivata da Bankitalia: a gennaio i prestiti al settore privato hanno registrato una contrazione dell'1,6% su base annua (-0,9% a dicembre), registrando il maggior calo degli ultimi 14 mesi, quelli alle società non finanziarie del 2,8% (-2,2% a dicembre). Ma nel frattempo sono scesi anche i prestiti alle famiglie: meno 0,6% sui dodici mesi, ovvero anche in questo caso, il peggior dato in 14 mesi. non è un caso che a gennaio i consumi siano scesi del 2,4% rispetto a un anno prima e dello 0,9% su dicembre. Ma in seguito a una significativa flessione della domanda interna si stima una netta flessione per il Pil: quest'anno calerà dell'1% (nel 2012 era sceso del 2,4%). La recessione in Italia, più che di previsioni e analisi statistiche, ha però bisogno di soluzioni. E, come sottolineato recentemente dal capo dello Stato, di un governo. "La crisi non aspetta" ha detto napolitano incitando ad accordi politici che trasformino, quanto prima possibile, il dopo elezioni in un governo utile al Paese e a contrastare la crisi. che siano urgenti, lo dimostra Fitch Ratings che ha tagliato il rating dei titoli di Stato italiani da A- a Bbb+ con outlook negativo. Un giudizio, ha spiegato l'agenzia internazionale di valutazione del credito, che riflette il "risultato inconcludente delle elezioni". Aumentano i poveri (sono quasi 7 milioni) e lavorano appena tre giovani su dieci In Italia 6,7 milioni di persone sono in difficoltà economiche. Questo significa due cose. La prima: in un anno i "poveri" sono aumentati di 2,5 milioni. La seconda: cresce costantemente la disuguaglianza sociale e si delinea sempre più nettamente la forbice tra il reddito posseduto dal 20% più ricco della popolazione e il 20% più povero: si va dal 5,2% del biennio 2008-2010 al 5,6% del 2011. È quanto emerge dal primo rapporto sullo stato di salute del Lavora il 33% degli under 24 Paese elaborato attraverso indicatori del benessere sociale (cioè non usando solo il pil), elaborato dall'Istituto italiano di statistica Istat e dal cnel, il consiglio nazionale economia e lavoro. Uno studio da cui emerge che tra il 2010 e il 2011 il cosiddetto indicatore della "grave deprivazione" economica è salito dal 6,9% all'11,1%. Il reddito a disposizione degli italiani si è ridotto in 4 anni, dal 2007 al 2011 del 5%. In tanti stanno usando i risparmi o si stanno indebitando (le famiglie indebitate sono passate dal 2,3% al 6,5%) per far fronte alle esigenze quotidiane. E sta crescendo anche il numero di chi ricorre all'aiuto di amici e parenti per "tirare avanti": si è passati dal 15,3% del 2010 al 18,8% del 2011. I giovani in questo contesto sono fra i più penalizzati. Aumenta l'esclusione dal mondo del lavoro: solo poco più di tre giovani su dieci lavorano con un tasso di occupazione del 33,8% tra i 20-24enni. Insieme ai giovani, ad essere penalizzati sono le donne e gli abitanti del Sud con tassi di occupazione del 49,9% e del 47,8% rispettivamente.

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