L'Italo-Americano

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L'Italo-Americano PAGINA  4 GIOVEDÌ  4  APRILE  2013 Per uscire dall'Euro, l'Italia deve uscire dall'Ue (e rinegoziare tutti i trattati internazionali). Ma davvero ci conviene? YURI SERAFINI Leggiamo ed ascoltiamo spesso come Silvio Berlusconi voglia far uscire l'Italia dall'euro. Stessa cosa dice Beppe Grillo. A suggerirlo é anche l'aspirante cancelliere tedesco Peer Steinbrück. In un modo o nell'altro questi politici tendono ad attribuire all'euro la perdita della sovranità monetaria e, con questo, l'incapacità di sventolare la bacchetta magica della svalutazione monetaria (che poi è una cura superficiale e temporanea). Questi discorsi, comunque, sono da considerarsi pura demagogia, in quanto si ignora il fatto che l'Italia non ha la sovranità monetaria dal 1981. Da quando infatti fu operativo un piano, già approvato nel 1979, che stabiliva come quasi tutte le monete europee nell'area della Comunità Europea non potevano fluttuare più del 2,25% da un valore prestabilito, chiamato Ecu (European Currency Unit o Unità di Conto Europeo). Tutte tranne la lira, alla quale fu permesso di fluttuare del 6% per qualche anno prima di aderire allo standard del 2,25%. Dovrebbe essere chiaro specialmente ai politici che da anni l'Italia non ha avuto una vera e propria sovranità monetaria che i cicli di valutazione e svalutazione della lira seguivano un percorso molto prevedibile: la moneta veniva svalutata prima delle elezioni politiche dal governo in carica, solo per essere rafforzata poco dopo, proprio per È dal 1981 che l'Italia non ha più sovranità monetaria rimanere tra i limiti stabiliti. Basta guardare i dati: il tasso d'interesse della Banca d'Italia é stato ridotto nell'83, però dovette essere alzato nell'84, e poi venne ridotto di nuovo nel marzo '87, per poi essere alzato due mesi dopo le elezioni dello stesso anno. Nel '91 i tassi rimasero congelati fino alle elezioni del '92, mentre nel '94 vennero rialzati qualche mese dopo le elezioni, dopo essere stati ridotti nei 10 mesi antecedenti. Nel '96, infine, il tasso d'interesse venne gradualmente ridotto per essere portato in linea con gli standard europei, anticipando l'adozione dell'euro. Uscire dall'euro significhereb- be tornare ad utilizzare questo sistema, che è ancora valido per gli stati membri dell'Unione che sono fuori dalla moneta unica (ad esempio la Danimarca). Quindi i concetti che politici e stampa dovrebbero far capire in modo inequivocabile sono: 1) L'Italia potrebbe uscire dall'euro ma rimarrebbe sempre dentro l'Ecu. Il che non cambierebbe nulla in termini pratici. 2) Per poter svalutare la lira, l'Italia dovrebbe rescindere l'accordo Ecu e quindi uscire anche dall'Unione Europea. 3) Diventare extra-comunitari vuol dire importare prodotti a prezzi alti (pagati in euro o dollari) e avere dazi sulle esportazioni (che compenserebbero anche la svalutazione). In aggiunta, sembra banale dirlo, spesso ci si dimentica che tutti i trattati internazionali sono ormai stabiliti a livello europeo. L'Italia fuori dall'Ue dovrebbe rinegoziare tutti i trattati esistenti e difficilmente a condizioni favorevoli. In più, l'euro non ha diminuito, ma ha incrementato la "sovranità monetaria" italiana, poiché tramite le istituzioni europee puó anche influenzare lo svolgimento della politica monetaria in ambito Ue, mentre nel periodo 1981-1999, si limitava ad essere un osservatore e seguire le direttive degli stati piú forti. Oggi, tramite le istituzioni europee, l'Italia riesce ad influenzare le correnti politiche del più potente blocco economico al mondo. Se i politici italiani volessero veramente contribuire allo sviluppo dell'Unione Europea e quindi dell'Italia, dovrebbero invece spingere per una semplificazione delle istituzioni burocratiche. Perché, per esempio, non sostituire il Consiglio Europeo e il Consiglio dell'Europa Unita con una singola alta camera legislativa? I cittadini europei non si identificano con le istituzioni Ue attuali. Inoltre, questi sono organi che intermediano rapporti tra i singoli stati, e non sono assolutamente al di sopra di essi, come accade in altri sistemi federali. È ovvio quindi che vengano percepiti come inefficaci. Più crisi, meno vacanze: -17% negli alberghi per Pasqua. Ora rischiano di chiudere? BARBARA MINAFRA Purtroppo non è stata colpa del tempo incerto o delle temperature basse di quest'inizio di primavera. Non è stato il meteo che ha scoraggiato le tradizionali gi-te fuori porta di Pasqua e Pa-squetta. "I dati previsionali di Pasqua sono l'ennesima conferma di come l'Italia stia purtroppo vivendo una crisi epocale, che rischia di far tornare l'economia turistica ai livelli post Seconda Guerra Mondiale". Tutt'altro che incoraggiante la lettura dell'indagine previsionale effettuata nei giorni scorsi dall'Istituto Acs Marketing Solutions da parte del presidente di Federalberghi, Bernabò Bocca. Se le cose non cambieranno, se presto non arriveranno contromisure dal governo, nel giro di pochi mesi, ha detto, migliaia di alberghi rischiano la chiusura. Gli italiani che non hanno fatto nemmeno un giorno di vacanza a Pasqua sono stati 52 milioni. A causa della crisi, gran parte degli italiani non ha soggiornato in strutture ricettive e solo in 8,2 milioni (rispetto ai 9,5 mln del 2012) hanno dormito almeno una notte in albergo facendo segnare un pesante -14,1% sui flussi turistici. Le case di parenti e amici (scelte dal 28,1% del campione) sono risultate più gettonate delle strutture alberghiere (preferite dal 27,6%). Le presenze in hotel sono calate dello 0,8% mentre sono aumentate quelle in Bed&Breakfast (dal 2 al 6,1%); in flessione anche l'agriturismo (-1%). La spesa media procapite (comprensiva di trasporti, cibo, alloggio e divertimenti) si è at- Gita fuori porta? Neanche un giorno di vacanza per 52 milioni d'italiani testata sui 317 euro rispetto ai 329 del 2012 (con un calo del 3,6%) generando un giro d'affari di 2,59 miliardi (rispetto ai 3,13 miliardi del 2012) per un decremento complessivo del 17%. Ma soprattutto, secondo la rilevazione, oltre 23 milioni di italiani, risulta non potersi permettere una vacanza per "mancanza di soldi". Una situazione che purtroppo potrebbe non circoscriversi alla Pasqua 2013 ma lasciare presagire un disagio a medio-lungo termine con ripercussioni a questo punto facilmente prevedibili sulle prossime vacanze estive. "I dati previsionali di Pasqua osserva Bocca - sono l'ennesima conferma di come l'Italia stia vivendo una crisi epocale. Per Pasqua il decremento del 17% del giro d'affari, costituisce una percentuale senza precedenti. A questo punto è indispensabile che Governo, Parlamento e sindacati provino a ragionare con le imprese a un piano di emergenza per salvaguardare i lavoratori e le aziende del settore se non vogliamo che nel giro di pochi mesi alcune migliaia di alberghi e centomila dipendenti cessino di lavorare, privando l'economia nazionale di una delle poche attività in grado da sola di condizionare lo sviluppo del Paese". Una crisi che, erodendo i risparmi e non solo i guadagni, si sta dimostrando capace di cambiare consolidati costumi sociali: negli anni passati la prenotazione tipica per Pasqua contava 3 notti, con soggiorni che iniziavano venerdì e finivano lunedì. Ora sempre più spesso si scende a uno o due pernottamenti. Così come sono in aumento i clienti che preferiscono risparmiare facendo colazione fuori o chiedendo sconti su tariffe ribassate.

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