L'Italo-Americano

italoamericano-digital-9-26-2013

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14 L'Italo-Americano www.italoamericano.com Il tranquillo borgo medievale di Zovencedo tra dolci colline Zovencedo, comune veneto di 821 abitanti della provincia di Vicenza. E'un paese di origine medioevale adagiato su dolci colline nel cuore dei Berici, tra altipiani e dossi, valloni e doline, scaranti e fontane. Nelle giornate luminose dalle sue sommità lo sguardo può spaziare sulle cime delle Dolomiti, sul monte Cimone, fino agli Appennini. Il territorio è ricco di boschi di carpini, roveri, castagni ed è intersecato da numerosi sentieri nei quali si possono vedere le vecchie "masiere" di sasso dove con fatica si coltivavano nei terrazzamenti gli orti e le vigne. Dalla valle del Calto nasce un ramo della Liona che scorre proprio vicino ad un antico borgo Medioevale ancora ben conservato. San Gottardo è la frazione più alta e più abitata. Sembra che l'origine degli abitanti venga dalla Baviera attraverso le valli del Chiampo ed esattamente da Marana di Crespadoro, da cui i numerosi cognomi Maran. Dalla fontana delle Fate, che nasconde nelle viscere un percorso speleologico favoloso, nasce un ramo della Liona che attraversa la selvaggia Valle del Gazzo, dove si trovano quasi tutte le cave di Pietra tenera, e in località "Acque" di Grancona si unisce al ramo proveniente dalla valle di Calto dando inizio al torrente Liona. Sparse qua e là nel territorio rimangono ancora parecchie contrade o "corti" antiche che danno il senso del buon gusto nel costruire dei nostri avi. Spesso hanno la loro fontana con lavatoio ed è un piacere scoprirle passeggiando. A Zovencedo capoluogo c'è un antico castello medioevale citato in un diploma imperiale rilasciato alla chiesa vicentina nel 1158 da Federico Barbarossa. Passò poi ai conti Maltraversi e infine agli Ezzelini nel 1316. Al suo interno c'era la "Casa del Comune". Ora sopravvivono un'antica torre ed alcune adiacenze adibite ad abitazioni dal proprietario. La vecchia parrocchia di San Gottardo risale al 1400. Purtroppo è stata abbattuta e ricostruita com'è oggi nel 1962. C'è anche un settecentesco Villino "Longare Bonin", oltre a parecchie case antiche. GIOVEDÌ 26 SETTEMBRE 2013 Arpino deve il nome alla sua forma: dall'alto sembra un'arpa La chiesetta campestre di Santa Maria Cleofe a Ballao Arpino è un comune laziale di 7.552 abitanti della provincia di Frosinone. Si sviluppa sul versante sinistro della media valle del fiume Liri, su di un sistema collinare ad un'altitudine di circa 450 metri sul livello del mare. Il centro è dominato dall'acropoli, detta di Civitavecchia. Nel territorio comunale si raggiunge un'altitudine massima di 837 metri in località Montecoccioli. Il territorio, per lo più votato all'agricoltura (numerosi gli oliveti secolari) e tuttora scarsamente urbanizzato, è ricco di boschi. Il toponimo Arpino (ovvero Arpinum nei tempi classici) si pensa derivi dal fatto che il paese visto dall'alto presenta una forma che ricorderebbe quella di un'arpa. Non si conosce l'esatta età della fondazione di Arpino, anche se ritrovamenti archeologici dimostrano le origini volsche, popolo di origini incerte a cui sono connesse le vicende dei rostri del foro (preda romana dopo la battaglia navale al largo di Anzio) e di Coriolano. Le tradizioni locali, e una serie di iscrizioni ancora visibili, fanno risalire la fondazione della città al dio Saturno o ai Pelasgi, analogamente alle altre città del Lazio meridionale cinte da possenti mura megalitiche e dette città saturnie. Nelle mura poligonali, dette "ciclopiche" e datate al XIII secolo a.C., si apre una singolare porta nota come "arco a sesto acuto", propriamente un arco a mensola. Fu teatro e obiettivo di scontri tra Romani e Sanniti, fino ad essere conquistata dai primi nel 305 a.C. Nel 188 a.C. ottenne la cittadinanza romana. Nell'Alto Medioevo le mura fortificate ne fecero un centro di rifugio e difesa dalle invasioni barbariche. In questo periodo Arpino fu più volte contesa tra il Ducato romano, il Ducato di Benevento, l'invasione dei Franchi (860), le scorrerie dei Saraceni. Dopo il 1000 divenne territorio dei Normanni, poi degli Svevi e del Papato e dovette subire due distruzioni: la prima nel 1229 con Federico II e la successiva nel 1252 a opera di Corrado IV. In questa seconda occasione i danni furono rilevanti: la città fu rasa al suolo e furono irrimediabilmente perdute molte delle antiche testimonianze romane. Ballao, comune sardo di 882 abitanti della provincia di Cagliari. Insito nella regione del Gerrei, il paese si sviluppa in prossimità di un'ansa del fiume Flumendosa. L'origine del nome potrebbe derivare dalla parola spagnola balay (cesto, conca) o dal fenicio baal (signore). Di origine nuragica, fu poi sede di una mansio romana e territorio bizantino. Durante il medioevo fece parte del Giudicato di Cagliari per poi passare nel 1300 alla Repubblica di Pisa e nel 1324 alla Corona d'Aragona. Nel territorio di Ballao si possono ancora oggi vistare alcune chiese campestri di origine bizantina: S. Croce, S. Rocco, S. Maria Nuraxi e S. Pietro. Presso la località Santa Maria de Nurai era situato Nuraxi, un antico villaggio di origine medievale che si spopolò nel XIV secolo a causa di una epidemia di peste. Dell'epoca nuragica è rimasto il Pozzo sacro di Funtana Coberta la cui costruzione si può datare fra il 1200 e l'850 a.C. Gli antichi abitanti vi celebravano i riti legati al culto delle acque. Al suo interno sono stati rinvenuti reperti in bronzo tra cui spade votive, pannelli oxhide e bronzetti. Nella zona della frazione Corti Rosas, a circa 4 km dall'abitato in un panorama molto suggestivo circondato da alberi da frutto, c'è invece una miniera di 15 ettari, ormai in disuso. Fu scoperta nel 1796 ed ebbe un notevole sviluppo negli anni del fascismo. Oggi fa parte del Parco Geominerario Storico ed Ambientale della Sardegna. Attiva fino agli anni '60, dalla miniera si estraeva l'antimonio, minerale i cui massi affioranti erano stati individuati fin dal XV secolo. Ma le attrattive principali di Ballao risiedono nei valori paesaggistici legati al Flumendosa. In questo territorio, tra rocce e incantevoli piscine naturali d'acqua dolce, immerse in una ricca vegetazione fluviale, si possono di frequente osservare uccelli di rara bellezza, come aironi cinerini e germani, ma anche nutrie, fagiani, gruccioni e, nelle acque del fiume, le tartarughe. Assai caratteristici, infine, i "nessargius", primitive ma ingegnose trappole per pescare le anguille alle prime piogge autunnali. Esposte per la prima volta in Italia 30 opere parigine del Rinascimento fiorentino NIcOLETTA cURRADI Tra i più importanti e sofisticati di Parigi, il Museo Jacquemart-André vanta, dopo il Louvre, la più ricca collezione di Rinascimento fiorentino in terra di Francia grazie alle centinaia di capolavori acquistati a fine Ottocento a Firenze, per lo più nell'atelier del celebre antiquario garibaldino Stefano Bardini. Si configura dunque come un doppio ritorno a casa la mostra "Il Rinascimento da Firenze a Parigi", che per la prima volta riporta in Italia il nucleo principale della raccolta JacquemartAndré. Dipinti di Botticelli, Mantegna, Paolo Uccello, Luca Signorelli, Alesso Baldovinetti, sculture di Donatello e Giambologna, bronzetti, mobili, ceramiche. In tutto 30 capolavori che riapprodano nella città dove furono creati per essere esposti nella dimora-atelier del mercante che li alienò. Villa Bardini è in effetti la sede ideale, quasi per nemesi, di questa esposizione preziosa e spettacolare (fino al 31 dicembre) cu- rata da un'equipe di specialisti italo-francese (Giovanna Damiani, Marilena Tamassia, Nicolas Sainte Fare Garnot). Un progetto posto sotto la diretta tutela di Cristina Acidini, Soprintendente Speciale per il Psae e per il Polo Museale della città di Firenze, e di Gabriel De Broglie, Cancelliere dell'Institut de France, le due istituzioni che promuovono l'evento insieme alla Fondazione Parchi Monumentali Bardini e Peyron e al La Fuga in Egitto di Botticelli Museo Jacquemart-André con la società di gestione Culturesespaces presieduta da Bruno Monnier. L'opportunità si è creata grazie al cospicuo prestito concesso dalla Soprintendenza alla monografica sul Beato Angelico di due anni fa a Parigi. L'epopea dei grandi antiquari fiorentini, la nascita del mito Firenze/Rinascimento, la febbre del collezionismo che a cavallo tra Ottocento e Novecento contagiò la parte più colta della ricca borghesia europea e americana, sono capitoli di una storia narrata mille volte. Storia che ha anche un pendant negativo nel saccheggio del patrimonio artistico nazionale, largamente disponibile sul mercato antiquario in quegli anni post unitari e colpevolmente lasciato libero di espatriare. La straordinaria collezione Jacquemart-André si è appunto formata in quel periodo, non diversamente da quelle dei maggiori musei internazionali, con anni di acquisti selezionati e intelligenti, con in più la passione per l'arte di due coniugi innamorati, colti e lungimiranti, oltre che molto fa- Fino alla fine dell'anno in mostra"Il Rinascimento da Firenze a Parigi" coltosi. Edouard André, erede di una famiglia di banchieri dell'aristocrazia imperiale, amico e compagno d'arme di Napoleone III, lasciò prima l'esercito, poi la politica, con lo scopo preciso di colmare di tesori artistici il grandioso palazzo-museo fatto costruire a Parigi sull'esclusivo Boulevard Haussmann. Nélie Jacquemart era invece pittrice, ritrattista della buona società. Si sposarono entrambi in età avanzata e, grazie a lei, Andrè si innamorò dell'Italia e dei maestri del Rinascimento. A partire dal 1882, ad ogni anno corrispose un viaggio a Firenze dove trovarono in Bardini l'interlocutore ideale, un mercante-agente abile e fornitissimo, dal quale acquistarono i capolavori, a centinaia e di ogni genere, che oggi fanno del Museo Jacquemart-André uno degli splendori di Francia. Rimasta vedova nel 1894, Nélie continuò a frequentare Firenze e a fare acquisti fino alla morte (1912), quando lasciò allo Stato palazzo e collezioni con il vincolo di farne un museo pubblico. L'arte, diceva in accordo col marito, deve essere condivisa. Un anno dopo, nel 1913, il Musée Jacquemart-André era realtà e oggi festeggia 100 anni. Col ritorno a Firenze della parte preminente delle opere fiorentine il cerchio, magicamente, si chiude.

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