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L'Italo-Americano GIOVEDÌ 2 GENNAIO 2014 www.italoamericano.com 5 Pasolini e New York: cronaca di un amore che sembrava impossibile e invece fu un colpo di fulmine DARIO MARCUCCI Cosa ci si poteva aspettare dall'incontro, avvenuto per la prima volta nel '66, tra Pasolini e New York? Il primo, allora profondamente marxista, cantore dei popoli del Terzo mondo, profetico nel denunciare le minacce della globalizzazione. La seconda, scintillante simbolo del neocapitalismo americano… Trattandosi di Pasolini ogni previsione viene meno, e l'esito è quanto di più inaspettato possibile: amore. Il poeta, giornalista, regista, sceneggiatore, attore, paroliere e scrittore italiano, considerato uno dei maggiori artisti e intellettuali italiani del XX secolo, si innamorò a prima vista della Grande Mela: della sua ostentata e caotica libertà; dell'ingenuità schietta e consapevole dei suoi abitanti; del fermento politico e dei movimenti pacifisti e antisegregazionisti che animavano quegli anni. "Vorrei avere diciotto anni per vivere tutta una vita quaggiù". Disse Pier Paolo Pasolini a Oriana Fallaci, newyorkese d'adozione, che lo intervistò poco prima che ripartisse. Ed è difficile ricordare una frase più bella, detta da chicchessia, a proposito di una città. E ancora: "È una città magica, travolgente, bellissima… mi dispiace non essere venuto qui molto pri-ma, venti o trent'anni fa, per re-star- ci. Quanto mi dispiace partire, mi sento derubato. Mi sento come un bambino di fronte a una torta tutta da mangiare, una torta di tanti strati, e il bambino non sa quale strato gli piacerà di più, sa solo che vuole, che deve mangiarli tutti. Uno ad uno. E nello stesso momento in cui sta per addentare la torta, gliela portano via". Pasolini propose dell'America una lettura che a moltissimi era sfuggita; ne mise in luce la bellezza intatta, la vivacità delle idee e delle correnti politico-culturali, le mille opportunità che può offrirti. Negli Stati Uniti ogni cosa sembrava sul punto di accadere; che poi accadesse o meno, non importava…la storia Pasolini su N.Y.: "Vorrei avere 18 anni per vivere tutta la vita quaggiù" si faceva lì; le idee lì si trasformavano in atto; lì si viveva con la valigia in mano. A chi volesse farsi un'idea dell'America di Pasolini, basterà leggere "Marilyn", poesia che Pasolini scrisse in memoria della Monroe, simbolo anch'essa, proprio come New York, della cultura americana più pura: "Tu… quella bellezza l'avevi addosso umilmente / e la tua anima figlia di piccola gente / non ha mai saputo di averla". In un accesso paradossale che si può concedere solo ai poeti, Pasolini paragonò l'America all'Africa, almeno per l'effetto che aveva su di lui. Ma "l'Africa è come una droga che prendi per non ammazzarti. New York invece è una guerra che affronti per ammazzarti". Era arrivato negli Usa per la presentazione di due film, "Accattone" e "Uccellacci e Uccellini" al festival di Montreal in Canada, ma non sapeva che sarebbe rimasto dieci intensi giorni nella Big Apple. Conobbe intellettuali ed esponenti dei movimenti di sinistra, membri dello Sncc (Student Nonviolent Coordinating Committee); arrivò a dire che "chi non ha visto una manifestazione pacifista e non-violenta a New York, manca di una grande esperienza umana". E New York lo ricambiò. Da allora, le iniziative dell'Istituto Italiano di Cultura, ma anche delle Università e dei musei, Lo scrittore e poeta Pier Paolo Pasolini visitò New York nel 1966 dedicate a Pasolini, sono enormemente cresciute, fino a intensificarsi notevolmente negli anni più recenti. Nel 2007 la città ha ospitato una grande retrospettiva, che forse in Italia non c'è mai stata, organizzata in sincronia da l'I-stituto Italiano di Cultura, la Film Society del Lincoln Center, il Public Theater, La Mama Experimental Theatre Club, la Casa italiana Zerilli Marimò, il Cuny Graduate Center e la Yale Uni-versity. Proprio quest'anno, a gennaio, s'è conclusa invece la retrospettiva cinematografica e poetica del MoMa, che ha visto partecipare, nel recital di alcuni brani, oltre all'immancabile Ninetto Davoli, tanti attori italiani come Giuseppe Fiorello, Pierfrancesco Favino, Michele Riondino, Alba Rohrwacher. C'è da scommetterci che non sarà l'ultima manifestazione in ricordo di quello che sembrava un amore impossibile, e che invece ha dato frutti inaspettati. Un italiano nella grande Mela del XIX secolo: spettacolo evento per ricordare Lorenzo Da Ponte CHIARA MACINAI L'Istituto di Cultura Italiana di New York ha celebrato, nella vecchia Cattedrale di St. Patrick, il 175° anniversario della morte di Lorenzo Da Ponte, librettista, poeta e drammaturgo italiano. Lo spettacolo evento a base di musica, poesia e teatro, è nato dalla collaborazione tra Divaria Production, prestigiosa casa di produzione che da anni lavora per la diffusione della musica lirica, l'Istituto di Cultura Italiana e la Basilica di St. Patrick Old Cathedral, dove si svolsero i funerali dell'artista. Il personaggio di Da Ponte è stato interpretato dal drammaturgo contemporaneo Mario Fratti, che con calore e trasporto ha raccontato avventure e disavventure di un poeta italiano a New York. "Si dice che Lorenzo Da Ponte sia morto nel 1838, ma questo non è vero… io sono ancora qui, perché gli scrittori non muoiono mai." Inizia così la curiosa narrazione sulla vita di Lorenzo Da Ponte, in cui possiamo scorgere alcuni aspetti biografici dello stesso Fratti: entrambi scrittori e Lorenzo Da Ponte, librettista, poeta e drammaturgo italiano infaticabili lavoratori, amanti della lingua, della cultura italiana, hanno vissuto vittorie e sconfitte nella città di New York che li ha accolti in epoche diverse. C'è da commuoversi quando vengono raccontate le difficoltà di far conoscere la cultura italiana negli Stati Uniti: dall'apertura del primo teatro d'opera a New York nel 1825, chiuso dopo pochi anni perché l'opera non era ancora sufficientemente apprezzata, alla necessità che Da Ponte ebbe di aprire un negozio di grocery, visto che la sua prima impresa di aprire un negozio di libri era fallita: "Nessuno comprava libri a quei tempi – racconta Fratti – le cose non sono molto cambiate: chi compra libri oggi?". Il racconto prosegue fino ai riconoscimenti raggiunti da Da Ponte come insegnante, "the giver", colui che dona la conoscenza agli altri. La storia del librettista si articola tra l'Europa e l'America, costellata di collaborazioni interessanti. La corte di Vienna, il fortunato incontro con Salieri e la grande intesa con il compositore, la collaborazione con Mozart. E poi l'amicizia con Casanova, l'ammirazione e l'amore per le donne: le tappe della vita del librettista sono percorse at- traverso gli episodi proposti da Fratti con il contributo del professor Felice Beneduce, del Dipartimento di Italianistica della Columbia University, grazie al quale l'evento si arricchisce di tratti di grande interesse sul contesto storico e culturale in cui si muove Lorenzo Da Ponte. Il poeta rivive poi attraverso i libretti che ha scritto (28 opere per 11 diversi compositori) per Mozart, Rossini, Bellini e Salieri, ma soprattutto grazie al concerto musicale che ha accompagnato la performance di Fratti. Si inizia con "Le Nozze di Figaro", con il Duettino "Cinque... dieci... venti…" interpretato dal soprano Asheley Bell e dal baritono Vladimir Tselebrovsky che si esibisce con "Fin ch'han dal vino" dal "Don Giovanni" di Mozart e nella celebre aria "Largo al Factotum" da "Il Barbiere di Siviglia" di Rossini. La musica è stata affidata al quintetto d'archi Salomè Chamber Orchestra (Stefania Collins al violino, Francesca Dardani al violino, Leah Korchemmy alla viola, Hiro Matuso al violoncello e Yanni Burton al contrabbasso) che ha accompagnato il tenore David Guzman per "Da la sua Pace la mia dipende" - sem- Mario Fratti interpreta Da Ponte pre dal "Don Giovanni" - e il soprano Andrea del Giudice per l'aria "Col Sorriso d'innocenza" da "Il Pirata" di Bellini. Il direttore e organista della Basilica di St. Patrick, Jared Lamenzo, ha chiuso la serata suonando l'Ouverture da "Le Nozze di Figaro" di Mozart. Il leitmotiv dell'evento è racchiuso in una citazione di Da Ponte, che Mario Fratti ha richiamato più volte nel corso della serata: "La semplicità è la più alta forma di sofisticazione". Così appare ancora oggi la poesia racchiusa nei suoi libretti: semplice e altamente sofisticata.