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infiacchita e passiva, è stato quel poeta, capace di trasmettere emozione viva e attuale attraver- so un messaggio d'avanguardia scritto nell'Ottocento. Lunga e completa è la sua ope- ra drammaturgica, composta di drammi civili e sociali. Oggi, Gabriele Lavia, nella doppia ve- ste di interprete e regista, ha ria- perto il sipario del Teatro Argen- tina, per un'opera che non veni- va rappresentata a teatro in Italia da più di cinquant'anni, (l'ultima volta era stato Orazio Costa): I Pilastri della Società. Questo dramma, scritto da Henrik Ibsen nel 1877, fa parte della sua ultima produzione, poco prima di dar luce ai più fa- mosi Casa di bambola e Hedda Gabler. Questo è il periodo in cui Ibsen passa dal verso alla prosa; dopo aver trascorso metà GIOVEDÌ 6 FEBBRAIO 2014 www.italoamericano.com L'Italo-Americano 13 Esistono autori che, se non si possono fare in grande, devono essere lasciati in pace. Ibsen è uno di questi. Il drammaturgo norvegese è stato negli anni, in grado di insinuarsi nella mente dei propri lettori, sconvolgendo la loro visione della vita, trasfor- mandola in una più intima e profonda. Ibsen, uomo di cultura, spietato, coraggioso, umano, sovvertitore di una società I pilastri della società di Ibsen portati in scena a Roma da Lavia: nei salotti dell'alta società dove si nascondono bugie e inganni VAleNtINA cAlABReSe della vita a scrivere poemi, inizia a dedicarsi ai cosiddetti drammi borghesi. Il suo nuovo obiettivo diventa quello di fare opera di poeta tragico rinunciando al fan- tasioso, al leggendario, per adat- tarsi alle difficoltà della realtà meschina, quella che proprio lui, in quegli anni, vedeva intorno. Se Eschilo e Shakespeare mi- sero in scena eroi, perché vissero in un mondo eroico e tumultuo- so, Ibsen, che viveva in mezzo a to in scena "Le colonne della società". Sontuosi divanetti e tri- clini purpurei, specchi enormi e ritratti secenteschi appesi a pareti rosso fiammante, un pianoforte, cinque gradoni che sfondano il proscenio e scendono in platea, e una quarta parete a vista che sale e scende. Una magniloquente scena per raccontare un microco- smo fondato su menzogne plu- riennali. Il suo console Bernick è il pi- lastro di una società marcia alle fondamenta, costruita e avvele- nata dal denaro e dalla falsità. Egli vive da oltre quindici anni una vita di inganni: ha sedotto molti anni prima una giovane attrice, ma nel momento in cui stava per essere scoperto, ha fat- to ricadere la colpa sul fratello minore di sua moglie Betty, emi- grato subito dopo in America con la sorellastra Lona. Da quella menzogna, il console ha gettato le fondamenta della sua operosità, diventando il pri- mo cittadino della città, il più po- tente, influente e ricco. Tutto sembra andare per il verso giu- sto. Bernick continua ad arric- chirsi giorno dopo giorno e pro- prio quando sta per preparare la sua opera più grandiosa, la costru-zione di una ferrovia, le fondamenta della sua esistenza pubblica iniziano a vacillare: dal-l'America, il continente libe- ro, tornano a fare visita alla famiglia del console, la sorella- stra e il fratello della moglie. La performance di Lavia e del suo gruppo d'attori è indubbia- mente risultata di altissimo livel- lo. In scena è riuscita a crescere in maniera direttamente propor- zionale alla scrittura drammatur- gica ibseniana. Da una recitazione di posa si è arrivati a un ritmo incalzante det- tato dall'isteria che solo l'ango- scia di una verità che ritorna a galla può causare. Un dramma che cresce e arriva all'apice nel finale, quando Lavia, con magi- strale talento, sconvolge le parti trasformando il pubblico in inter- prete inconsapevole del popolo attore che applaude un leader politico e teatrale. Il dramma ibseniano non veniva rappresentato da 50 anni in Italia Gabriele Lavia ha messo in scena "I pilastri della società" di Ibsen all'Argentina una grigia vita, doveva riprodur- la così com'era. Proprio dalle angustie di una grigia vita egli ha ricavato la tragedia. Ecco allora che dai grandi spa- zi in cui viveva Hjördis, la don- na-guerriero in Guerrieri a Hel- geland, si passa a uno spazio ri- stretto dai limiti mentali e mo- rali. Man mano che si restringe l'orizzonte epico, eroico, leggen- dario, lo spazio tende a rientrare, a fissarsi nell'immagine inter- na/interiore del salotto. Poco a poco, la compattezza aristotelica dell'intreccio conno- ta una chiusura verso l'esterno, e in compenso le didascalie dell'autore riempiono di oggetti- arredo le stanze. La dialettica spaziale diventa minima, tra lo studiolo del personaggio maschi- le, e il salottino dove si riceve. Ecco l'avanzare degli imman- cabili pianoforti, tavolinetti, pol- troncine, divanetti, stufe, sedie a dondolo, e tappeti, stampe alle pareti e vetrinette. L'interno ap- partiene alle donne, mentre l'esterno, coincide con lo spazio per soli uomini. Il salotto biblioteca, nella scena ibseniana, non consente l'appa- rizione titanica dell'Eroe Artista e qui il teatro naturalista borghe- se diventa una cornice rigida, che non permette ingrandimenti di nessun genere oltre i confini. "Se qualcuno cresce troppo, se avanza pericolosamente verso il proscenio, dovrà inevitabilmente essere smontato, ridimensionato, altrimenti sarà espulso". Così, in una scenografia degna dei grandi teatri, Gabriele Lavia e la sua compagnia hanno porta- Gabriele Lavia