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GIOVEDÌ 24 APRILE 2014 www.italoamericano.com 15 L'Italo-Americano ITALIAN SECTION | Da Napoli la ricetta di un 'superbo valore di italianità' per vincere la sfida del rilancio economico La difficile vita dell'imprendi- tore italiano: L'Italo Americano ne parla con Mena Caccioppoli. Mamma ed imprenditrice, ge- stisce l'azienda agrituristica di famiglia, Nonno Luigino, nella cornice della costiera sorrentina. Si dedica ad attività di produ- zione primaria e trasformazione dei prodotti aziendali, alloggio, ristorazione e fattoria didattica. Laureata in Scienze Politiche, specializzata in "marketing e va- lorizzazione dei prodotti agroali- mentari tipici", inizia la sua car- riera, dedicandosi ad attività di ricerca e formazione nel campo agroalimentare. In seguito rap- presenta le imprese nel 1999, quando entra a far parte del Co- mitato Provinciale di Napoli di "Giovani Impresa Coldiretti", per diventarne membro di Giun- ta Nazionale. Membro del consi- glio nazionale di Terranostra, associazione di territorio e am- biente, e del Consiglio nazionale di Donna Impresa, ha guidato, dal 2006 al 2013, la Federazione Provinciale di Coldiretti Napoli in rappresentanza di circa 5000 imprese napoletane. La sua tenacia ed esperienza la rendono parte attiva in numerose iniziative nazionali e territoriali, anche come membro di commis- sioni tecniche regionali agricole e per le Pari Opportunità. Quando è nata l'Accademia delle idee? Abbiamo presentato la nostra istanza di riconoscimento nel gennaio 2014, dopo avere avuto l'opportunità di conoscere e condividere l'ambizioso Proget- to di Sergio Marini e della sua Fondazione "Italia Spa", nata per ritrovare un'Italia efficiente, competitiva ed autorevole. Ci ha affascinato la concretezza della sua visione futura e la lucidità della sua analisi presente: la fotografia di un'Italia spaccata in due tra un Paese rassegnato, invecchiato, passivo e stanco, e mativo e fiscale così ballerino che, quando si comincia a capire come e quanto pagare, è già cambiato di nuovo il tutto. La storia continua… Nessun problema, tanto ci sono poi i ravvedimenti; però il prelievo comincia a diventare troppo alto, perché non vi è cer- tezza di quest'ultimo, che dipen- de da quanti soldi servono allo Stato per le sue manovre. Intanto non c'è domanda, si licenzia e, qualche imprenditore attribuisce il fallimento della sua impresa ad un fallimento personale, punendo se stesso. Bisogna invertire la rotta, al più presto. Il cammino verso un'econo- mia sostenibile e rispettosa dell'ambiente è ancora lungo? Non solo è lunga, e questo non sarebbe il primo dei problemi, ma è ricca di ostacoli. Bisogna rifondare il sistema e invertire il modello, cioè non andare a ricer- care e a costruire un'idea di fu- turo difficile, da inventare e lon- tano da noi. Anzi, al contrario, bisogna partire da noi, da quello che abbiamo e sappiamo fare e che il resto del mondo ci invidia: i territori, la cultura, l'accoglien- la possibilità di una via d'uscita, attraverso la forza delle idee e delle persone, della partecipa- zione attiva, dell'energia, del cambiamento, dei sogni di un benessere diffuso e di una mi- gliore qualità della vita per tutti. Tra l'immobilismo e la possi- bilità di agire, per avviare un nuovo percorso, abbiamo deciso di unire le forze e di scegliere la seconda strada. Abbiamo di nuovo chiuso gli occhi e imma- ginato tutti insieme la nostra Italia tra 10 anni, decidendo di agire, sin da oggi, per dare con- cretezza a quella visione pro- spettica e lo faremo, comincian- do dal nostro laboratorio di idee, che è l'Accademia Campania SPA. Cosa manca nell'imprendito- rialità italiana? Potrei rispondere partendo dalla domanda: cosa ha oggi l'imprenditore italiano? Ha un sogno spezzato da un brusco ris- veglio, un sogno senza lieto fine, che è la sua impresa, la sua opera d'arte, incompiuta come un sogno rimasto nel cassetto… Non si può fare impresa in uno Stato che non ama l'impresa, che la imbriglia in una rete con trame troppo fitte, che costringe l'imprenditore a distogliere quo- tidianamente energia dal suo progetto, perché deve organizza- re la burocrazia, spesso trovare vie d'uscita perché regole scritte altrove, lontano dai territori e dalle problematiche reali, esigo- no rispetto. Mi chiedo, possono essere trattati allo stesso modo casi clinici diversi? Esisteranno anche delle linee guide, dei pro- tocolli, ma mai le stessa cure. Manca anche la visione di uno Stato, che scommetta sull'im- presa per realizzare condizioni di benessere, di lavoro. Piuttosto alle imprese italiane sono stati chiesti i sacrifici, maggiori per rimediare alla "mala politica", alla "mala gestione" e al "mal costume" della macchina pub- blica; sono state controllate e spesso tacciate di evasione, quelle che pagano le tasse, ovviamente, in un quadro nor- za, il Made in Italy, in ogni sua declinazione, dall'agricoltura, all'artigianato, all'industria. Ogni prodotto dovrebbe avere un superbo valore di italianità, che è il frutto della nostra storia e non di delocalizzazione e di ricerca di basso costo. Al contrario, bisognerebbe, in "quell'altezzosità produttiva", estrinsecare il valore aggiunto del rispetto della persona e del lavoro che ritornano centrali, dell'etica e della crescita che tuteli qualità della vita e am- biente. Quell'economia parte dal terri- torio e dalle sue risorse ed è doveroso che, chi esercita su di esso un'attività economica, se ne prenda cura. Questa via di sviluppo è possibile ed è la meno costosa a tutti i livelli, ma è doverosa un'inversione di pen- siero di tutti noi, una coscienza di sostenibilità che permei l'ope- rato e l'azione visibile ed invisi- bile di tutti. Qual è la sua idea di "fare impresa" e cosa manca in Ita- lia? La mia è semplicemente un'i- dea di impresa che non vuole essere assistita, ma assolutamen- te non ostacolata e mortificata. L'aiuto maggiore, che potreb- be ricevere oggi un imprendito- re, sarebbe quello di una sempli- ficazione burocratica prima di tutto, un prelievo fiscale più leg- gero e più certo e non lasciato a giochi di percentuali che ingan- nano anche il più attento econo- mista. Necessita un quadro che ponga fine e rimedio alla "brutta figura", che stiamo facendo agli occhi di un mondo che, ormai, ci sbeffeggia. Mancano, in sostanza, i prere- quisiti per fare impresa: ecco perché, noi imprenditori italiani non abbiamo più fiato, chi viene ad investire in Italia non è pazzo, è soltanto di passaggio, solo per acquistare un pezzo della nostra storia che, in altri posti, funzio- nerà alla grande. Chi pensa di scommettere ancora qui, nel nostro Belpaese, è considerato un "alieno". È un'ulteriore mortificazione che non possiamo più accettare. Fin qui la capacità degli impren- ditori italiani, il loro saper fare, la loro creatività il loro entusia- smo, la loro propensione a voler scommettere. I loro sogni, per l'appunto, non sono ancora inter- venuti, sono lì che aspettano, aspettano delle ali per poter vola- re alti e non essere costretti a raz- zolare. Aspettano di poter fare la loro parte e dare il loro contribu- to per la rinascita di un Paese che amiamo. Secondo lei è possibile fare rete in Italia? Assolutamente sì. Per me fare rete indica un sistema, un meto- do per realizzare alcuni obiettivi che in questo particolare momen- to, deve superare ogni più storica considerazione di localismo e individualismo, perchè questo modello ci renda più competitivi e innovativi. EMILIA FERRARA Caccioppoli: 'L'economia deve ripartire dal territorio e dalle sue risorse' L'imprenditrice campana Mena Caccioppoli Angolo dell'azienda agrituristica di famiglia 'Nonno Luigino'