L'Italo-Americano

italoamericano-digital-5-8-2014

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GIOVEDÌ 8 MAGGIO 2014 www.italoamericano.com 21 L'Italo-Americano ITALIAN SECTION | Torri del Benaco, comune veneto di 3.038 abitanti della provincia di Verona. I primi segni della presenza dell'uo- mo sono da far risalire al 2000 circa a.C.: nel 1978, durante scavi nel centro storico furono rinvenuti fram- menti in ceramica decorata e oggetti in selce attribuibili all'età del bronzo e negli anni '60 vennero trovate tracce di un antico insediamento palafitticolo. Altre testimo- nianze sono le numerose incisioni rupestri, raffigurazioni di notevoli dimensioni incise su lastre di pietra. Torri entrò a far parte dell'Impero romano verso la fine del I sec. a.C.: lo conferma il rinvenimento di monete di età imperiale e molti toponimi ancora esistenti come Le Sorti (sortes) e Il Salto (saltus); lo dimostrerebbero la torre ovest del Castello e l'impianto urbanistico del porto. Dopo la caduta dell'impero romano, arrivarono le popo- lazioni dei Goti, poi dei Longobardi e dei Franchi e agli inizi del X sec. penetrarono gli Ungari. All'inizio del I millennio godeva di importanza strategica e di rilevanza politica. Nel XII secolo la sponda veronese del Lago di Garda vide passare le truppe del Barbarossa. Con l'av- vento degli Scaligeri a Verona, a Torri vennero rafforzate le difese del porto, creando una darsena fortificata e innalzato il Castello. Ma l'allestimento di tutte queste difese non impedì la guerra tra i Visconti e i Da Carrara che si alternarono nel dominio della sponda del lago, fino al dominio della Repubblica di Venezia (1405). Nel '500- '600 ci furono devastanti pestilenze che dimezzarono la popolazione. Nel 1797 i soldati di Napoleone sbarcarono a Torri e non mancarono scontri tra austriaci e napoleoni- ci. Nelle acque del lago di Garda una flottiglia austriaca mise in fuga i francesi. Dopo le razzie fatte dalle truppe napoleoniche, le nostre zone furono interessate dalla carestia, da freddi eccezionali, da siccità, da malattie. A fine '800 giunse l'eco delle Guerre d'Indipendenza com- battute nel basso lago e delle imprese garibaldine e nel 1866 anche Torri entrò a far parte del Regno d'Italia. Umbertide, comune umbro di 16.879 abitanti della provincia di Perugia. Collocata nell'alta valle del Tevere, che lo attraversa insieme al torrente Reggia (o Regghia), ha un caratteristico centro storico circondato ancora dalle mura medioevali nei tratti che costeggiano i corsi d'ac- qua. Centro importante della metalmeccanica, dei tessuti, dell'imballaggio e delle ceramiche industriali, ma anche della tabacchicoltura e dell'agricoltura biologica. Il centro storico della città ha subito un profondo e massiccio intervento di riqualificazione stilistica e storica che si è concluso nel 2011. Secondo la tradizione, Umbertide fu ricostruita nel IX secolo o, secondo altri studiosi, nel X secolo, sotto il nome di Fracta filiorum Huberti o Fratta, non troppo distante dalla cittadina romana di Pitulum Mergens, le cui vestigia si ritiene si trovino nei pressi di Santa Maria di Sette. La località doveva però essere fre- quentata sin dall'epoca etrusca, come è confermato dalla presenza di una tomba etrusca a camera. I primi docu- menti storici sulla Fratta risalgono al 12 febbraio 1189, quando il marchese Ugolino di Uguccione, signore di Castiglione Ugolino e di Fratta, sottoscrisse l'atto di sot- tomissione pacifica alla città di Perugia. La tradizione vuole che il nome originario, Fratta, ricordi la distruzione (fracta, da frangere) del precedente villaggio romano, effettuata dai Goti. In realtà, è probabile che il nome deri- vi dallo scoglio cespuglioso sul quale fu edificata la for- tezza (fratta, appunto): storicamente fu una fortezza "ine- spugnabile" edificata a protezione del ponte sul Tevere. Una diga in legno, posta circa un centinaio di metri a valle del ponte sul Tevere, sbarrava il corso del fiume e faceva salire il livello delle acque in maniera da allagare tutto il fossato attorno alle mura. Il nome della città viene poi cambiato nel 1863, quando viene chiamata in onore del principe Umberto di Savoia, anche per ricordare la tradizione storica che voleva Fratta ricostruita sulle mace- rie di Pitulo nel 796, da parte di Adalberto, Ingilberto, Benedetto o Bonifacio, i figli di Uberto o Umberto (figlio naturale del re d'Italia Ugo). Venafro, comune molisano di 11.396 abitanti della provincia di Isernia. Benché la sua fondazione sia attri- buita a Diomede, personaggio della mitologia greca figlio di Tideo e di Deipile, ha nell'antico nome di Venafrum origini sannitiche. Nella piana, in diversi punti sono stati rinvenuti numerosi reperti che fanno pensare all'esistenza di insediamenti umani già in epoca preistorica. Le prime notizie certe dell'esistenza di Venafro risalgono al 300 d.C. quando si trovava sotto la giurisdizione dei romani con Massimiliano, rivestendo subito un ruolo importante e strategico tanto da essere Colonia romana con Augusto e recepì la caratteristica sistemazione urbanistica, parzial- mente conservata nell'abitato attuale. In epoca augustea molta attenzione fu data all'acquedotto che portava l'ac- qua del fiume Volturno. Fra il 774 ed il 787 la piana di Venafro fu attraversata dalle truppe di Carlo Magno che si scontrarono con quelle dei Longobardi del Principato di Benevento. Subì gravi danni nel terremoto del 1349 ed in quello del 1456. Nel 1495 dette ospitalità alle truppe di Carlo VIII di Francia di passaggio alla conquista del Regno di Napoli. Dopo il periodo buio del Medioevo che ha visto Venafro sprofondare in miseria e malattie, nei secoli successivi la città visse un'epoca di espansione e di benessere, basti pensare alle numerose costruzioni risa- lenti a questa epoca che hanno cambiato il volto della città con monumentali chiese e palazzi. Nell'ottobre 1860 Venafro ospitò il re Vittorio Emanuele II di Savoia in viaggio per recarsi a Teano ad incontrare Giuseppe Garibaldi. Tra l'autunno del 1943 e la primavera del 1944 fu teatro, come altri paesi dei dintorni di aspri combatti- menti fra i tedeschi, asserragliati sulle montagne a nord e gli anglo-franco-statunitensi, lungo la linea Gustav, per la conquista di Cassino e Montecassino. Scambiata per que- st'ultima dai piloti anglo-americani, Venafro venne colpi- ta duramente dai bombardamenti alleati il 15 marzo 1944 che causarono circa 400 vittime tra civili e militari. Per questo ha ottenuto la medaglia d'oro al valor civile. Il castello medievale di Umbertide La baia di Torri del Benaco sul Lago di Garda Il castello di Venafro Nota a livello internazionale, la raccolta Molinari Pradelli è la più significativa formatasi a Bo- logna nel Novecento e si segnala, oltre che per la consistenza delle opere e la selezionata qualità, per la specifica connotazione confe- ritale dal gusto raffinato del cele- bre direttore d'orchestra Fran- cesco Molinari Pradelli (1911- 1996) attraverso i numerosi viag- gi e le relazioni internazionali sull'onda del successo della pro- fessione. Con "Le stanze delle muse. Dipinti barocchi dalle collezioni di Francesco Molinari Pradelli", mostra di cento dipinti della raf- finata collezione, la Galleria degli Uffizi vuole rendere "o- maggio alla grande personalità del maestro, direttore d'orchestra di fama e d'attività mondiali, che ebbe con Firenze un lungo e frut- tuoso rapporto grazie alla sua presenza nel Teatro allora Comunale e nei programmi del Maggio Musicale Fiorentino" (Cistina Acidini). Francesco Molinari Pradelli nacque a Bologna nel 1911 e fre- quentò il Liceo musicale "Gian Battista Martini" sotto la guida di Filippo Ivaldi per il pianoforte e di Cesare Nordio per la dire- zione d'orchestra. Completò la formazione musicale a Roma, dove, già alle prime esibizioni, la stampa lo definì, nel 1938, "di- rettore di sicuro avvenire" men- tre Arturo Toscanini lo segnalò come giovane che "ha del talento e farà carriera". A partire dagli anni '50 il mae- stro coltivò una crescente passio- ne per la pittura raccogliendo dipinti dell'Ottocento e rivolgen- dosi alla pittura barocca spinto da un'attrazione del tutto origi- nale verso il genere della natura morta i cui studi erano allora alle origini, con un'ottica che univa al piacere del possesso e all'ap- prezzamento estetico il desiderio di conoscenza, sollecitato dalle visite ai musei e alle mostre nelle città in cui la carriera professio- nale lo portava. Come la mostra documenta, il maestro privilegiò rigorosamente la pittura del Seicento e del Set- tecento documentando le diverse scuole italiane, senza eccezione, con specifica attenzione ai boz- zetti e ai modelletti. E se pre- valenti sono i dipinti di figura della scuola emiliana (con opere di Pietro Faccini, Mastelletta, Guido Cagnacci, Marcantonio Franceschini e i fratelli Gandol- fi) e di quella napoletana (con di- pinti di Luca Giordano, Micco Spadaro, Francesco De Mura, Lorenzo De Caro), non mancano capolavori di artisti veneti (Pal- ma il Giovane, Alessandro Tur- chi, Sebastiano Ricci, Giovanni Battista Pittoni), di artisti liguri e lombardi (Bernardo Strozzi, Bar- tolomeo Biscaino, Giulio Cesare Procaccini, Carlo Francesco Nu- volone, fra Galgario, Giuseppe Bazzani) e di artisti romani quali Gaspard Dughet, Pier Francesco Mola, Lazzaro Baldi, Paolo Mo- naldi. A conferire alla collezione no- torietà internazionale furono i numerosi dipinti di natura morta FABRIZIO DEL BIMBO Le Stanze delle Muse: l'omaggio degli Uffizi di Firenze alla collezione Molinari Pradelli di artisti come Jacopo da Empoli, Luca Forte, Giuseppe Recco, Cristoforo Munari, Arcangelo Resani, Carlo Magini, segno di un intuito fuori dal comune che fece del noto direttore d'orche- stra un autentico conoscitore della pittura barocca italiana, antesignano dei moderni studi sulla natura morta. La mostra, a cura di Angelo Mazza come il catalogo edito da Giunti, è promossa dal Ministero dei Beni Culturali e del Turismo con la Direzione Regionale per i Beni Culturali e Paesaggistici della Toscana, la Soprintenden- za, la Galleria degli Uffizi, Fi- renze Musei e l'Ente Cassa di Risparmio di Firenze. Ad arricchire la mostra una se- zione cinematografica, a cura del regista Pupi Avati, con la colla- borazione di Armando Chianese, che evoca la Bologna del tempo del grande maestro e collezioni- sta, che Avati ricorda di aver incontrato nella sua infanzia. "Dispensa con pesce, carne, uova sode e fiasco di vino" di Jacopo Chimenti

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