L'Italo-Americano

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GIOVEDÌ 21 GENNAIO 2016 www.italoamericano.org 37 L'Italo-Americano ITALIAN SECTION | CULTURA ARTE LIBRI PERSONAGGI La vera storia di Fra Cristoforo da Cremona nascosta nei Promessi Sposi T utti lo conoscono per il romanzo. Ma pochi sanno chi fosse realmente. Dove sia nato, è lo stesso autore de I Promessi Sposi, Alessandro Manzoni, a dirlo con chiarezza nella primissima edizione dell'- opera, il cui titolo fu Fermo e Lucia. Nel IV capitolo scrisse: "Il Padre Cristoforo da Cremona". Ed ancora una paginetta dopo, preparando la scena del duello che avrebbe cambiato radical- mente la sua vita: "Andava egli un giorno per una via di Cremona". Ne I Promessi Sposi, queste indicazioni sono state sos- tituite da asterischi. Padre Massimo Bertani da Valenza, nei suoi Annali de' Frati Minori Cappuccini, indicò con chiarezza l'identità del frate manzoniano: si trattava del nobile cremonese Lodovico Picenardi, figlio del a Milano. Fu ammesso al laz- zaretto ai primi di giugno del 1630, per assistervi gli appestati sotto la guida di Padre Felice Casati. Il Consiglio Pubblico di Sanità gli chiese a quale Santuario far ricorso perché maggiore fosse la speranza d'ottenere la grazia. "Suggerì di spedire un'ambasce- ria alla Madonna della Fontana di Casalmaggiore, le cui acque erano riconosciute miracolose". I Prefetti inviarono qui un'illustre delegazione, che fece provvista dell'acqua di detta Fontana. Al rientro, Padre Cristoforo era però morto da pochi giorni, il 10 giug- no, a causa del morbo, "stimato da lui catarro, ma dagli altri tutti giudicata vera peste, avendo servito con molto fervore di carità et essempi religiosi ai poveri appestati". Fu sepolto nell'area circostante la chiesa di S. Gregorio, poi detta di S. Carlo, nel mezzo dell'area adibita a laz- zaretto. marchese Giuseppe e della nobil- donna Susanna Cellana, battezza- to il 5 dicembre 1568 in Cattedrale. La sua famiglia abitava a Cremona in un palazzo sulla piazzetta di S. Domenico, cor- rispondente agli odierni giardini pubblici. Il marchese morì men- tre Lodovico frequentava giurisprudenza a Bologna. Appreso del grave lutto, questi rientrò ed assunse la gestione dei beni paterni. Si ritrovò allora a fronteggiare il potente ed altez- zoso marchese Giovanni Battista Ariberti, nato il 23 gennaio 1587. La fama di detto marchese è stata ricordata da Luigi Luchini, in un libro del 1892: era "appalta- tore di ribaldi" e "soverchiatore di professione". Si circondò di 25 "bravi" scelti tra i più briganti, capitanati da Cesare Fiameno, il più ribaldo di tutti con all'attivo già due bandi. Il palazzo del marchese Ariberti era a Cremona nella zona della chiesa dei Filippini (oggi teatro dei Filodrammatici). Contro di lui si costituì una fazione, detta dei Barbasori, guidata da Lodovico Picenardi. Il che fa capire come il duello citato ne I Promessi Sposi non fosse proprio un fulmine a ciel sereno. "Il fatto – scrisse il Manzoni nel capolavoro della letteratura italiana ottocentesca - era accaduto vicino a una chiesa di Cappuccini, asilo, come ognun sa, impenetrabile allora a' birri". All'epoca il convento dei frati, a Cremona, si trovava nel sobborgo di Porta Ognissanti, presso S. Maria delle Grazie. Qui, come si legge in Fermo e Lucia, a Lodovico "il pensiero di farsi frate che tante volte gli era passato per la mente, si presentò e divenne tosto vera risoluzione". La conversione maturò nella casetta dell'ortolano del conven- to, ov'era stato nascosto, in quan- to omicida ancora impenitente; ma quando Lodovico vestì l'abito religioso, fu accolto dai confratelli e donò tutto quanto fosse in suo possesso. Asceta, uomo di preghiera, eppure nel mondo, tra la gente; inquieto, eppure umile. Padre Cristoforo fu contemplativo ed attivo. Seppe sostenere digiuni e difficoltà d'ogni genere. A muoverlo erano gli ideali. A Cremona la soldatesca spagnola si concedeva licenze e sfrenatezze, prepotenze ed infamie. I cremonesi gli chiesero d'interloquire coi capi: "Fu molto bene ascoltato", tanto che il gov- ernatore di Milano, il marchese Ambrogio Spinola - scrisse don Luchini - "fece erigere delle forche sulla piazza di Cremona e di Casalmaggiore ed il primo soldato, che trascorse ad usurpar- si roba altrui, lo fece immanti- nenti giustiziare alla presenza del pubblico", ponendo "momenta- neo freno alla licenza e al brigan- taggio militare". Grandi servigi rese alla povera gente nel breve periodo trascorso Chi osa essere se stesso rischia di venire emarginato o, comun- que, di rimanere un anonimo, nel- l'ombra. La natura, ancora una volta, ci insegna molto in tale senso: se facciamo una passeggiata lungo la riva del mare, noteremo che i sassolini sono prevalentemente dello stesso colore e sembrano ai nostri occhi distratti tutti uguali, ma in realtà ognuno di loro è diverso dall'altro. Questo signifi- ca che nell'omogeneità dobbiamo e possiamo essere in grado di saperci distinguere, essere noi stessi, salvaguardare la nostra personalità che in parte abbiamo ereditato dai nostri genitori, in parte abbiamo costruito nel tempo, anche a costo di sofferen- ze. Perchè distruggere tutto questo? Difendere il nostro essere non significa scontrarsi con gli altri, ma giudicare il nostro prossimo con gli occhi e il cuore aperti, per quello che è, senza pregiudizi. Interpretare un ruolo che non è il nostro, infatti, conduce all'infeli- cità e a morire dentro di noi ogni giorno di più, perchè, come dice- va il filosofo romano Seneca nel primo secolo avanti Cristo, "noi moriamo ogni giorno". Quella che noi definiamo morte è solo il termine ultimo di un'agonia che ha avuto inizio molto tempo prima. Anche Giacomo Leopardi aveva compreso molto bene que- sto: "Tutto è follia in questo mondo, fuorchè il folleggiare.Tutto è degno di riso, fuorchè il ridersi di tutto. Tutto è vanità fuorchè le belle illusioni e le dilettevoli frivolezze". Essere se stessi: in un duello la 'lezione' manzoniana " Giacchè è uno de' vantaggi di questo mondo, quello di odiare ed essere odiati, senza conoscersi". Lodovico era un ricco giovane, figlio di un mercante, che non aveva nessuna intenzione di diventare un religioso. Nutriva anzi avversione nei confronti della vita mistica: era avvezzo ai banchetti, alle feste, ai diverti- menti. Ma un giorno il suo desti- no mutò radicalmente. Lodovico s'imbattè per caso, lungo una strettoia, in un gentiluomo spa- gnolo, un prepotente, il quale, a tutti i costi, pretendeva di avere il passo per primo. Lodovico, senza accorgersene, nella disputa uccise lo spagnolo e, a causa del rimorso che lo attanagliava, decise di prendere i voti. Entrambi gli avversari prima dello scontro, al solo guardarsi in volto, si erano sentiti ribollire il sangue per l'antipatia reciproca, pur non conoscendosi e tale sen- sazione sgradevole si era poi tra- mutata in breve in un odio tal- mente forte da condurre all'omici- dio. Lodovico in quel frangente perse il suo fedelissimo servo Cristoforo e sarà questo il nome che egli stesso assumerà indos- sando la veste da religioso. Questo celebre episodio, tratto dal IV capitolo de 'I promessi sposi' di Alessandro Manzoni, ci dovrebbe indurre a riflettere sui pregiudizi che spesso, anche senza accorgecene, abbiamo nei confronti di persone che magari LAURA BENATTI Rappresentazione del duello mortale descritto nel IV capitolo de I Promessi Sposi di Alessandro Manzoni neanche abbiamo mai visto prima e che, quindi, non conosciamo affatto. A questo atteggiamento conducono anche i condiziona- menti che subiamo dalla realtà nella quale siamo immmersi. Andare controcorrente, esprimen- do spontaneamente se stessi, risulta difficile e, quindi, seguire la folla con le sue mode può esse- re una soluzione comoda per molte persone. MAURO FAVERZANI

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