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GIOVEDÌ 4 FEBBRAIO 2016 www.italoamericano.org 35 L'Italo-Americano ITALIAN SECTION | HERITAGE MEMORIA IDENTITÀ STORIA RADICI Tra i 'Giusti' che salvarono gli ebrei dalle persecuzioni 295 italiani seppe opporsi alla barbarie con i mezzi non violenti della "resi- stenza civile". Carlo Angela (padre del noto giornalista Piero, inventore di Quark) era il direttore sanitario della clinica psichiatrica privata Villa Turina di San Maurizio Canavese e divenne "giusto tra le Nazioni" il 25 aprile 2002, dopo un oblio di 56 anni dovuto alla sua straordinaria discrezione, e al suo assoluto riserbo, come se non avesse compiuto altro che il pro- prio dovere. Con l'aiuto di fidati collaboratori (Giuseppe Brun, Suor Tecla, Fiore Destefanis e Carlo e Sante Simionato) sottras- se vite altrimenti destinate alla distruzione nei lager e la sua azione eroica fu meditata, coeren- te, continuativa. Del suo coraggio non parlò, né se ne fece vanto e non chiese mai nulla in cambio. Villa Turina divenne luogo di rifugio per ebrei e ricercati fatti passare per malati di mente e tanti anni dopo fu soprattutto per merito dei "salvati" che questa storia si fece faticosamente stra- da. Dalle pagine di "Venti mesi", edito da Sellerio e scritto da un ebreo salvato, emerge "il ritratto di un uomo che brilla di luce pro- pria ed è la figura del professor Angela, del medico che accoglie i Segre e tanti altri nella sua clinica e riesce per venti mesi a proteg- gerli". Carlo Angela nacque a Olcenengo, (Vercelli) nel 1875 e si laureò in Medicina nel 1899 a Torino. Maturò l'esperienza di medico nelle lontane foreste con- ebbe incarichi di Commissario e di Questore reggente e la respon- sabilità dell'ufficio stranieri. Sede di un'importante comunità ebraica, Fiume vide arrivare nel 1938 (l'anno delle leggi razziali) il prefetto Temistocle Testa, un funzionario che dell'antisemiti- smo ha fatto una bandiera. Palatucci era un cattolico di profonda fede e man mano che crebbe il pericolo per gli ebrei, egli si rifiutò di farsi complice delle persecuzioni. Non volle allontanarsi da Fiume neanche quando il Ministero dispose nell'aprile del 1939 il trasferi- mento a Caserta. Quando nel giugno del 1940 scoppiò la guerra e gli israeliti di Fiume e dintorni furono arrestati ed accompagnati al campo di concentramento di Campagna, Palatucci li raccomandò alla benevolenza di suo zio, vescovo di Campagna che da quella data si saldò inscindibilmente, con quella del nipote Giovanni. Il giovane responsabile dell'Ufficio stranieri, quando la via dell'emi- grazione non era possibile, invia- va gli ebrei presso il campo di concentramento di Campagna affidandoli alla protezione dello zio con cui mise in opera ogni stratagemma per avviare là i pro- fughi minacciati da pericoli. Per non avere ostacoli dal Prefetto e dal Questore, presenta- va loro la soluzione dell'interna- mento nell'Italia meridionale come rimedio per liberarsi della presenza dei profughi che costi- tuiva una minaccia per la sicurez- za pubblica. Con la creazione della Repubblica Sociale ed il disfacimento dell'esercito italia- no, Palatucci rimase solo in quel- la città a rappresentare la faccia di un'altra Italia che non voleva essere complice dell'olocausto. Nel novembre del 1943 il terri- torio di Fiume divenne una vera e propria regione militare e i nazisti potevano decidere vita e morte di chiunque. In una situazione disperata, Palatucci decise di rimanere a Fiume e divenne capo di una Questura fantasma, rifiutando di consegnare ai nazisti anche un solo ebreo, anzi continuando a salvarne molti rischiando la vita. Nominato, da uno Stato che non esiste più, Questore reggente di Fiume, fece sparire gli schedari, diede soldi a quelli che avevano bisogno di nascondersi, procurò passaggi per Bari su navi di paesi neutrali. Dopo aver beffato i nazisti un'ultima volta e consi- gliato dai partigiani a lasciare Fiume, nel 1944 Palatucci venne arrestato dalla Gestapo e trasferi- to nel campo di sterminio di Dachau, dove morì a pochi a pochi giorni dalla Liberazione e a soli 36 anni, ucciso dalle sevi- zie e dalle privazioni e dalle raf- fiche di mitra. Meno sfortunata fu la vita di Carlo Angela che in un angolo di Canavese, alle porte di Torino, golesi, alle dipendenze dell'eser- cito coloniale belga, poi a Parigi, aderì prima a Democrazia sociale (sorta nel 1921 sulle ceneri del gruppo radicale) al socialismo riformista. Dopo aver accusato pubblica- mente il fascismo per il rapimen- to e l'uccisione di Matteotti, finì quasi confinato per oltre vent'an- ni dalle vicende politiche succes- sive, a San Maurizio Canavese, presso la Casa di cura per malat- tie nervose e mentali Villa Turina Amione in qualità di direttore sanitario. In quegli anni iniziò la sua battaglia solitaria con le prime finte certificazioni per evi- tare il confino ai dissidenti. Seppur anziano, con moglie e figli, è stato artefice di una tra le più alte, insolite, rischiose vicen- de di questa particolare forma di resistenza civile, condotta con dignità e coerenza di principi, senza mai giurare fedeltà alla Rsi. Nella clinica diede ospitalità ad antifascisti, a giovani renitenti alla leva nell'esercito di Salò, fal- sificò diagnosi e cartelle cliniche, trasformò ebrei in ariani, sani in malati di mente. Costretto dal- l'autorità compilò elenchi di anziani ebrei degenti, aggravan- done lo stato di salute. Marie Benoî, noto col nome di padre Maria Benedetto, nascose nel suo convento di frati cappuccini a Roma, 2500 ebrei italiani e 1.500 profughi prove- nienti da Francia, Jugoslavia e da altri paesi. Il gruppo di padre Benedetto nascondeva i profughi essenzialmente in appartamenti e pensioni o in istituti religiosi, mentre un centinaio di conventi e 55 monasteri diedero rifugio ad altri 4 mila 447 ebrei. Tra i giusti vi furono anche pastori di fede protestante. Uno su tutti, Daniele Cupertino, pastore avventista, che insieme alla moglie Teresa Morelli ospitò gli ebrei perseguitati dai fascisti nella sua casa di Roma, dal 1941 al 1945, e per questo venne insi- gnito dalla massima onorificenza dello Stato d'Israele. Tra il '43 e il '45, secondo le stime dei ricercatori, gli ebrei perseguitati che non vennero deportati o uccisi in Italia furono circa 35.000. Circa 500 di essi riuscirono a rifugiarsi nell'Italia meridionale, altri 5500-6000 riuscirono a rifu- giarsi in Svizzera e i restanti 29.000 vissero in clandestinità nelle campagne e nelle città, gra- zie all'aiuto di tanti italiani che opposero una "resistenza non armata" alla barbarie tedesca e fascista. Tra i 17.433 "Giusti" ricordati sulla collina di Gerusalemme ci sono anche 295 nomi italiani continua da pagina 34 Ogni anno l'Italia celebra una giornata di commemorazione delle vittime dell'Olocausto ricordando anche le storie eroiche di chi cercò di salvarle