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GIOVEDÌ 12 MAGGIO 2016 www.italoamericano.org 39 L'Italo-Americano ITALIAN SECTION | CULTURA ARTE LIBRI PERSONAGGI C hiacchierata effervescente per L'Italo-Americano con il fotografo toscano Aurelio Amendola che, con lo spirito ironico e scanzonato tipi- co della sua terra, ci spiega l'arte a suo modo. Domanda secca: fotografo d'arte, si nasce o ci si diventa? Ci si diventa! Figurarsi se ai miei tempi si pensava alle foto- grafie d'arte! Adesso il discorso è diverso. Oggigiorno esistono scuole che ti preparano, giusta- mente, ma quando ho iniziato io eravamo tutti degli autodidatti. Sto parlando degli anni Sessanta. Non sono passati secoli ma le cose sono cambiate tantissimo, in questo settore. Per me, l'approc- cio alla fotografia d'arte, fu un percorso naturale, non studiato da qualche parte. Come iniziò ad avvicinarsi a questo tipo di fotografie? All'inizio, come tanti ai miei tempi, mi chiamavano per docu- mentare eventi, matrimoni, comunioni... Avevo una attività, un negozio ed una famiglia da mantenere; figuriamoci se potevo pensare, all'epoca, a questa opportunità! Poi, il caso volle che il mio primo libro fotografico, su Giovanni Pisano, nel 1968, aves- se un buon successo. Da lì cominciai a dedicarmi alle foto artistiche, con più impegno. Iniziai a frequentare la fonderia "Michelucci" di Pistoia. Qui c'era uno scultore eccezionale: Iorio Vivarelli. Aveva molta fiducia in me, mi chiamava per fotografare le sue opere e lui mentre le produceva e le foto... diciamo che mi riuscivano bene. Approccio, semplice, diretto. Esattamente. Fu molto natura- le, quasi pre-scritto. La parte più difficile è stata lasciare la via vecchia per la nuova, come dice il proverbio, perché avevo una famiglia da mantenere, con un lavoro di fotografo "standard" ma perlomeno sicuro e stabile. Buttarmi in una nuova avventura fu un azzardo ma andò bene. Bellissime le foto esposte nella mostra "Michelangelo" a Palazzo Cucchiari, a Carrara. Sono commoventi, è molto dif- ficile non emozionarsi. E' natu- rale fotografare una scultura e provocare tali sensazioni in chi la vede? Fotografare la scultura, per me, è una specie di dono, una cosa che nessuno mi ha insegna- to. Oltre ad una certa sensibilità, una certa empatia con l'opera e con l'artista, perché vorrei dire che ogni artista ha caratteristiche sue proprie e dalla fotografia, queste, debbono venire esaltate e non nascoste, mi occorrono le "mie" luci, per ottenere l'effetto desiderato. La mostra a Palazzo Cucchiari è una delle mostre, per me, più belle. Le fotografie esposte sono Michelangelo fotografato da Aurelio Amendola in mostra a Palazzo Cucchiari a Carrara, fino al 12 giugno "Di Michelangelo ho voluto evidenziare la sua viva forza e grande sensualità" (Ph. in pagina Aurelio Amendola) PAOLA ORRICO il frutto di un lavoro certosino, a cui ho messo e rimesso mano, più volte. Volevo essere soddisfatto del risultato, e così, alla fine, è stato. Certo, c'è stato anche un grande lavoro di "tecnica". La parte meno artistica e più artigia- nale, è quella che si svolge in camera oscura. Oggi, si defini- scono tutti artisti, tutti fotografi, poi, magari, storcono il naso se c'è da fare il lavoro "sporco", quello più duro, che si svolge in camera oscura. Io, invece, faccio tutto da me, orgogliosamente: me le sviluppo e me le stampo, le mie fotografie. Sono un artigiano al 100%. Ha fotografato tante scultu- re. C'è una "astuzia" particola- re, per ogni artista? Da ogni opera voglio tirar fuori lo spirito di ciascun artista. Di Michelangelo, ad esempio, ho voluto evidenziare la sua viva forza e la sua grande sensualità. Di Canova devo tirar fuori tutta la sua dolcezza, la sua eleganza. Il Canova "l'è un po' ruffiano" (cioè furbo, ndr), detta in toscano. Ora Canova s'arrabbierà per que- sta definizione "ma tanto l'è morto e non può più protestare". La scultura, essendo tridimen- sionale, per me è viva. Fotografare un quadro, che è sta- tico, sarebbe facile: basta piazza- re le luci giuste ed il lavoro, vien da sé. Una scultura, invece, la devi fotografare in tutta la sua potenza espressiva, devi saper cogliere il suo messaggio. Analogamente, fotografare una persona in carne ed ossa, e Le fotografie scultoree di Aurelio Amendola che svelano l'anima dell'artista penso agli artisti ed alle icone che ho fotografato in tutti questi anni: Andy Warhol, Burri, Marino Marini, De Chirico, ecce- tera, con cui ho stretto rapporti di intensa amicizia, mi ha sempre dato una gioia immensa. Le nostre sessioni di foto, sono state sempre accompagnate da piace- voli chiacchierate, battute, osser- vazioni. Ho ricordi splendidi di ciascuno. Quale è stata l'opera più dif- ficile da fotografare o quella che ha dato più filo da torcere? Me ne vengono in mente tre. L'impresa più difficile, in assolu- to è stata fotografare San Pietro. Immagini l'afflusso di persone, al giorno? Sono circa 10.000! Io vorrebbe assolutamente foto- grafare o che sta pensando di fotografare? Beh, prima di "tirà il calzino", ossia prima di passare all'altro mondo, mi piacerebbe tanto foto- grafare Stonehenge. Ci penso ogni tanto e spero di riuscire a mettere in pratica questo pensie- ro. sono riuscito a fare al massimo quattro o cinque foto al giorno, in momenti dove non c'era assoluta- mente nessuno. Ci ho messo dav- vero tempo e fatica, ma il risulta- to, mi ha ripagato di tutte le diffi- coltà enormi che ho affrontato. Anche il Duomo di Milano mi ha dato filo da torcere e lo stesso Michelangelo, a dire il vero. Negli anni '90 feci delle foto ad alcune opere di Michelangelo, giudicate bellissime. Vennero raccolte in un libro fotografico, ricevetti un sacco di complimenti ma quello non era il "mio" Michelangelo, non era il risultato che volevo. Non mi sentivo appa- gato, mi mancava qualcosa. Le fotografie che ho esposto a Palazzo Cucchiari, invece, rap- presentano il raggiungimento di quello a cui aspiravo, sono dav- vero molto contento e soddisfatto delle foto realizzate, della loca- tion che ho chiesto e che è perfet- ta, della gentilezza e della capa- cità organizzativa di chi l'ha per- messa e pianificata. Aurelio, un'ultima doman- da. Qual è, se c'è, l'opera che ancora "manca"? Quella che
