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GIOVEDÌ 29 SETTEMBRE 2016 www.italoamericano.org 43 L'Italo-Americano ITALIAN SECTION | CULTURA ARTE LIBRI PERSONAGGI microfono, mentre nella sua mente tornava indietro col tempo di qualche ora: quando fu costret- to a far intervenire Giulio Andreotti e Fiorenzo Angelini, assistente ecclesiastico dell'Associazione medici cattoli- ci italiani, per consentirgli di dare il Sacramento dell'estrema unzione alla Magnani. Intanto, un bambino era riuscito ad arrampicarsi sulla statua del Cristo di Michelangelo, mentre l'altoparlante gracchiava: "Si prega il pubblico di fare silen- zio", quasi ci si ritrovasse alla prima di un film o di uno spetta- colo teatrale. "In queste condi- zioni non si può cominciare". Il brusio si acquietò, sia pure per pochi attimi, e Padre Rotondi iniziò a parlare: "Ho la tentazio- ne di affermare che in questo momento io presto la sua voce a lei, ad Anna Magnani. In quella bara c'è il suo corpo esanime, quindi senza anima, perché la sua vita è stata trasferita altrove, per godere la pace e la gloria di Dio e per poter amare illimitatamente Dio. Mi sembra che sia lei, dun- que, a parlare attraverso la mia voce. E Anna Magnani dice: ho gli occhi spalancati sulla magni- fica realtà che prima intravedevo soltanto... Attraverso la mia voce, lei oggi vorrebbe dire a quanti hanno influenza nel mondo, nel campo politico, economico, arti- stico, di non distruggere, di non dissipare il loro genio, ma di uti- lizzarlo per costruire, non soltan- to materialmente ma anche moralmente, l'avvenire". Quando la bara uscì dalla porta centrale della basilica la gente si ammassò e nell'impeto gli agenti di polizia vennero tra- volti. Dal tempio era impossibile uscire, dalla piazza non ci si muoveva, le viuzze erano ingor- gate; qualcuno si sentì male, altri svennero ma rimasero in piedi trascinati dalla massa che si spo- stava. Tra i presenti c'era l'amica Marisa Merlini, che per avvici- narsi alla bara venne costretta a farsi scortare dai carabinieri. In quella basilica anche lei pianse lacrime amare, e quando le altre donne si alzarono in piedi, si unì "Nannarella, non ci lasciare!". Appena le sue spoglie venne- ro sollevate sulle spalle dei porta- tori, avviandosi verso il lungo corridoio tenuto aperto al centro della navata dalle forze dell'ordi- ne, esplose nel tempio un applau- so fragoroso. L'ovazione rim- balzò nella piazza gremita di gente, tutti quelli che non erano riusciti a entrare nella basilica, mentre la bara scendeva lenta- mente la scalinata verso il furgo- ne. Qualcuno voleva toccare anche quello e ci riusciva, altri si contentavano di lanciare un bacio, altri ancora si facevano il segno della croce e sussurravano una preghiera. Il nome di Anna Magnani rimbalzava. Pareva davvero l'ul- tima scena di un film. Quando tutto si dissolse in un intimo cor- teo funebre che l'avrebbe portata al cimitero del Verano, nella piazza ormai sgombra rimasero le corone e una folla che le scrutava attenta, "Dio, come sono belle!", e leggeva i nomi sulle fasce. Il desiderio era più forte del pudore e le dita si allungarono rapida- mente per carpire un fiore. Chi prendeva un bocciolo, chi strap- pava via senza alcun ritegno un mazzo intero. Il trofeo più bello, un mazzolino di mughetti inviato da Elizabeth Taylor, lo conquistò in tempo un donnone che, a spin- te e gomitate, quasi lo divelse dalla cassa. In chiesa e tra la folla si nota- rono tanti volti noti: da Alberto Sordi a Elsa Merlini, da Audrey Hepburn ad Amedeo Nazzari, da Mario Monicelli a Sergio Amidei, da Giulietta Masina a Roberto Rossellini. Fu proprio quest'ultimo, uno dei suoi più grandi amori, a starle accanto fino alla fine. Quando lui seppe che stava male gli inviò un tele- gramma: "Non è vero niente, comunque merda, merda, merda!". Poco dopo fu lei stessa a telefonargli: "Sono Anna. Vieni qui". Quando entrò nel suo appartamento la trovò in camera da letto, vestita per non sembrare una malata. Si strinsero l'uno all'altra, forse come mai avevano fatto. "Sono malata" gli disse "ma morire mi fa schifo, non voglio. Tu devi stare qua e impe- Che so' io? E Fellini: 'Anna Magnani, che potrebbe essere il simbolo di Roma' dirmi di morire. Roberto, non farmi morire". Lui le regalò una dolce bugia, promettendole che non l'avrebbe permesso. Anche quando gli ultimi attimi erano vicini, lui le fece credere che non tutto era perduto, che una speran- za era ancora viva. La accarezza- va, le stava accanto, le parlava senza stancarsi di farlo, mentre si impegnava per trovare un farma- co capace di restituirla alla vita. Ma il farmaco, che in realtà non garantiva alcun miracolo, arrivò troppo tardi. Il giorno dei funerali fece effetto la mancanza di Paolo Stoppa, che aveva condiviso con lei gli esordi. Pochi giorni dopo, su Il Globo, venne pubblicata una lettera nella quale l'attore scriveva: "Cara Anna, come mai al tuo funerale c'era tutta Roma e io no, non devo spiegarlo proprio a te, che certamente non saresti venuta al mio. Ce l'eravamo pro- messo, tacitamente, ogni volta che avevamo parlato insieme di questi magnifici funerali degli attori, che tutti e due sfuggivamo come fosse il nostro. "A questi galà" mi dicesti una volta "c'è sempre qualche collega del morto disposto a prenderne il posto nella cassa, pur di rubargli la parte di protagonista". Credevo, Anna, che ai tuoi fune- rali almeno questo ti sarebbe stato risparmiato, per due motivi. Primo: perché la parte di prota- gonista, a te, nessun collega ha osato negartela mai, facendo anzi di te un monumento fin dai tempi di Roma città aperta. Secondo: perché a rubarti la parte di prota- gonista, in pratica, i colleghi s'e- rano già abbastanza sfogati, da quei tempi a oggi, facendo di te appunto un monumento, ma un monumento disoccupato. E inve- ce no. Anche al tuo funerale, e subito prima, e subito dopo, c'era un mucchio di gente che tentava di rubarti la battuta. Non dirò chi, non dirò come. Erano in tanti, e ciascuno a suo modo, ciascuno nel suo piccolo". Anna era morta. Qualcosa era veramente finito. "Ora non posso più nemmeno pensare di tornare a Palazzo Altieri" ricorda Franco Monicelli "di rivedere quella poltrona su cui lei sedeva. Perché quella casa, quella bellissima casa, senza di lei è morta, non vale più nulla. Come tutte le cose che toccava, che lei abitava, a cui lei parteci- pava. Erano vive finché c'era lei, senza di lei morivano. Un nostro amico mi ha telefonato oggi e piangendo mi ha detto: "Ora non ci litigheremo più". Anche in via degli Astalli 19, a Palazzo Altieri, la sua residenza da oltre vent'anni, era andato qualcuno. Fermo sull'entrata, il custode apriva il battente del por- tone chiuso in segno di lutto per far entrare e uscire le automobili dal cortile. Idealmente, lo stesso luogo dal quale un anno prima ci aveva salutato nella sua ultima partecipazione, seppur minuta, in un film: Roma di Federico Fellini. Quella scena non venne ripresa in strada davanti alla sua vera casa, ma la scenografia costruita dai sapienti maestri di Cinecittà riproduceva l'esterno di un palazzo in tutto e per tutto simile alla sua dimora. "Questa signora che rientra a casa, costeggiando il muro di un antico palazzetto patrizio, è un'attrice romana: Anna Magnani. Che potrebbe essere anche un po' il simbolo della città" la definiva, nell'ultima sequenza, la voce fuori campo di Fellini. "Che so' io?" gli rispon- deva stupita. "Una Roma vista come lupa e vestale" proseguiva lui. "Aristocratica e straccio- na...". E lei: "De che?!", ancor più stupita. "Tetra" insisteva imperterrito Fellini. "Buffonesca... potrei con- tinuare fino a domattina". "A Federì..." lo invitava lei "va' a dormi', va'". "Posso farti una domanda?" tentava lui disperata- mente di prolungare il dialogo. "No, nun me fido, ciao" ribatteva lei seccamente, mentre chiudeva il portone del palazzo e con esso ogni speranza del regista. "Buonanotte!". Davanti a quel portone, a chi si presentava in cerca di notizie, con malinconica fermezza, il custode rispondeva: "Qui ormai non c'è più nulla da vedere". Continua da pagina 42 Anna Magnani, attrice simbolo del cinema italiano (Ph: tratta da 'Anna Magnani. Biografia di una donna' di Matteo Persica)