L'Italo-Americano

italoamericano-digital-6-29-2017

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www.italoamericano.org 11 L'Italo-Americano IN ITALIANO | GIOVEDÌ 29 GIUGNO 2017 F orse perché Pasquale Verdicchio può vantare una barba grigia degna di un filosofo greco - come appaiono Platone o Aristotele - o forse gra- zie ad anni ed anni di insegna- mento nella California meridio- nale, o addirittura - se cediamo a triti stereotipi - perché è origina- rio di Napoli, Italia, e quindi notoriamente loquace, la sua dia- lettica è straordinaria. Allo stesso tempo, è immedia- tamente chiaro come quest'uomo sia una vera e propria fonte di conoscenza. Quando era ancora adolescen- te, Pasquale emigrò con la sua famiglia da Napoli, capoluogo della Campania, regione meridio- nale dell'Italia, a Vancouver, Columbia Britannica, Canada. Negli anni successivi, si è trasfe- rito a sud verso latitudini più calde, stabilendosi prima a Los Angeles e poi a San Diego, dove attualmente ha l'incarico di pro- fessore di letteratura italiana e comparata e di direttore del pro- gramma di studi italiani presso UC San Diego. Essendo egli stesso un immi- grato e, in tal modo, in grado di identificarsi con le ondate di immigrati che non smettono mai di sentirsi in qualche modo ai margini nei loro Paesi ospitanti, Pasquale Verdicchio ha scritto nel corso degli anni una gran quantità di libri e pubblicazioni che esplorano la diaspora italiana. Seguiamo allora la sua guida e approfondiamo questo affasci- nante argomento. Qual è stato il suo primo amore (letteratura, fotografia, ecc ...) e cosa l'ha maggiormen- te affascinata? Sono nato a Napoli, in Italia, e sono emigrato con la mia fami- glia a Vancouver, Canada, alla fine degli anni '60. Sin da giova- ne, mi sono sempre sentito più a mio agio immerso tra i libri, i dipinti, le fotografie, le immagini pubblicitarie e la grafica di una varietà di prodotti, dalle caramel- le a una varietà di confezioni. Ero solito risparmiare qua e là per comprare libri di seconda mano in un banchetto appena fuori dal nostro palazzo a Napoli. Li ho ancora, acquistati probabil- mente all'età di sette o otto anni, tra cui storie d'avventura, poesie di Leopardi, narrazioni di viag- gio. Alcune delle mie prime poe- sie erano infatti una serie di terri- bili imitazioni dello stile di Leopardi. Per quanto riguarda la foto- grafia, quando avevo circa nove anni, qualcuno mi ha dato una "Diana"; una di quelle macchine fotografiche di plastica che impiegavano una pellicola da 120 e facevano fotografie molto brutte, sfocate. Ma quelle mi interessavano comunque. Ho trovato il fuori fuoco un aspetto estremamente affascinante e, di fatto, ho usato una di quelle fotografie come punto di partenza per l'ultimo capitolo di uno dei miei libri. Looters, Photographers, and Thieves: Aspects of Italian Photographic Culture in the Nineteenth and Twentieth Centuries (2011). Ciò che mi affascinava e con- tinua a catturarmi di queste forme di espressione creativa è semplicemente la loro qualità intrinseca per l'estrapolazione fantasiosa e per trasportare crea- tivamente un lettore o uno spetta- tore a esplorare ulteriormente la propria immaginazione e quella di coloro che le hanno prodotte. E il suo trasferimento prima a Los Angeles prima e poi a San Diego? Come si è integrato nel sud della California? Sono venuto in California dopo essere tornato in Italia e aver studiato/lavorato con il poeta ermetico Piero Bigongiari a Firenze. Durante quel periodo ho anche incontrato altri scrittori che alla fine avrei tradotto, come Antonio Porta, Giorgio Caproni e Andrea Zanzotto. Vorrei dire che in quel momento "l'integrazione" non era certamente tra le mie princi- pali preoccupazioni, anche se per alcuni aspetti della mia vita mi sento ancora un po' isolato. Dopo tutto è importante parlare la pro- pria lingua, consumare la propria cultura, sviluppare la propria cul- tura e, mentre gli anni e i decenni passano cresce una distanza che talvolta introduce qualche artifi- cialità in queste pratiche. In ogni caso, ho studiato per il mio dottorato di ricerca presso UCLA con il Prof. Fredi Chiappelli e altri, prima di essere assunto per insegnare nel Dipartimento di Letteratura della UC San Diego nel 1986. Quest'estate tornerò in Italia per assumere la direzione della University of California Study Center, a Bologna, per due anni, posizione che avevo dal 1998 al 2000 e per due semestri nel 2012 e nel 2013. Ritorno frequente- mente per libera scelta e ho rime- diato alla distanza in questo modo. Oltre alla sua attività di poeta e traduttore di opere poetiche italiane in inglese, nonché di professore di lette- ratura italiana e comparata alla UCSD, scrive regolarmen- te di cultura italo-americana. In particolare, nel suo libro, B o u n d b y D i s t a n c e : R e t h i n k i n g N a t i o n a l i s m through the Italian Diaspora, e s p l o r a l a c o s i d d e t t a "Diaspora italiana" con un'ot- tica nuova. Potrebbe riassu- mere la sua posizione in meri- to? Innanzitutto, devo dire che è stato pubblicato per la prima v o l t a n e l 1 9 9 7 , e d a a l l o r a numerosi studi hanno ampliato e La sempreverde diaspora italiana secondo il Prof. Pasquale Verdicchio approfondito alcuni argomenti che ho affrontato lì. In termini semplici, ogni pre- sunto significato di ciò che alcu- ni ancora amano chiamare "ita- lianità" è, a mio avviso, basato sulla narrativa. La penisola ita- l i a n a , c r o c e v i a d e l Mediterraneo, è sempre stata un territorio di mescolanza, di ibri- di e di influenza interculturale. Se quello è ciò che intendia- m o c o n i t a l i a n i t à , v a b e n e . T u t t a v i a , i l t e r m i n e è u s a t o soprattutto per riferirsi a un onnicomprensivo senso di speci- f i c i t à e o m o g e n e i t à c h e n o n p o t r e b b e e s s e r e p i ù l o n t a n o dalla realtà delle nostre regioni italiane, dalle culture, dalle lin- gue e dalle tradizioni. P e r q u e s t o , " B o u n d b y D i s t a n c e " r a p p r e s e n t a v a u n primo tentativo di evidenziare questa diversità, svelando alcu- ne delle retoriche e pseudo- scienze che l'avevano negato e seguendo un possibile filone attraverso la cultura italiana per coloro che emigrarono alla fine del 1800 e all'inizio del 1900. Ho costruito il mio lavoro su quello di Antonio Gramsci, Pier Paolo Pasolini, Vito Teti, Luigi L o m b a r d i S a t r i a n i , A n t o n i o D'Alfonso e sulle discussioni avvenute nei primi anni e nelle prime conferenze dell'associa- zione di scrittori italo-canadesi di cui ero uno dei fondatori nel 1986 a Vancouver (con Antonio D'Alfonso, Anna Foschi, Joseph Pivato e Dino Minni). Qual è la sua idea dell'at- tuale fuga di cervelli del seg- mento giovanile della popola- z i o n e i t a l i a n a n e g l i S t a t i Uniti? Qual è il tipo di lavoro che le Istituzioni italiane e / o le imprese private dovranno fare per "frenare il flusso" e invertire la tendenza? Innanzitutto, dico che, con piena consapevolezza delle dif- ferenze storiche, trovo il termine derogatorio, in quanto tende a discriminare altre ondate prece- denti di migranti che pure ave- vano "cervelli", ma erano per una serie di ragioni sottostimati e svalutati. Inoltre, ignora il fatto di tutti quelli che continuano ad emi- grare senza diplomi di alto livel- lo o istruzione superiore e i loro contributi preziosi. Tutti quegli individui, e le nostre precedenti storie di emigrazione, vengono rese invisibili e irrilevanti per l'uso di quel termine. Detto questo, riconosco che con il suo uso si fa riferimento all'incapacità delle istituzioni italiane di fornire risorse ade- guate per lo sviluppo e il mante- nimento di una società veramen- te innovativa e inventiva. Credo che non sia tanto un problema di risorse, ma piutto- sto del loro uso corretto, della loro disponibilità e diffusione, che in combinazione con un sistema antiquato e corrotto di clientelismo, continuano a cau- sare marciume interno e deca- denza. È un sistema in atto nelle università, nelle aziende private, n e l l e a g e n z i e g o v e r n a t i v e e nelle istituzioni, che lascia poco s p a z i o a l l ' i n n o v a z i o n e , a l miglioramento e all'integrazione di nuovi partecipanti. Non si nega che le meritocra- zie abbiano un loro insieme di problemi, ma è più che evidente che, nella società italiana, il merito generale è troppo spesso uno degli aspetti meno impor- tanti di tutte le caratteristiche di una persona. Quindi, ciò che è necessario, per frenare il flusso e invertire la tendenza, è una revisione di quel sistema antiquato e soffo- cante. Questo, a sua volta, non può avvenire senza un cambia- mento degli atteggiamenti socia- li che rendono possibile il suo mantenimento e la sua prolifera- zione (compreso il sistema poli- tico e la maggior parte dei suoi esponenti, a destra e a sinistra). Mentre ciò può sicuramente avvenire attraverso l'azione di una popolazione molto capace, in qualche modo gli italiani sono intrappolati in un ciclo di autodemonizzazione o in quel che ci piace chiamare l'arte di "arrangiarsi". Abilità certamente utile per sopravvivere in situazioni diffi- cili, ma è un atteggiamento che tende a far proliferare quella cultura fatta di nepotismo, favo- ri e circoli di influenza piuttosto che aprire a relazioni basate sul merito e sulla collaborazione. Se ricordate il film, Rocco e i s u o i f r a t e l l i , i n u n t o n o "Gramsciano", Visconti assegna al fratello più giovane Luca un ruolo influente. Luca crescerà nel Nord, dove parteciperà ai m o v i m e n t i d e i l a v o r a t o r i e , come vettore di una cultura ibri- da Nord/Sud, un giorno tornerà al Sud e marcherà il divario. V e d o u n r u o l o s i m i l e p e r c o l o r o c h e d e v o n o l a s c i a r e l'Italia oggi. Possono tornare un giorno e contribuire a cambiare il sistema, che a loro ha voltato l e s p a l l e , p r o p o n e n d o n u o v i atteggiamenti, approcci diversi e portando una rinnovata energia che potrebbe pervadere il siste- ma con modalità capaci di coin- volgere creatività e know-how italiani. Pasquale Verdicchio, professore di italiano e letteratura comparata alla UCSD qui a San Diego SOCIETÀ & CULTURA PERSONAGGI PATRIMONIO TERRITORIO

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