L'Italo-Americano

italoamericano-digital-6-6-2013

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L'Italo-Americano PAGINA  4 GIOVEDÌ  6  GIUGNO  2013 Altro che gusto autentico e prodotto made in Italy. Sugli scaffali dei supermercati americani il 'fake' ruba mercato e sapori LUCA DELL'AQUILA Quante volte sugli scaffali di un supermercato vi siete trovati di fronte a prodotti italiani di cui non avevate mai sentito parlare? Improbabili etichette dal suono italianeggiante, capaci di suscitare più di una risata come le "Tagliatelle Milaneza" in Portogallo, la "Palenta" (ovvero la polenta) venduta in Montenegro, o addirittura di stupirvi per evidenti incongruenze come nel caso del "Barbera" prodotto in Romania che, da quelle parti, risulta essere un comune vino bianco. La lista è lunga. All'estero, secondo le stime di Coldiretti (con un milione e mezzo di associati è la principale organizzazione degli imprenditori agricoli italiani), sono falsi tre prodotti alimentari italiani su quattro. In particolare, più ci si allontana dall'Europa più il campionario degli orrori si allunga: si va dai formaggi ai salumi, dal caffè ai biscotti, dall'olio di oliva ai condimenti, dalla pasta ai vini. Formaggio fatto in Cina ma con nome e bandiera italiana Il San Marzano è una varietà campana tutelata dal marchio di origine protetta ma questo pomodoro è coltivato in California Alcuni esempi: la "Mortadella Bologna" in vendita negli Usa ottenuta da carne di tacchino, il "Pompeian Olive Oil" che non viene prodotto alle pendici del Vesuvio bensì a Baltimora, un formaggio cinese che di nome fa Pecorino e in etichetta purtroppo esibisce la bandiera italiana, i pomodori San Marzano coltivati in California. Certi marchi non proprio originali possono tuttavia essere considerati "storici" in quanto legati alle ondate d'emigrazione italiana nelle Americhe. È il caso del "Reggianito" prodotto in Argentina, la cui origine viene fatta risalire tra la fine del XIX secolo e gli inizi del XX ad opera di emigrati italiani che desideravano riprodurre il ParmigianoReggiano. Questo formaggio argentino venne riconosciuto dai produttori italiani come un serio concorrente all'esportazione del Parmigiano-Reggiano e fu uno dei fattori che portò alla costituzione del Consorzio di Tutela del Parmigiano Reggiano nel 1934. Negli Stati Uniti, che insieme ad Australia e Nuova Zelanda figurano tra i principali venditori mondiali di prodotti d'imitazione alimentare italiani, negli ultimi vent'anni si sarebbe registrato un vero e proprio boom di falsi formaggi. Attualmente appena il 2% dei consumi di formaggio di tipo italiano sono soddisfatti con le importazioni Made in Italy. Per il resto si tratta di falsificazioni ottenute sul suolo americano con latte statunitense. Nonostante l'appropriazione indebita di bandiere tricolori e dell'uso improprio di parole, località, immagini, denominazioni e ricette italiane, non vuol dire che tutte queste imitazioni siano di cattiva qualità. Anzi, per fare un esempio, il "SarVecchio Parmesan", clonazione del Parmigiano Reggiano prodotto in Wisconsin, è stato premiato nel 2009 come miglior formaggio negli Stati Uniti. Il grande successo dei prodotti alimentari pseudo-italiani è da ricercare nel fatto che non esiste all'estero un solido e diffuso gusto italiano. Se in Europa grazie all'obbligo di etichettatura d'origine dei prodotti e alla registrazione dei marchi Dop, Igp e Stg (Denominazione di origine protetta, Identificazione geografica protetta, Specialità tradizionale garantita), accompagnati dalla garanzia del Consorzio di tutela, si è arrivati a una maggiore familiarità con i veri prodotti del Belpaese e a una limitazione del fenomeno, nel resto del mondo la mancanza di tutela legale dei nostri marchi ha portato alle stelle il fatturato dei prodotti contraffatti. Se si considera l'esportazione dell'intero settore degli agroalimentari italiani, la stima per il 2012 è stata di 31 miliardi (di cui 12 miliardi di euro corrispondono al valore del mercato dei prodotti tutelati dal marchio Dop). È invece di oltre 60 miliardi il fatturato dei falsi Made in Italy. Una cifra esorbitante che potrebbe viceversa giocare un ruolo importantissimo nell'economia nazionale. Il rischio che si radichi nelle tavole internazionali un falso Made in Italy in grado di togliere spazio di mercato a quello autentico, banalizzando le specialità nostrane frutto di tecniche, tradizioni e territori unici, è assolutamente da non correre, soprattutto in tempo di crisi. A preoccupare sono poi le tendenze di Paesi emergenti come la Cina, dove le imitazioni sono arrivate prima dei prodotti originali e possono comprometterne la crescita. "Pensiamo - spiega Coldiretti a quanti posti di lavoro si potrebbero generare e quale straordinario motore di sviluppo potrebbe rappresentare una cifra del genere per le casse del nostro sistema agroalimentare. Non è solo una battaglia di bandiera, ma di soldi, sostanza e opportunità di sviluppo". Collezione di falsi prodotti italiani: nomi, marchi, bandiere sono tutti tricolori ma di autentico non c'è nulla, nemmeno gli ingredienti Finalmente cade l'embargo: ora salami, coppe e pancette non sono più vietati BARBARA MINAFRA Il divieto assoluto finalmente è caduto. Pancette, salami, culatelli e coppe di Emilia Romagna, Lombardia, Piemonte, Veneto, Bolzano e Trento potranno finalmente essere venduti negli Stati Uniti. Dal 28 maggio la Aphis, Animal and plant health inspection service, ha tolto l'embargo contro i prodotti semistagionati italiani (ovvero i lavorati al di sotto dei 14 mesi di stagionatura). Una conquista per il mercato italiano ma anche una tutela per i consumatori americani dal momento che avranno a disposizione prodotti sani e certificati e non imitazioni di dubbia provenienza. In effetti, sui fatturati italiani, il divieto di esportazione legato ai vincoli sanitari e tariffari, pesa circa 250 milioni di euro all'anno calcolati in termini di mancate esportazioni. Gli allevatori italiani, che già beneficiano della possibilità di esportare prosciutti cotti, prosciutti crudi, speck e mortadelle (che da soli valgono 68 milioni di euro l'anno e raggiungono le 5.890 tonnellate), si aspettano un incremento dell'export negli Stati Uniti del 17%. La riapertura dopo 15 anni del mercato (a far scattare il blocco era stato un focolaio di infezione suina, di cui ora è stata accertata la totale scomparsa), aiuterebbe a rilanciare un settore in sofferenza per il calo della domanda interna ma che ha resistito alla crisi grazie all'export: nel 2012 ha portato sui mercati stranieri 138.440 tonnellate (+3,8%) di salumi per un valore di 1,116 miliardi di euro (+7,2%). I principali mercati di riferimento sono stati quelli extra-europei: Stati Uniti (ma solo per prosciutto e mortadella) Giappone, Canada, Russia e Hong Kong. Ora l'ampliamento della gamma dei salumi esportabili in Usa, potrebbe, già nel 2014, aggiungere 80 milioni di euro al fatturato delle 26.197 aziende suinicole italiane.

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