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L'Italo-Americano PAGINA 14 GIOVEDÌ 1 AGOS TO 2013 La chiesa di Santa Margherita a Usmate Velate Il piccolo centro abitato di Vivaro Romano La chiesa del patrono San Giorgio a Zumpano Usmate Velate, comune lombardo di 10.019 abitanti della Provincia di Monza e della Brianza, a metà strada tra Milano e Lecco. Unisce due borghi che ebbero storie separate. L'unificazione di Usmate e Velate risale al 24 febbraio 1869 quando Usmate, già Comune autonomo, venne aggregato a Velate Milanese, modificando la denominazione in Usmate di Velate. Solo nel 1930 Velate Milanese fu autorizzato a trasferire la sede municipale a Usmate di Velate, assumendo così l'attuale denominazione di Usmate Velate. Anticamente "Uocimate" segnava il confine meridionale della Brianza. Fu teatro di sanguinose battaglie. Celebre quella avvenuta nel 1322 tra l'esercito ghibellino, capitanato da Marco Visconti, e l'esercito guelfo. La sorte delle armi arrise ai Guelfi che, messo in fuga Visconti, assediarono il borgo. Volgarmente era chiamata "Osio" perché, nel periodo della dominazione spagnola, i feudatari erano i conti Osio. Fra questi, tristemente famoso divenne il conte Gian Paolo Osio, che teneva un castello di cui non si conserva la minima traccia. Fu il seduttore della famosa Monaca di Monza, ricordata dal Manzoni ne "I promessi sposi". Signoreggiava e tiranneggiava commettendo, impunito, orribili delitti. Per uno di questi, però, il conte Osio e i suoi bravi furono citati a rendere conto. Non essendo comparsi davanti alla giustizia e dubitando che fossero nascosti nel castello di Usmate, questo fu distrutto fino alle fondamenta nell'anno 1608, ed il perfido conte venne, in seguito, ucciso da un suo amico, nella cui casa si era rifugiato. Velate invece, anticamente faceva parte del Comitato di Milano. Nelle cronache milanesi si legge che Berengario I, longobardo, riconoscente verso il Capitolo di Monza per vari benefici ricevuti, nel 920 fece dono al Capitolo del villaggio di Velate, poi passato all'imperatore Lotario, nel 1136. Conobbe una significativa trasformazione tra Settecento e Ottocento quando si arricchì di ville, giardini e palazzi. Vivaro Romano, comune laziale di 191 abitanti della provincia di Roma. Abitato originariamente dagli Equi a partire dal 229 a.C., divenne colonia romana con tanto di allevamenti animali per l'alimentazione e sacrifici. Il nome deriva da Vivarium, che significa vivaio. Dopo le invasioni barbariche, divenne parte del longobardo Ducato di Spoleto. Durante il feudalesimo il paese fece parte di diverse signorie, tra cui la principale è quella degli Orsini e, a inizi del Seicento, fu eretto a principato a favore di Marcantonio II Borghese nipote del Papa Paolo V. I Francesi, nel 1799, distrussero il castello Borghese (essendosi i vivaresi opposti ai nuovi invasori), del quale restano i ruderi. Lo stemma comunale rappresenta una vipera che avvince un cespo di rose canine o silvestri, fiore tipico delle montagne. La data che compare nel Gonfalone è quella del 1807. La vipera può essere collegata all'errata interpretazione che per anni è stata data al nome del paese: Vivaro come corruzione di Viprarius, come dire paese delle vipere. L'opinione più comune vuole invece che i coloni romani abbiano chiamato Vivarium il territorio per l'abbondanza di acqua destinata all'allevamento dei pesci, come sembrerebbe indicare il sopravvissuto termine Peschiera che prima di diventare la piazza del paese, indicava una contrada. Tra i monumenti e i luoghi d'interesse c'è il Santuario di Santa Maria Illuminata. Sorge sul Colle di Santa Maria, a 3 km dal paese. La fondazione è incerta, forse del XIII secolo. L'edificazione è da ascrivere al culto della sacra immagine della Madonna conservata all'interno dell'edificio. Il nome di Illuminata fu aggiunto in seguito alla leggenda locale che narra che un fascio di luce portò al luogo dove si trovava l'immagine della Madonna che, ora, è nella chiesa. A ricordo di tale evento, nella notte tra il 4 agosto ed il 5 agosto si tiene la processione con le fiaccole e le torce che dal Santuario di S. Maria, a tre chilometri da Vivaro, accompagna la Madonna in Paese. Le finestre lungo il tragitto vengono illuminate a festa ed a giorno. Zumpano, comune calabrese di 2.430 abitanti della provincia di Cosenza. Pare che Zumpano sia sorto su un nucleo preesistente, ma a costituire il primo vero insediamento abitativo furono i profughi cosentini, fuggiti dalla propria città a causa dell'invasione araba intorno all'anno 1000. Lo stesso borgo fu poi attaccato dai Saraceni. L'arrivo dei Normanni nel 1059 d.C. contrastò efficacemente gli attacchi arabi ed essi assunsero in questo modo il controllo completo dell'intero territorio della valle del Crati. I Normanni cercarono di sviluppare un efficace sistema di protezione e di controllo, realizzando castelli e torri lungo l'intero corso del fiume. Il loro scopo consisteva nel realizzare una struttura difensiva con postazioni indipendenti l'una dall'altra, ma comunicanti fra di loro. In questo periodo viene costruita la torre di Zumpano. Tuttora lo stemma del comune raffigura una torre con alla base due leoni, simboli della forza normanna, rivolti uno verso destra e l'altro verso sinistra. Secondo la tradizione popolare i due leoni rappresentano le frazioni di Motta e di Rovella, a difesa del centro raffigurato dalla torre. L'origine del nome non è ancora stata chiarita ma potrebbe derivare dal cognome calabrese Zumbano. Nei documenti risulta de Cimpano nel 1324, Zimpano nel 1326, nel 1432 De Cympano, e Zompano nel XVI secolo. Per la vicina Cosenza, Zumbano rappresentò sempre un punto di riferimento in caso di attacco da parte di qualsiasi nemico. Con la caduta dell'impero romano, le scorribande di popoli invasori, barbari prima, saraceni poi, si fecero sempre più violente contro quelle città piene di vita ed il cui commercio era particolarmente florido, proprio come Cosenza. Quando le minacce di invasione diventavano imminenti, i cosentini trovarono rifugio e protezione sulle montagne e colline circostanti. Nel 1830, uno dei più illustri personaggi di Zumpano, il patriota risorgimentale Angelo Ritacca, vi stabilì la sede di una delle prime Vendite Carbonare della provincia cosentina. Gli scavi riportano alla luce il portico lungo 30 metri della villa etrusco-romana vicino a Cortona LILLY MAgI Un portico lungo 30 metri è riemerso dalla terra negli scavi di Ossaia, frazione di Cortona. Questo ed altri elementi sono ritornati alla luce durante le ultime opere di scavo fatte dagli universitari di Alberta, Canada, guidati da Elena Fracchia e dal prof. Gualtieri. Il tutto è stato presentato durante una conferenza tenutasi presso il Centro sociale di Terontola, nei giorni scorsi. È stato svelato un altro pezzo della villa romana di epoca fine etrusca - inizio romana di Ossaia e sono anche stati rinvenuti alcuni inizi di scale che hanno dato la certezza che esisteva un piano superiore a quello attualmente ritrovato (circa 500 mq). Non solo: molto probabilmente sarebbe stato individuato anche l'ingresso della dimora. Il sito in questione si sta dimostrando ogni volta sempre più importante e ricco di informazioni che, se dovesse essere tutto scoperto, porterebbe ad un'approfondita conoscenza sia della domus romana sia di quella che poteva essere la vita, in quelle epoche, di alcune frazioni della zona come pure di Terontola e Punta Bella. Secondo la dottoressa Fracchia, Veduta degli scavi della villa etrusco-romana di Ossaia, frazione di Cortona per quello che fino ad oggi si è potuto esaminare in quei luoghi, sicuramente ci sono stati periodi di grande ricchezza e sviluppo. Il tutto è possibile ricostruirlo proprio attraverso i risultati degli scavi sul sito effettuati fino ad oggi. "In antichità, nel luogo indicato, ovvero dove sorge la villa, doveva esserci un santuario Etrusco - ha precisato Fracchia, durante il suo excursus sulla villa che parte dal I secolo a.C. e arriva fino al VI secolo d.C. - e la popolazione che lo frequentava doveva essere tutta benestante perchè dai resti trovati di vasi, utili per le offerte alle divinità, si è notato che avevano provenienza anche lontana come la Grecia, il che doveva rendere questi materiali costosi. Da qui si pensa che l'Ossaia e tutta la zona intorno fosse abitata da gente abbiente. Poi, più tardi, vi fu costruita la villa che conosciamo da parte di una famiglia etrusca di Perugia e più tardi ancora venne ceduta ai romani che probabilmente l'ampliarono. In un secondo tempo, con la crisi dell'impero romano e la mancanza di liquidità, questo immobile venne venduto ad un liberto, ossio uno schiavo fatto libero, e lui vi costi- L'incantevole mosaico con pantere ritrovato nella domus di circa 1000 mq. tuì una sorta di fornace e, per farlo, si ridivise e riorganizzò la struttura andando a sciupare i mosaici che costituivano le pavimentazioni. Comunque sia, la presenza di questa sorta di fabbrica di vasellame e mattoni, ci dice che nonostante la crisi economica dell'impero, ad Ossaia e dintorni il benessere non mancava. Verso il V e VI secolo d.C. la struttura venne di nuovo riacquistata da una ricca famiglia che ristrutturò tutto l'abitato andando a comporre nuove pavimentazioni con altrettanti mosaici, questa volta policromi, alcuni dei quali sono conservati al Maec, il museo cittadino". In sostanza il sito in questione risulta essere un grande libro di storia. Attraverso la sua osservazione e i suoi reperti si fa comprensibile anche la ricostruzione della vita sociale ed economica di tutti coloro che abitarono e vissero su tutta quella fascia di territorio adiaciente alla strada statale 71, che va da Cortona fino al lago Trasimeno. Altri ritrovamenti, come quello di due scheletri ritrovati a Terontola e una serie di anfore rivenute nella zona di Punta Bella, danno l'idea che in tutta quella zona vi fossero alcune ville, dislocate qua e là, di cui, attualmente, si conosce solo quella di Ossaia.